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Dio e religione. Più etica e più pace per tutti

“Ciò che credo” è sicuramente il saggio religioso più chiaro, più fresco, più dolce e più puro che abbia mai letto (Rizzoli, 2010).

L’autore è Hans Kung, che potrei definire come l’unico teologo che può essere compreso anche dai bambini e dai non credenti. Infatti Kung considera due forme di religiosità: la prima è legata alla “religione ufficiale” di una determinata comunità religiosa e la seconda riguarda la “religione del cuore” e quindi la spiritualità che ognuno porta dentro di sé: “quest’ultima è individuale e combacia solo in parte con quella “ufficiale”. Sapere qualcosa di questa religione naturale, di questa filosofia di vita personale, rappresenta dal punto di vista psicologico una “via maestra” per comprendere nel profondo una persona” (p. 8).

E ogni cosa può andare bene se aiuta l’uomo a essere “autenticamente uomo”; non importa se segue principi vecchi o nuovi (p. 88), anche se la regola aurea fondamentale è il principio di reciprocità: “Non fare agli altri quello che non vuoi gli altri facciano a te”. Purtroppo il male esiste perché l’uomo proviene dal regno animale e spesso e volentieri non riesce a dominare i suoi istinti più primordiali. Però a volte l’essere umano non riesce a dominare neppure le pulsioni più evolute. Infatti “Nessuno può essere libero se costretto ad essere simile agli altri” (Oscar Wilde) e “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Galati 5,1). Pure Maometto ha sottolineato l’importanza della diversità e della libertà umana: “Se Allah avesse voluto, avrebbero fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone” (Corano, sura 5,48).

Sul concetto di fede Kung è molto elastico e afferma: “credere significa ben più che ritenere vere determinate affermazioni di fede. Implica anche ciò che muove la ragione, il cuore e la mano di un uomo, ciò che comprende pensiero, volontà, sentimento e azione. Verso la fede cieca – e verso l’amore cieco – ho nutrito e nutro sospetti fin dai tempi in cui studiavo a Roma; questo tipo di spiritualità ha condotto alla rovina molti uomini e popoli interi. Il mio sforzo riguarda una fede comprensiva, una fede che possa contare non tanto su dimostrazioni serrate, quanto invece su buone ragioni. In questo senso la mia fede non è né razionalista né irrazionale, ma piuttosto ragionevole… oggi più che mai, sommersi di informazioni, in un’epoca tanto confusa, abbiamo bisogno non solo di un sapere puro, fatto appunto di informazioni, ma di un sapere che sia anche metodo per orientarsi: abbiamo bisogno di coordinate e obiettivi chiari. A ciascuno serve una propria bussola interiore, che guidi le decisioni concrete nella dura realtà quotidiana” (p. 9-10-11).

Anche il filosofo Paolo Rossi ha affermato una cosa simile: “Non so se il Pontefice – notoriamente impegnato in una battaglia filosofica contro il relativismo – ritenga che “possedere tutte le risposte” sia illecito e pericoloso in politica e invece auspicabile e benefico nel caso della religione (o di una fra le religioni). Resta comunque vero che la convinzione di possedere tutte le risposte è davvero mortalmente pericolosa perché non lascia nessuno spazio al futuro, rende immobile la vita intellettuale, cancella tutte le nuove domande, trasforma ogni divergenza in una colpa e ogni disaccordo in un pericolo da eliminare”. Quindi la saggezza accumulata nel tempo deve essere reinterpretata e non può esserci la pace mondiale senza la pace religiosa (Kung).

Possiamo anche accennare che dal punto di vista ebraico la concezione di Dio è stata stravolta dai crimini di Auschwitz. Il filosofo Hans Jonas ha scritto: “certamente Dio dovrebbe essere incomprensibile se con la bontà assoluta gli venisse attribuita anche l’onnipotenza. Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile. Il male c’è solo in quanto Dio non è onnipotente. Solo a questa condizione possiamo affermare che Dio è comprensibile e buono e che nonostante ciò nel mondo c’è il male” (Concetto di Dio dopo Auschwitz, 1989). Troppo spesso ci dimentichiamo che Dio è anche l’Inafferrabile, l’Invisibile, l’Indefinibile, l’Inconoscibile.

Quando si pensa agli uomini religiosi che hanno commesso crimini inenarrabili e agli uomini non credenti che hanno salvato vite umane rischiando la propria, diventa più che naturale condividere questo pensiero del teologo svizzero: “anche gli atei e gli agnostici possono condurre una vita autenticamente umana, cioè una vita degna dell’uomo e in questo senso morale. In altre parole: l’ateismo non sfocia necessariamente nel nichilismo” (p. 35). 

Comunque la costante attualità del cristianesimo si realizza nella sua umanità e nella sua libertà dai vincoli culturali e storici: non è cristiano colui che dice solo “Signore, Signore” e professa una fede “fondamentalista”, bensì piuttosto chi si impegna a prendere “Gesù Cristo come punto di riferimento a cui orientarsi. Di più non è richiesto” (p. 236). Gesù è stato un grande provocatore: è stato “l’uomo che rompe tutti gli schemi” (E. Schweizer). Gesù desiderava “un amore creativo, che non può essere richiesto da nessuna legge. “Amore”, una parola che Gesù non usa quasi mai, ma che incarna praticamente la sua massima richiesta: un amore senza sentimentalismi, che rispetta tutti, perfino l’avversario, e che non lascia che un nemico resti per sempre tale” (p. 241). E forse “Gesù stesso non cercò la sofferenza, ma vi fu costretto”. E secondo Kung la sofferenza non avvicina a Dio: “Questo farebbe del cielo un inferno” (p. 274).

Per quanto riguarda la sessualità le varie religioni dovrebbero seguire un approccio più scientifico, e in realtà. “La morale cattolica, che invita a orientarsi secondo natura nello stabilire le norme di comportamento sessuale, in questo caso ha indotto in errore, poiché non ha tenuto conto del ruolo specifico della sessualità. Negli animali, l’atto sessuale è certo al servizio della riproduzione, mentre nell’uomo – in quanto amore sessuale – esso è anche al servizio dell’amore di coppia. A questa nuova funzione dell’atto sessuale, tipicamente umana, va attribuita perlomeno altrettanta considerazione che alla funzione riproduttiva” (I. Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana, 1993, p. 153).

Infine riporto la posizione fondamentale del teologo cattolico che non ama i dogmi: “è sempre importantissimo essere consapevoli che nessuna istanza, né statale ne ecclesiastica, né un uomo di Stato né un papa hanno il diritto di pretendere una fiducia incondizionata e completamente acritica. Vi faccio un breve esempio: il 2 dicembre 1965, alla fine del Concilio Vaticano II, quando ero un giovane teologo, papa Paolo VI in udienza privata mi disse: “Deve avere fiducia in me”. Si poteva dire no? “Io ho fiducia in lei, Santità,” risposi “ma non in tutti quelli che sono intorno a lei”. Una schiettezza inusuale all’interno della curia, che fece trasalire il pontefice. Se, nello spirito conciliare, avesse chiesto il mio servizio per una seria riforma della curia, senz’altro non gli avrei rifiutato la mia fiducia. Ma l’assolutismo del sistema romano, che ha origini nel medioevo e a cui Paolo VI, evidentemente in accordo con lo zoccolo duro della curia non voleva rinunciare, non meritò e non merita nemmeno oggi tale fiducia” (p. 37).

Così per Hans Kung “l’obbedienza assoluta si deve solo a Dio” e da oggi si può concedere la fiducia ad un altro libro.

Hans Kung è un sacerdote, un teologo e un filosofo svizzero. Nel 1979 la Congregazione per la dottrina della fede gli ha revocato l’autorizzazione a insegnare la teologia cattolica (il potere assolutista e accentratore romano in questo caso non ha potuto proibire di pensare e di scrivere). Attualmente è orientato a favorire il dialogo interreligioso: nel 2008 ha vinto la medaglia d’oro Otto Hahn per la pace, grazie al suo “progetto per un’etica mondiale” basato sulla fiducia e sulla coalizione di credenti e non credenti (www.weltethos.org; www.interactioncouncil.org).

Nota - “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5,9). Naturalmente anche gli scienziati possono contribuire alla pace: www.pugwash.org. Il fisico Joseph Rotblat e questa fondazione hanno vinto il Premio Nobel per la Pace nel 1995. Perché anche la scienza deve contribuire alla pace? “Se uno sogna da solo, il suo sogno rimane solo un sogno, ma se sogniamo tutti insieme, allora diventerà realtà” (Hélder Camara). Probabilmente, se in ogni nazione del mediterraneo si leggessero criticamente i tre libri sacri si eviterebbero le guerre (Munib Masri, palestinese di religione cristiana).

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