I tempi son proprio brutti per i dittatori. Una volta i
tiranni in pensione finivano i loro giorni in belle proprietà in
Inghilterra, in Francia, Italia o in Svizzera. Non venivano disturbati
da nessuno e potevano continuare a spendere le loro fortune colossali
sparse per le varie banche del mondo. Persino Bocassa "l’Orco della
Repubblica Centro Africana" alla fine non la passò troppo male.
Oggi questo stesso mondo ricco sembra non volerli più
accettare sulle sue terre dopo averli spremuti. Sono costretti ad esili,
sempre dorati, ma lontani dal mondo "libero e democratico". Sono diventati come i rifiuti radioattivi: non si decide di metterli
definitivamente al bando della storia, però tutti li vogliono lontani
dalla propria casa.
Ben Ali è finito in esilio in Arabia Saudita (probabilmente il più stabile e potente stato burattino della zona), Mubarak è a Sharm El Sheik. (Sì proprio così, chi è andato a Sharm sa che lì non è Egitto). Gheddafi probabilmente non si arrenderà. Se cadrà, o sarà giustiziato come Ciaucescu, alla svelta, o come Saddam dopo un finto processo.
In ogni caso un processo vero e proprio contro questi dittatori non ci sarà mai: sanno troppe cose perché rimangano in vita.
Sia come sia, la fine non importa molto. Anche la più brutta delle morti non riporterà mai giustizia a tutti quelli ai quali hanno rubato, ingannato, insultato, ridotto in schiavitù, umiliato, arrestato arbitrariamente, torturato e ucciso.
Un po' più importanti sono invece le fortune astronomiche sottratte ai rispettivi popoli e esportate nelle banche occidentali e nei paradisi fiscali. Che fine faranno?
I beni personali di Saddam, della sua famiglia e quelli dello stato iracheno, ad esempio, furono ritirati in contanti (almeno quelli che erano nelle banche Statunitensi) e portati in Iraq. Ufficialmente, per finanziare la ricostruzione. Erano vari miliardi di dollari. Potevano veramente bastare a ricostruire le infrastrutture del paese e rilanciare l'economia. Invece... nulla! Vaporizzati. L'Iraq è ancora disastrato come all'indomani della guerra. Le strade sono come le ha lasciate Saddam. La ferrovia è un lontano ricordo. La rete elettrica è ancora primitiva e, laddove arriva, assicura una media di 5-6 ore di elettricità al giorno. La barzelletta irachena dice “l'elettricità nel nostro quartiere viene ad intermittenza: un ora non c'è e l'altra dopo… nemmeno”. Anche l'acqua arriva poche ore al giorno. L'industria è quasi scomparsa da tempo e l'agricoltura è ridotta più o meno come tutto il resto. A che cosa sono serviti, allora, i vari miliardi di dollari che Bremer e Negroponte (i due capi successivi dell'Authorità Provvisoria della Coalizione) avevano nelle loro casse all'inizio dell'occupazione? Probabilmente sono serviti per raggiungere il risultato attuale: Il caos più totale. Distruggere una nazione dalle sue fondamenta, dividere la popolazione in etnie, portarla sull'orlo di una guerra civile e stringerla in una corruzione dilagante ha costi piuttosto alti.
I soldi sono, spesso, andati a società americane che hanno subappaltato a società turche che, a loro volta, hanno subappaltato a società egiziane che hanno subappaltato a società irachene per far finta di lavorare e non fare quasi nulla; a compagnie di sicurezza privata (e di insicurezza pubblica), alla creazione di associazioni a delinquere travestite da partiti politici e di balordi in giacca e cravatta travestiti da personalità politiche; ad arricchire capi tribù e capi religiosi fantocci, milizie armate, formazioni militari e paramilitari nascoste, società di pseudo intervento umanitario, affaristi, spie, banditi, criminali, trafficanti di tutto e di niente, muri di cemento armato, filo spinato, attrezzature militari... tutto tranne qualcosa di utile per il paese.
Oggi, sono tanti i paesi che hanno annunciato il congelamento dei beni dei Ben Alì (e Tarabulsi, la famiglia della moglie), dei Mubarak e dei Gheddafi. Ma, dove andranno a finire questi soldi resta un gran punto interrogativo. Gran parte, probabilmente, andrà nel dimenticatoio della storia e se li mangeranno le banche. Come è già successo molte volte con vari conti di capi di stato, di regimi e di piccoli e grandi delinquenti comuni: morti o incarcerati. Un'altra parte sarà utilizzata da ogni paese dove sono depositati al fine di ricattare i nuovi governi che nasceranno dalle proteste (o dalle manipolazioni di esse). «Io ti do indietro i tuoi capitali alla condizione che li usi per fare “questo e quell'altro”. E soltanto se “quello e quell'altro” lo fai fare alla società “Pinco” o la compagnia “Pallino...»
Condizioni inaccettabili in una situazione normale. Popoli che non dovrebbe accettare un nuovo governo corrotto quanto il primo. Ma che, invece, vedono una fetta consistente delle somme restituite finire su conti segreti intestati ai nuovi capi. Insomma, un eterno girare in tondo!
È anche per questo che gli stati potenti stanno premendo con tutta la loro forza affinché queste rivolte portino solo al cambiamento dei burattini che sono al potere e che hanno, come unico scopo, che lo spettacolo si replichi sempre uguale.
Per fortuna le persone in strada sembrano abbastanza coscienti di questi rischi e continuano a mobilitarsi: a Tunisi come al Cairo. Ghannouchi, il nuovo presidente - vecchio primo ministro tunisino - ha dovuto presentare le sue dimissioni, così come quello Egiziano. E il nuovo presidente ad interim ha annunciato l'elezioni di una Assemblea Cosituente.
Speriamo che la stanchezza non si impadronisca dei rivoltosi prima che mandino a casa tutti i dinosauri.