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Domanda al vetriolo: "Dove vai in vacanza?"

Di Francesca Scaglione

In questo periodo c’è una domanda che mi perseguita e che cerco di schivare sempre con prontezza: "che fai d’estate? Parti?" Inutile dire che alle persone che di solito mi pongono la domanda, ribatto immediatamente con un bel: e tu che farai? Lo so non si dovrebbe rispondere ad una domanda con un’altra domanda, ma in questo caso è autodifesa e spero di essere perdonata.

Così inizia la saga dei viaggi di Gulliver, programmati già da sei mesi nei minimi dettagli. Le mete vanno dalla classica e caotica Ibiza alla più “economica” Grecia (ovviamente viene sempre specificato che non si è scelto il posto perché costi meno ma si aggiunge la frase di rito: “ci volevo andare da una vita”), da un soggiorno a Sharm El Sheikh alla lontana e magica New York. Uno che conosco mi ha confessato che andrà a Cuba, per conoscere da vicino una vera “democrazia”, ho capito che il sole palermitano e lo smog avevano compromesso la salute dei suoi neuroni. Tornando alla tristezza della domanda, o meglio all’angoscia di chi la subisce, mi piacerebbe sottolineare che si ripropone in due momenti topici dell’anno. Due momenti che in linea di massima coincidono con Capodanno e Ferragosto. Nel primo di questi momenti c’è la morbosa fissazione che ci si debba divertire “per forza” e chi non ha programmato la partecipazione al mitico “veglione” preceduto dall’acquisto di abiti pieni di paillettes, lustrini e mutande rosse (che sennò sarai sfortunato per un anno intero), è uno sfigato anacoreta.

L’immagine tipo che viene appiccicata addosso ai derelitti del capodanno (io ne faccio orgogliosamente parte) nell’immaginario dei “virtuosi” è quella della famiglia Fantozzi, riunita tristemente a tavola, con un piattino di lenticchie scotte davanti (piatto di plastica) e una bottiglia di spumante di scarsa qualità che non darà neppure la soddisfazione del tappo che fa rumore, dato che o si spezzerà all’interno del collo della bottiglia ( con conseguenti bestemmie del capofamiglia il quale cercherà di rimediare con ogni mezzo, anche col trapano) oppure si affloscerà non producendo alcun suono. Il tutto accompagnato da sguardi imploranti che guardano il vecchio telefono grigio fissato a parete, nella speranza che qualcuno si ricordi di chiamare per gli auguri. Ovviamente non avverrà, e i poveretti prenderanno l’iniziativa. La delusione sarà doppia perché dall’altro capo della cornetta non risponderà nessuno, in quanto tutti saranno al veglione! Mezzanotte e mezza tutti a letto dentro un bel pigiamone di acrilico pieno di pilucchi e con i lacrimoni agli occhi. Il secondo momento, quello legato al ferragosto non è bello quanto il primo ma merita menzione. L’incontro si svolge solitamente in centro città ed è assolutamente casuale. Anzi a dire il vero, si cerca sempre di evitarlo, ma il “nemico” ci punta da lontano e ci scova. Mentre noi siamo alla forsennata ricerca di riuscire a comprare qualcosa non troppo in stile anni ’80 con i saldi, ecco che avviene l’incontro. Dopo tre-quattro secondi di convenevoli ti viene sbattuta in faccia la domanda di cui parlavo all’inizio, accompagnata da uno sguardo avido e bava curiosa del nostro interlocutore. Così con fare indifferente ma profondamente ferito (non lo daremmo a vedere neanche morti), ribattiamo rovesciando la domanda. Sappiamo però che prima o poi toccherà anche a noi. Così mentre la vipera (è quasi sempre una donna) racconta di interessantissimi itinerari cosparsi di pub famosissimi da visitare assolutamente e luoghi pieni di vip “troppo simpatici” (il cosiddetto viaggio culturale) noi pensiamo che sta dicendo un sacco di cazzate e speriamo fortemente in uno sciopero improvviso di tutti i mezzi di trasporto. Intanto continuiamo ad avere per la testa quella maglietta in offerta a 7 euro che poco prima non avevamo acquistato perché c’era sembrata troppo cara e ci concentriamo con tutte le nostre forze affinché nessuno la compri. Per non dire che resteremo in città e subire lo sguardo compassionevole dell’altro/a, abbiamo due opportunità di salvezza. La prima è interrompere improvvisamente la conversazione fingendo di dover prendere al volo l’autobus che sta sopraggiungendo (ovunque sia diretto) con tante scuse. La seconda chanches è spararsi la scusa della nonna che ha avuto un malore (da utilizzare solo se si ha una nonna morta). Entrambe le ipotesi possono risultare fallimentari asseconda del grado di acidità e curiosità del nostro interlocutore: nel primo caso potrebbe dirvi.. “ ma ti accompagno io, dove devi andare? (siete fregati)” nel secondo “speriamo tua nonna si riprenda, altrimenti vacanze rovinate!” (pugnalata!)

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