Nessuno sa con certezza se i franchi tiratori faranno davvero la differenza nell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Si sa solo che loro sono pronti ad agire nel segreto dell’urna, avvolti dalla nebbia del voto segreto, pronti a rimescolare le carte sabotando un candidato non gradito. La corsa per il Colle è entrata ufficialmente nel vivo dopo che il presidente della Camera Roberto Fico ha convocato parlamentari e delegati regionali per lunedì 24 gennaio alle 15. I leader sono al lavoro per serrare le fila dei propri gruppi in attesa dell’avvio ufficiale delle trattative, per trovare l’accordo su un nome che al momento non c’è. Come testimoniano le precedenti elezioni per il Quirinale, maggiore è l’incertezza iniziale, maggiore è la possibilità che gruppi o singoli parlamentari possano votare in autonomia, senza cioè rispettare l’indicazione dei rispettivi leader.
La tabella qui sopra riepiloga i candidati alla presidenza della Repubblica che non sono riusciti a raggiungere il quorum di elezione – i due terzi dell’Assemblea nei primi tre scrutini o la maggioranza assoluta dal quarto – a causa dei franchi tiratori. Il primo candidato “bersaglio” fu l’allora ministro degli Esteri Carlo Sforza nel 1948. Altrettanto celebri furono, nel corso della Prima Repubblica, i naufragi di illustri esponenti della Democrazia Cristiana: l’ex premier Amintore Fanfani nel 1971 mancò l’elezione al Quirinale per soli 112 voti, ma ancora più clamoroso fu l’affossamento dell’allora segretario DC Arnaldo Forlani nell’elezione del 1992: 479 voti al sesto scrutinio, 29 in meno della maggioranza richiesta. Forlani non fu l’unico nome “bruciato” in quella corsa al Colle, segnata dall’inchiesta di Tangentopoli e dalla strage mafiosa di Capaci in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone. Al quattordicesimo scrutinio, l’ex ministro della Giustizia Giuliano Vassalli, candidato dalla maggioranza di governo del Quadripartito ottenne “solo” 351 voti. L’attentato a Falcone, il 23 maggio, accelerò l’accordo tra i partiti sul nome di Oscar Luigi Scalfaro, eletto con 672 suffragi.
Non tutte le votazioni per il Quirinale, comunque, hanno visto come protagonisti i franchi tiratori: alle elezioni “lampo” di Francesco Cossiga (1985) e di Carlo Azeglio Ciampi (1999) il consenso tra i partiti fu talmente ampio da rendere irrilevante il voto non allineato di qualche singolo parlamentare. Ma si sa, la storia è solita ripetersi e durante l’elezione presidenziale dell’aprile 2013 a naufragare nel segreto dell’urna furono ben due candidati: l’ex presidente del Senato Franco Marini ricevette 521 voti al primo scrutinio, 151 in meno del quorum richiesto. L’allora segretario PD Pierluigi Bersani, nel ruolo di kingmaker in quella tornata, convocò a stretto giro una riunione dei gruppi Dem, che con un’ovazione acclamarono la candidatura di Romano Prodi per il quarto scrutinio. Tuttavia il fondatore dell’Ulivo si fermò a 395 suffragi, mancando per un centinaio di voti il quorum richiesto fissato a 504. La coalizione di centrosinistra poteva arrivare a 496 voti e ancora oggi circolano diverse ipotesi su chi sia stato il regista dei “101 franchi tiratori”: anche se probabilmente non si saprà mai con certezza, hanno dimostrato che loro esistono e che al momento giusto possono colpire chiunque. Un promemoria per candidati, dichiarati o potenziali, di quest’anno.