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El Salvador, rapporto di Amnesty: “Allarmanti passi indietro sui diritti umani”

Ventuno mesi fa le autorità di El Salvador hanno introdotto, e via via rinnovato, misure temporanee straordinarie per fronteggiare una crisi di sicurezza che hanno causato allarmanti passi indietro sui diritti umani.

Il giudizio è di Amnesty International, che oggi ha diffuso un rapporto, frutto di tre missioni di ricerca e oltre 80 interviste.

Con oltre 102.000 persone in carcere, El Salvador è lo stato col più alto tasso di incarcerazioni al mondo. Il livello del sovraffollamento è salito al 236 per cento. Sono stati registrati 327 casi di sparizione forzata e 190 decessi nei luoghi di reclusione.

In sintesi, al posto della violenza delle bande criminali si è affermata una violenza di stato che, oltre a causare violazioni dei diritti umani, ha creato paura e sentimenti di vendetta all’interno delle comunità, soprattutto di quelle più povere, per le quali la violenza ha solo cambiato origine.

Non a caso, la maggior parte delle persone finite in carcere dall’introduzione delle misure straordinarie ha tre caratteristiche socio-economiche comuni: bassi livelli d’istruzione, precarietà del lavoro, residenza in aree povere e sotto il controllo delle gang.

Secondo fonti ufficiali, oltre 7000 persone arrestate col sospetto di appartenere a un gruppo criminale sono state scarcerate: un “minimo margine di errore”, stando alle dichiarazioni delle autorità.

Lo stato d’eccezione è diventato uno stato di normalità. Ufficialmente per facilitare l’applicazione delle misure straordinarie, sono state approvate in modo definitivo una serie di riforme a scapito di una serie di diritti, tra i quali quello al giusto processo: l’anonimato dei giudici, la detenzione preventiva automatica per reati legati alla criminalità senza analizzare il singolo caso, la detenzione preventiva a tempo indeterminato per il sospetto di associazione a gruppo criminale o di terrorismo.

Per evitare le critiche le autorità minacciano la stampa, diffondono false informazioni, stigmatizzano l’azione dei difensori dei diritti umani e applicano controlli eccessivi e pretestuosi nei confronti delle organizzazioni della società civile, soprattutto quelle che si occupano della difesa della terra, delle risorse naturali e dell’ambiente o che lavorano accanto alle comunità più marginalizzate.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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