Giorgia Meloni, papa Wojtyla e la scienza
Il governo Meloni promette di sostenere la scienza, ma nel concreto taglia i fondi pubblici, mostra scarso interesse per la ricerca ed eleva il Vaticano a “consulente”. Il chimico e divulgatore Silvano Fuso affronta la questione sul numero 3/2024 di Nessun Dogma.
Il giorno 5 aprile 2024, presso la sala Angiolillo di palazzo Wedekind a Roma, si è svolto l’evento “La Scienza al centro dello Stato”. L’iniziativa è stata promossa dall’Italian Scientists Association (Isa)1, un’associazione che riunisce oltre 500 tra top scientists e professori universitari le cui credenziali permettono loro di ricoprire l’incarico di commissario nella concessione dell’asn (abilitazione scientifica nazionale).
L’evento, moderato dalla giornalista Monica Maggioni, è stato patrocinato dalla presidenza del consiglio dei ministri e ha avuto lo scopo di presentare alle istituzioni e ai decisori politici il Manifesto della Scienza2, un documento elaborato dai soci Isa che affronta alcune tra le principali tematiche di attualità relative alla scienza e ai suoi rapporti con la politica.
La partecipazione all’evento era riservata solo ed esclusivamente agli invitati. I giornalisti hanno potuto assistere da una sala stampa collegata in audio-video e alcune emittenti radiotelevisive hanno trasmesso in streaming l’evento3.
Tra i partecipanti la ministra dell’università e della ricerca Anna Maria Bernini, il ministro della salute Orazio Schillaci, il presidente dell’Isa Antonio Felice Uricchio, il conduttore e divulgatore scientifico Alberto Angela e la professoressa Maria Irene Bellini, insignita nel 2022 del premio riservato alle 40 migliori chirurghe under 40 a livello mondiale dall’Association of Women Surgeons (Aws). In chiusura della prima sessione mattutina è anche intervenuta la presidente del consiglio Giorgia Meloni, alla quale è stata consegnata copia del Manifesto della Scienza redatto dall’Isa.
Nel Manifesto dell’Isa si legge testualmente: «L’auspicio dell’associazione è che il Manifesto avvii non solo un dibattito su questioni di interesse comune, ma anche la creazione di tavoli tematici dedicati all’approfondimento di argomenti specifici, attraverso un dialogo diretto tra scienziati e decisori politici. Un obiettivo ancor più ambizioso sarebbe l’istituzione di un ufficio scientifico e tecnologico che fornisca supporto alla presidenza del consiglio in alcuni ambiti strategici, per rafforzare e promuovere la scienza e la tecnologia italiane, collaborare con enti governativi locali e territoriali, per sviluppare strategie unificate e programmi efficaci nel campo scientifico e tecnologico, coinvolgendo industria, mondo accademico, associazioni e società civile, garantendo equità, inclusione e integrità in tutti gli aspetti della scienza e della tecnologia».
Di fronte a richieste così esplicite che coinvolgono direttamente lo stesso governo, era quindi quanto mai atteso l’intervento di Giorgia Meloni.
Dopo i ringraziamenti e i saluti di rito, e (con riferimento alla presenza di Alberto Angela) aver sottolineato l’importanza della divulgazione scientifica, la presidente del consiglio ha elogiato il Manifesto redatto dall’Isa. Ha poi ribadito la necessità di mettere in dialogo gli uomini e le donne di scienza da una parte con le istituzioni dall’altra, di fronte alle innumerevoli sfide che la società deve affrontare, auspicando un’alleanza tra il mondo della politica e quello della scienza. Ha poi citato la Costituzione che prevede la libertà di politica e scienza. Libertà che «impone e presuppone responsabilità». Scienza e politica, secondo Meloni, sono ambiti distinti ma incredibilmente complementari. Ciascuna deve riconoscere il ruolo dell’altra ed entrambe devono essere «alleate nel perseguire il bene comune». Per corroborare quanto appena sostenuto, a questo punto, Giorgia Meloni non ha trovato di meglio che citare «un grande santo, papa Giovanni Paolo II» che iniziò una delle sue più note encicliche, dal titolo Fides et ratio, affermando che «la fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità»4.
La Meloni ha inoltre aggiunto di essere convinta che: «La scienza e la politica siano come la fede e la ragione, ovvero due ali con le quali l’uomo può spiccare il volo e costruire il bene comune. Però, perché quell’uomo possa volare, le due ali devono riuscire a muoversi insieme, devono riuscire a muoversi in modo coordinato. […] Noi sappiamo che non è sempre accaduto e che si sono scontrate non di rado, per la volontà di dominio che, di volta in volta, ciascuna ha tentato di esercitare sull’altra».
La citazione di papa Wojtyla non è apparsa particolarmente felice. Forse la Meloni non lo ricorda, ma l’enciclica Fides et ratio, pubblicata il 14 settembre 1998, aveva suscitato delusione e perplessità nel mondo scientifico. Come aveva efficacemente sottolineato il fisico Tullio Regge (1931-2014) sulle pagine della rivista Le Scienze5, Giovanni Paolo II aveva mostrato sostanzialmente un atteggiamento di chiusura nei confronti della ragione. Regge sottolineò inoltre come l’enciclica rappresentasse un passo indietro rispetto alle sia pur parziali aperture nei riguardi della cosmologia e dell’evoluzionismo che la chiesa cattolica aveva manifestato in un recente passato. Inoltre, come osservò il matematico Piergiorgio Odifreddi, proprio sulle pagine dell’Uaar6: «Della scienza, Wojtyla parla poco. Non sorprendentemente, visto che egli ritiene che essa si basi sull’evidenza e sugli esperimenti, e che tutta l’attività speculativa dell’intelletto appartenga invece alla filosofia. Benché sembri impossibile, il papa dimostra dunque di non aver mai sentito parlare neppure di Einstein e della scoperta della relatività generale: una teoria completamente speculativa, apparentemente contraria a ogni evidenza, e le cui conferme sperimentali dovettero attendere molti anni! Naturalmente, in Vaticano è invece ben conosciuto Galileo. Sull’imbarazzante vicenda del suo processo, che ha offuscato la credibilità della Chiesa per secoli, la Fides et ratio mantiene il più rigoroso silenzio. Con un voltafaccia che appare francamente eccessivo, Wojtyla cita invece Galileo come un precursore delle posizioni del Concilio Vaticano II sulla compatibilità delle verità di fede e scienza! Salvo poi smentirsi immediatamente, reiterando la posizione del cardinal Bellarmino che molti scienziati, sbagliando, avevano pensato ormai superata: i fedeli non hanno il diritto di difendere come legittime le opinioni ritenute contrarie alla dottrina (ad esempio, il già citato evoluzionismo), e devono invece considerarle come errori».
Come dicevamo, la Meloni, nel suo intervento, ha affermato che «le due ali» della politica e della scienza «devono riuscire a muoversi insieme, devono riuscire a muoversi in modo coordinato». Dopo più di un anno e mezzo dal suo insediamento viene quindi naturale chiedersi se il suo governo si sia davvero mosso insieme alla scienza e in modo a essa coordinato. Purtroppo i fatti non sembrano confermare quanto auspicato a parole dalla presidente del consiglio.
Già nel maggio 2023 la professoressa della Statale di Milano e senatrice a vita Elena Cattaneo inviò al direttore del Corriere della Sera una lettera dal titolo Ricerca: i bandi e le occasioni perdute. Criteri di valutazione e attesa dei risultati: mantenere competitiva a livello internazionale la nostra ricerca scientifica è (anche) una lotta contro il tempo.
Nella lettera la senatrice a vita denunciava i gravi ritardi nella comunicazione degli esiti del bando per la ricerca fondamentale Fis (Fondo italiano per la scienza), finanziato con 50 milioni di euro, nonostante, all’epoca, fossero trascorsi ben diciassette mesi dall’ultimo giorno utile per partecipare al bando (27 dicembre 2021). Analoghi ritardi (per l’esattezza quattordici mesi) si sono verificati anche per il bando relativo ai Progetti di rilevante interesse nazionale (Prin) 2022, dal valore di circa 749 milioni, e di cui solo nei giorni precedenti alla data della lettera erano state pubblicate le graduatorie parziali relative ad alcuni settori.
Ritardi simili hanno inevitabilmente ripercussioni gravissime sulle attività di ricerca, sulla futura carriera dei giovani ricercatori e, in generale, sull’intero Paese.
Anche i criteri adottati nel nostro Paese per la valutazione dei progetti lasciano poi molto a desiderare, come evidenziò chiaramente la Cattaneo: «Quei numeri, combinati con le fragilissime procedure di valutazione di cui disponiamo, lasciano anche presagire che l’esito equivarrà al tiro di una monetina (non gioiscano, quindi, i vincitori, quando finalmente arriveranno gli esiti dei bandi, e non ne soffrano i perdenti). Perché, mentre le agenzie per la ricerca degli altri Stati affidano la valutazione dei progetti nazionali a esperti stranieri, retribuendoli in modo adeguato e richiedendo loro articolate motivazioni a giustificare gli esiti, in Italia – pressoché l’unico Paese europeo a essere ancora privo di un’agenzia per la ricerca – è spesso il collega dell’istituto accanto a farla, nei ritagli di tempo, con una riga di commento e il massimo del punteggio se vuole vedere il progetto vincere, tanti sono quelli che ha sulla scrivania».
Se i bandi fin qui considerati erano stati indetti dai governi precedenti, le cose purtroppo non sono andate meglio per quelli pubblicati dallo stesso governo Meloni o per quelli annunciati e mai pubblicati. Continuava infatti la professoressa Cattaneo: «In questo contesto, a fine 2022 il ministero dell’università e della ricerca (Mur) pubblicava un secondo bando Prin straordinario da 420 milioni, collegato al Pnrr. Anche questo ancora senza esito. A fine 2022 ha pubblicato anche il bando per il Fondo italiano per le scienze applicate (Fisa) 2022: 50 milioni di euro, con la previsione di poterne mettere a bando altri 250 entro il 2025. Sempre nel 2022 era prevista la pubblicazione del secondo bando Fis, valore 150 milioni, di cui tuttavia a oggi non si trova traccia».
Naturalmente le responsabilità non sono solo di questo esecutivo, ma le radici affondano in un sistema oramai sclerotizzato da tempo. Non sembra però che l’attuale governo abbia fatto alcunché per migliorare la situazione. Tutt’altro.
A conferma dello scarso interesse da parte del governo Meloni nei confronti della ricerca, si potrebbe citare il feroce taglio dei fondi attuato dall’esecutivo ai danni del centro Ebri (European Brain Research Institute) di Roma, istituto di ricerca fondato e voluto da Rita Levi Montalcini (1909-2012).
La legge di bilancio approvata dal governo ha infatti negato il contributo di un milione di euro all’anno che dal 2012 permetteva al centro di fare ricerca d’avanguardia. Gli studi da esso condotti hanno permesso di accrescere notevolmente le conoscenze sulla fisiologia cerebrale, fondamentali per lo sviluppo di nuove terapie per gravi patologie del cervello e dell’occhio. Tra queste il morbo di Alzheimer e altre patologie neurodegenerative, la sclerosi multipla, l’epilessia, le malattie neuropsichiatriche, i disturbi dello spettro autistico, il glaucoma e le neuropatie ottiche.
Come ha dichiarato il presidente dell’Ebri, il professor Antonino Cattaneo, neuroscienziato docente di neurobiologia alla Scuola normale superiore di Pisa e membro dell’Accademia nazionale dei lincei: «La decisione del governo determina l’impossibilità di proseguire le ricerche e di sostenere i costi strutturali e l’implementazione e manutenzione dei laboratori e delle sofisticate apparecchiature. Sono costi che non possono essere coperti dai finanziamenti, in larga parte internazionali, per progetti di ricerca competitivi vinti dalle ricercatrici e dai ricercatori»7.
Come ha dichiarato il professor Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto Mario Negri: «Il problema è che in Italia abbiamo governi che ritengono che la ricerca sia una spesa e non un investimento. L’esecutivo attuale e quelli precedenti, perché è successo anche in passato, tagliano sempre in questo settore, ma senza risorse per la ricerca questo Paese non può compiere grandi passi avanti. L’economia e la salute dipendono in misura fondamentale dalla ricerca, alla quale in Italia viene dedicato circa l’1,2% del Pil, mentre la media europea è del 2,3%. Non solo: non sappiamo quando vengono pubblicati i bandi, emessi i risultati e finanziati, c’è una grande burocrazia a cui si accompagna una scarsa efficienza. Abbiamo la metà dei ricercatori per milione di abitanti rispetto alla media europea e si incontrano grosse difficoltà per effettuare la sperimentazione animale, perché c’è una burocrazia spaventosa. Bisogna attendere sei mesi prima di avere un’approvazione, contrariamente a quello che succede nei maggiori Paesi europei. Per farsi un’idea, per avvicinarci alla somma che la Francia destina alla ricerca dovremmo spendere circa 22 miliardi di euro in più all’anno. Manca completamente l’attenzione per questo ambito e per le sue potenzialità nel presente e nel futuro, perché ha una funzione strategica fondamentale. La ricerca viene realizzata dall’industria: manca quella indipendente, che ha maggior margine di manovra ed è effettuata nell’interesse dei pazienti. Quella industriale, invece, inevitabilmente tende a mostrare soprattutto i benefici dei propri prodotti»8.
Anche l’Istituto Mario Negri incontra le sue difficoltà finanziarie. Come lo stesso professor Garattini ha dichiarato: «L’Istituto Mario Negri cerca di essere indipendente anche se non è facile. Le risorse su cui si può contare sono poche: tutti gli enti di ricerca sono in difficoltà. Essendo Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico), riceviamo dei fondi pubblici, ma sono una parte molto piccola del totale di cui abbiamo bisogno. L’Istituto Mario Negri, considerando le sedi di Milano e Bergamo, per esempio, spende circa 33 milioni di euro all’anno e il sostegno pubblico non arriva a coprire nemmeno il 15% della cifra. Fortunatamente siamo molto aiutati da lasciti, eredità e donazioni dei privati, che rappresentano una buona parte delle entrate. Avremmo bisogno di maggior sostegno pubblico: non vogliamo riceverlo gratuitamente, basterebbe che venissero indetti più bandi di concorso per premiare i progetti migliori, ma ciò non avviene perché sono troppo poche le risorse disponibili. Il Paese senza ricerca in tutti i campi non può accrescere la sua economia e non ha futuro. Inoltre, la salute viene danneggiata perché dipende dalle conoscenze che si hanno sull’organismo e sul suo funzionamento. I progetti dei ricercatori e i loro risultati innescano procedimenti virtuosi, perché quello che si scopre su una patologia è utile per curarne altre. Le malattie rare, per esempio, costituiscono casi estremi che possono permettere di capire i danni causati da cambiamenti genetici o altri tipi di anomalie»9.
Non è sembrato inoltre che l’“ala” del governo si sia mossa in modo coordinato con quello della scienza quando il ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, rispondendo a un question time svoltosi al senato il 17 novembre 2022, e commentando il recente via libera dato dalla Food and Drug Administration al consumo umano di carne coltivata negli Stati Uniti, affermò: «Garantisco che finché saremo al governo sulle tavole degli italiani non arriveranno cibi creati in laboratorio. […] Desidero sgomberare il campo da qualsiasi equivoco: il governo è contrario a cibo sintetico e artificiale e ha intenzione di contrastare in ogni sede questo tipo di produzioni».
Le sue dichiarazioni erano principalmente rivolte alla carne coltivata (impropriamente chiamata sintetica) che, come abbiamo già illustrato altrove10 e con buona pace di Lollobrigida, può rappresentare un’interessante e utile innovazione e una valida opportunità.
Il resto dell’intervento di Giorgia Meloni ribadisce la necessità di un controllo da parte dell’etica, e quindi della politica, sulle innovazioni scientifiche. E qui la presidente del consiglio mostra di fare un po’ di confusione tra scienza e tecnica. La scienza, intesa come conquista di nuove conoscenze, non dovrebbe infatti sottostare ad alcuna limitazione etica. Casomai sono le sue applicazioni, ovvero la tecnica, e richiederle. Non a caso Meloni cita la clonazione e l’intelligenza artificiale generativa, sottolineando come non si debba assolutamente «barattare la propria comodità con la libertà». A proposito di I.A. cita il concetto di algoretica, facendo riferimento esplicito, ancora una volta, al Vaticano e a un suo progetto del 2020. Il neologismo algoretica venne infatti usato per la prima volta nel 2018, con la pubblicazione del libro Oracoli. Tra algoretica e algocrazia di Paolo Benanti, frate francescano del Terzo ordine regolare e docente di teologia morale e bioetica alla Pontificia università gregoriana che, guarda caso, è stato posto da Giorgia Meloni a capo della cosiddetta “Commissione algoritmi”, in seguito alle dimissioni di Giuliano Amato.
Ricordiamo anche che Benanti, oltre a essere un religioso e quindi non certo adatto a presiedere un’istituzione che per sua natura dovrebbe essere laica, è un instancabile oppositore della fantomatica “ideologia gender”11. Tra le altre cose, Benanti ha definito «fenomeni da baraccone» quelli «che vediamo al Gay Pride» e, secondo lui, i termini queer e finocchio sono equivalenti12.
Giorgia Meloni conclude poi il suo intervento con una retorica autocelebrazione delle capacità scientifiche italiane, di cui però il Paese attuale sembra aver perso consapevolezza («Italia è convinta di aver perso la capacità di insegnare al mondo qualcosa»). Ribadisce l’importanza di costruire una società della conoscenza («è il sapere che in questo tempo fa la differenza») e la necessità di incentivare lo studio delle materie Stem, favorendo i ricercatori del nostro paese e rendendo l’Italia più attrattiva agli occhi di quelli stranieri.
Ancora una volta, però, le sue dichiarazioni contrastano con l’effettivo operato del suo governo che ben poco ha fatto finora in questo senso.
In definitiva dunque l’intervento della presidente del consiglio è apparso deludente, ma per nulla sorprendente, vista che l’attuale esecutivo in numerose occasioni ha mostrato di essere su posizioni oscurantiste e retrograde, ben lontane da quello che è lo spirito della scienza e dalle stesse richieste che il Manifesto redatto dall’Isa poneva al governo.
Silvano Fuso
Approfondimenti
- go.uaar.it/37n2hvx
- Il manifesto è disponibile qui: go.uaar.it/9yg5ygi
- È possibile visionare la registrazione video dell’intero evento qui: go.uaar.it/xtz4vfu
- La citazione di Giovanni Paolo II da parte di Meloni le è valsa l’assegnazione della “clericalata della settimana” da parte dell’Uaar: go.uaar.it/lkum1uj
- T. Regge, Il dialogo mancato, Le Scienze n. 364, dicembre 1998
- P. Odifreddi, La superbia teologica: go.uaar.it/cgkjbn3
- go.uaar.it/inskzz6
- Ibid
- Ibid
- S. Fuso, Novel food tra innovazione e oscurantismo, Nessun Dogma n. 1/2024: go.uaar.it/6go8tqw
- L. Bernini, Sugli usi e abusi del concetto di «gender»: go.uaar.it/0i0mx3e
- A. Capocci, Paolo Benanti, Il frate nerd fervente militante «anti-gender», Il Manifesto, 7 gennaio 2024: go.uaar.it/xbt77af
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