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Giovanna Baino: un silenzio assurdo lungo sette anni

Quando il giornalismo è anche violenza

Giovanna Baino: un silenzio assurdo lungo sette anni

Un tonfo sordo, metallico. E l’aria tetra di quel sabato pomeriggio 15 marzo 2003 improvvisamente si rompe. Nessuno s’è accorto di nulla. Chi scrive il suo pezzo, chi legge e passa quello redatto da un altro: una decina di persone in tutto. Giovanna entra di corsa, gli occhiali neri coprono con il bavero rialzato del lungo cappotto nero, un volto grigio e teso, gli stivali al ginocchio si muovono a passo militare. Getta sulla scrivania la borsa semiaperta. Neanche il tempo di dirle: “Ciao, come stai? Andiamo a prenderci un caffé”? che passandomi alle spalle ha riguadagnato la via d’uscita.

 

Finito il pezzo sulla depressione in risposta all’elzeviro di Maurizio Costanzo, che consiglia, da noto ‘psichiatra’, l’antidoto di un film di Alberto Sordi o di Totò, al bar mi dicono che non l’hanno vista. Risalgo. Il tempo di scambiare due parole con uno dei pochissimi amici fidati, che arriva l’urlo di un collega appena fuori la toilette: “Correte, correte, venite a vedere”. All’interno del palazzone nero su un terrazzino l’igloo che dà luce ai seminterrati è in mille pezzi e sporco di sangue! Un brivido freddo percorre la schiena di tutti. Chi la chiama al cellulare: irraggiungibile. Chi domanda: l’hai vista? Ma nessuno sa nulla! Andiamo sotto, al seminterrato. E’ lei: un volo di otto piani. Ognuno dice la sua, in tutti l’orrore della scena e l’interrogativo: perché l’ha fatto? E perché sul posto di lavoro? Cosa ha voluto dirci? Arrivano l’amministratore delegato e il direttore. L’ordine è perentorio: chiedere ‘il silenzio’ a tutti su quanto accaduto. E nei giorni seguenti altro ordine tassativo: sul caso si deve tacere. Perché? Si dice per tutela della privacy, rispetto della “nostra cara”. La versione corrente, Giovanna Baino “tragicamente scomparsa”. Poi un ‘Premio’ a lei intestato: ma nessuno vuol raccontare la verità. C’é chi lo chiama ‘abuso di potere’, chi ‘mobbing’. Anche se è difficile stabilire un nesso di causa ed effetto, è tuttavia chiaro che in un clima di angherie, prepotenze costanti, di stress, un corpo già debole e sofferente soggiace e non migliora. Da tempo, Giovanna - e non solo lei – era vittima di pressioni e prepotenze gratuite. Il suo inferno aumentava di giorno in giorno e, lentamente, se la portava via. Lei soffriva, ma allo stesso tempo stringeva i denti cercando di farsi forza, di continuare ad andare avanti. Ma neanche dai suoi amici del sindacato, Fnsi e Stampa Romana, riusciva a farsi capire. I vertici aziendali erano stati chiari: o con me, o contro di me. In redazione, più passava il tempo, più la situazione diventava insostenibile. Alcuni adirono le vie legali, altri resistettero, portandosi dietro tanta rabbia.

 

Le voci fuori dal coro, come Giovanna, erano poche: c’era chi tentava di ribellarsi, ma sapeva che esser contro era una partita persa in partenza. La situazione era veramente triste: nel 2005 si cambiò management e la speranza che fosse l’inizio di una nuova era, ben presto si rivelò una pia illusione: fu un cambiamento solo di facciata, per il resto tutto proseguì come prima, anzi peggio, perché arrivarono i repellenti prepensionamenti: a 58 anni si diventa carne da macello. Poco importa se ciò può compromettere seriamente la vita delle persone: a pagare per le perdite gestionali sono loro, poligrafici, amministrativi e giornalisti: i manager, quasi sempre riciclati da altre aziende del gruppo, restano al loro posto. E i loro lauti stipendi non si toccano. E la direzione? Lì, al suo posto, a cambiare programmi e organizzazione del lavoro, ma con pochi risultati pratici!

La cosa più assurda è che nel mondo del giornalismo, sempre pronto a far le pulci a chiunque fin dentro la camera da letto, riguardo a questa vicenda è calato un silenzio totale. Giovanna era nota nell’ambiente, contava, tra i suoi illustri amici, David Sassoli, Silvia Garambois, Paolo Serventi Longhi e Giuseppe Giulietti. Loro sapevano cosa stava accadendo nella sua redazione, nei suoi confronti e nei confronti di altri, costretti a rivolgersi al giudice del lavoro per ‘dequalificazione’ e ‘demansionamento’, ma preferirono non vedere e non parlare. Ma come? Per Michele Santoro si fa uno sciopero generale, e per una giornalista che portava le sue esternazioni e confidenze intime al sindacato dei giornalisti nessuno ha mosso un dito? Salvo l’Asr, che insieme alla Rai le dedicò, nel 2004, il ‘Premio Giovanna Baino’.

La presidente della Rai, Lucia Annunziata, disse: “Vogliamo ricordare Giovanna dal punto di vista umano e professionale. Ci piace ricordare ancora il suo sorriso, un sorriso particolare, affettuoso, qualche volta amaro, ma di una persona che aveva una forte spinta sociale e che era disposta a discutere con chiunque senza tirarsi mai indietro per difendere le sue idee e quelle degli altri. E ricordando il suo sorriso vogliamo ricordare un’amica che sarà sempre con noi". Paolo Serventi Longhi, segretario della Fnsi, la definì "onesta, trasparente, equilibrata, capace di rendere conto delle opinioni di tutti, anche di quelle contrapposte, rigorosissima e trasparente nei suoi resoconti". Il ‘Premio Giovanna Baino’, a cadenza annuale, consiste in una targa d’argento e in una borsa di studio di 5 mila euro. L’anno successivo, David Sassoli così la ricordò in un’intervista al sito web ‘Recensito’: “Credo che questo premio sia importante, perché pone l’attenzione sulla figura del giornalista di agenzia e, nello stesso tempo, ricorda una collega che, per tanti anni, ha seguito le questioni della televisione e della Rai. Oltre a essere il presidente della Stampa Romana sono un giornalista della televisione. E mi sento coinvolto, anche in questo. Giovanna ha seguito tante delle nostre vicende, specie negli ultimi 10 anni, quando era una delle giornaliste più accreditate. Il fatto che la Rai e tanti altri colleghi abbiano deciso di ricordarla fa onore all’azienda, perché Giovanna non è mai stata molto tenera nei confronti della Rai. Questo va a riconoscimento di un lavoro professionale che lei ha svolto e di cui sentiamo il ricordo.[…] Il lavoro di Giovanna è ancora un ricordo molto vivo”.

Tutto questo potrebbe andar bene, ma perché non si è mai spesa una parola per dire la verità su Giovanna? Come anche su quei quattro redattori costretti a rivolgersi, a proprie spese, ad un legale per vedersi riconosciuti dirittisacrosanti alla salute, alla qualifica, alle mansioni acquisite e sancite dal contratto? Vero è che la sfida è impari: tra Davide, il minuscolo giornalista e Golia, il potentissimo editore a sei zampe! Chissà se il minuscolo giornalista riuscisse, per un sussulto di giustizia, a vedersi riconosciuti i diritti stabiliti dal contratto di lavoro rispetto al potentissimo editore che, distratto dai continui profitti, ha poca considerazione delle persone, salvo i riciclati dirigenti: un’eventuale sconfitta di Golia sarebbe una vittoria anche di e per Giovanna, una inviata speciale, poco gradita, un po’ radicale, un po’ socialista, amante dell’avventura, dimenticata, ancora oggi, in un mare di ipocrisie e falsità.

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