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«Dobbiamo denunciare ogni forma di integralismo religioso e di identitarismo»

In occasione dell’uscita del libro “Generazione offesa. Dalla polizia della cultura alla polizia del pensiero” abbiamo intervistato l’autrice, la giornalista Caroline Fourest sul n. 2/2022 della rivista Nessun Dogma. Con il suo instancabile piglio laico ci mette in guardia da derive culturali che stanno mettendo in discussione principi illuministi e laicità.

Il suo libro è una denuncia della deriva “woke” che stanno prendendo le giovani generazioni. Non teme di sentirsi dare della boomer?

Non mi lascio mai intimidire quando scrivo. Questo tipo di processo alle intenzioni basato sull’età o sull’identità rivela esattamente il problema che sollevo. ‘Boomer’ indica un’identità sulla quale non si può far nulla. Non si è responsabili della propria data di nascita… Essere “woke” è una scelta, un approccio, con cui si ha il diritto di essere d’accordo o in disaccordo, di cui si deve dunque poter dibattere. Nello specifico comunque non sono una “boomer”, dato che sono nata nel 1975. Quello che mi definisce sono le mie idee. Sono lesbica ma soprattutto femminista, radicale, antirazzista, laica, radicalmente legata tanto all’uguaglianza quanto alla libertà, specialmente d’espressione. E non sopporto l’essenzializzazione delle persone: catalogarle, attribuire loro idee o comportamenti a causa della loro origine, del loro sesso, del loro orientamento sessuale o della loro età. La fluidità è alla base del mio antirazzismo universalista ed è talvolta confusa dall’approccio molto categorico, molto identitario di certi “woke”.

L’intersezionalità è ormai entrata nel dibattito intellettuale e si consolida come visione nell’attivismo. Pure sulla nostra rivista la questione è stata affrontata, da diverse prospettive. Cosa possiamo prendere di buono dall’approccio intersezionale e cosa invece dobbiamo evitare, in quanto laici progressisti e universalisti?

Nel 1997 sono stata co-fondatrice di una rivista, ProChoix, che cercava di dare voce sulla stampa alle lotte antirazziste e femministe partendo dai lavori di Colette Guillaumin, che ho avuto l’opportunità di conoscere e che era una delle madrine della mia rivista, e che viene spesso citata come una delle teoriche di riferimento delle femministe intersezionali. Il problema non sta assolutamente nel cercare la convergenza di queste lotte. Ma sta nel sottomettere il femminismo all’antirazzismo al punto da rinchiuderlo in una visione in cui il sessismo conta solo se proviene da maschilisti bianchi (o ebrei), al punto da chiudere gli occhi quando ci sono dei maschilisti cosiddetti “razzializzati”, e di dividere le femministe in base al colore della pelle, creando delle gerarchie in fatto di vittime o di femministe. Una giovane femminista intersezionale mi ha spiegato un giorno che era più grave lo stupro quando la donna è nera, rispetto a quello di una bianca! Non vedeva proprio quanto era grave, violenta, questa sua affermazione. La realtà è che è più facile sfuggire al reiterarsi delle violenze quando si è autonome finanziariamente, quindi ricche, invece che povere, ma comunque lo stupro è un trauma per tutte le donne. È questo genere di semplificazioni che mi crea un problema.

Le situazioni che denuncia sono rilanciate in Italia soprattutto da giornali e media di destra, mentre quelli di sinistra sono reticenti. Nel nostro paese, ad esempio, lei stessa viene menzionata con una certa frequenza sul quotidiano Il Foglio, che ha un’impostazione conservatrice – non di rado con scivolate all’insegna dell’integralismo cristiano e anti-aborto. Non teme che denunce come le sue facciano il gioco della destra?

Ecco un’altra forma di intimidazione… Non è preoccupante che un giornale di destra citi femministe radicali ma che i giornali di sinistra non le citino per “paura” di fare il gioco della destra. Contrasto la destra cattolica e anti-aborto da venticinque anni, nei miei libri, con la rivista ProChoix, con la rivista Franc-Tireur che dirigo. In Italia forse lo si può ignorare, ma in Francia è impossibile, sono una delle loro bestie nere. Non troverete una mia sola parola che vada nel senso dell’ordine tradizionalista e patriarcale. Combatto tutto questo. Un tempo condividevo questa paura. Mi sono rifiutata di denunciare l’islamismo, ad esempio, per paura di far crescere l’estrema destra. Mi sbagliavo. Bisogna fare entrambe le cose. Denunciare ogni forma di integralismo religioso e di identitarismo. Preferisco appunto che l’allerta sulle derive del “wokismo” venga dal femminismo. Questo mi permette di non lasciare campo libero agli antifemministi e farmi beffe di loro quando denunciano il “wokismo” difendendo al contempo una visione del mondo ben più settaria e identitaria.

Lei stessa rivendica con orgoglio la sua storica militanza per i diritti delle donne e delle persone lgbt+. Ma mette in guardia dalla deriva identitaria che sta prendendo un certo femminismo contemporaneo. In che modo il movimento delle donne può evitare il rischio di settarismo?

Non lasciamo la critica di queste derive agli antifemministi! Ai miei occhi, è la rivoluzione intellettuale più profonda che ci sia, anche quella più intima, lo strumento per decostruire la madre di tutte le dominazioni. Merita di più di queste nuove, e molto recenti, strumentalizzazioni del femminismo. Per molto tempo si è pagato caro il fatto di definirsi “femminista”. Nessuno si sarebbe sognato di dirlo per poter far carriera in politica o a Hollywood. Oggi, e questo è un bene, il femminismo è diventato di tendenza. Il rovescio della medaglia, inevitabile, è che risente di interpretazioni un po’ di “marketing”, superficiali se non opportuniste, quando si crede di poter fare carriera presentandosi come vittima dalla mattina alla sera perché nata donna. Anche quando si è ricca e felice!

Voglio urlare, con Simone de Beauvoir, che non si nasce donna ma si diventa. D’altro canto gli uomini non nascono oppressori e non lo sono tutti. Ciò che mi interessa è decostruire ciò che ci viene assegnato in questa ripartizione di ruoli, così generici e superficiali, per permettere a ognuno di diventare ciò che si vuole essere, senza venire incasellati. Ma se non vogliamo essere incasellati, non si può iniziare a incasellare gli altri. Ad esempio vietandogli di creare o di toccare certi soggetti, o certi ruoli, perché sono uomini, bianchi o cisessuali. Non si può lottare contro una visione settaria del mondo mostrandosi settari. Non ha mai funzionato.

Oggigiorno l’arte – che sia cinema, letteratura, musica o altro – subisce una forte pressione soprattutto via social per evitare di trattare certi argomenti, per conformarsi agli standard del “politicamente corretto” e per dare rappresentatività a categorie discriminate o minoritarie. Il risultato è che gli artisti tendono sempre più ad autocensurarsi per evitare grane. Quale futuro si prospetta per la creazione artistica e come si può invertire la rotta?

Ciò che francamente mi inquieta è che le grandi produzioni e i grandi musei finiscono per rinunciare a delle mostre su temi legati alle minoranze a forza di aver paura di queste campagne, spesso grottesche, contro la “appropriazione culturale”. Capisco che si cerchi di far emergere nuovi punti di vista e nuovi artisti, che diano una mano a dei pittori neri o a delle registe. È molto positivo. Il problema inizia quando si crede di avanzare “annullando” o vietando altri punti di vista, quadri, opere o ruoli, col pretesto che il colore della pelle dell’autore o dell’artista non corrisponda esattamente al soggetto. Quando si arriva ad “annullare” la traduzione della poetessa Amanda Gorman da parte di una traduttrice femminista non binaria, che lei aveva approvato, perché è bianca! Questa follia dell’incasellamento identitario, totalmente binaria, uccide insieme l’antirazzismo e la creatività. In realtà uccide l’arte, la cui forza è di elevarci al di sopra di noi stessi e che può farci entrare nella pelle di un altro. Sono scrittrice e regista, di sicuro ho una sensibilità che viene dal mio percorso, ma per molto tempo al cinema mi sono identificata con degli uomini, come Harrison Ford o Robert Redford. Quando scrivo una storia, io sono tutti i miei personaggi, uomini e donne, bianchi o neri, jihadisti o curdi… È proprio il vantaggio della creazione!

Assistiamo a una strana intesa tra numerosi militanti progressisti e i rappresentanti di minoranze e comunità. I primi si dichiarano liberal ed emancipati, e portano avanti anche lotte lodevoli contro razzismo, intolleranza e per affermare i diritti riproduttivi o delle minoranze. Mentre i secondi spesso hanno un’agenda palesemente conservatrice, se non integralista, identitaria e isolazionista. Perché perdura questa “convergenza parallela”?

C’è del paternalismo e dell’esotismo. Il sessismo o l’omofobia che li scioccherebbero nei bianchi cattolici diventa “accettabile”, persino comprensibile, tra i “razzializzati”. Spesso, hanno soprattutto paura di applicare uno sguardo onesto, equilibrato, e quindi esigente, per paura di essere considerati razzisti… E di colpo, sacrificano i loro valori in nome della convergenza delle lotte, che di fatto è una sottomissione delle lotte.

Racconta di un ambiente universitario dove è sempre più problematico affrontare discussioni libere e portare punti di vista differenti. Degli Stati Uniti fa un quadro preoccupante. Come si evolve la situazione in Francia?

Non di tutti gli Stati Uniti. Alcune sacche resistono. Le serie e le stand up comedy continuano a far vivere, con una certa genialità, uno spirito complesso e critico. Molto più delle università, che sono diventate dei templi del gregarismo e del dogmatismo. La Francia ha preso presto coscienza di questo rischio per la libertà di pensiero e creativa. È poco puritana, ancora molto laica e molto legata a queste libertà. La sua sfera intellettuale e culturale resiste piuttosto bene. Ma l’università si piega e segue il modello americano in questa deriva, in particolare a causa delle passerelle accademiche o per imitazione. E la giovane generazione di artisti si mostra ugualmente molto gregaria, soprattutto quando sogna di fare carriera negli Stati Uniti.

Tra l’incudine delle destre reazionarie e populiste e il martello delle minoranze identitarie e comunitariste, quali prospettive ci sono per un progressismo laico e universalista ispirato ai principi illuministi?

Siamo in tanti ad arginare queste posizioni e questi eccessi. E respiriamo meglio, insieme, quando abbiamo il coraggio di dirlo.

Intervista e traduzione a cura di Valentino Salvatore

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