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Difendiamo la libertà d’insegnamento dalle minacce degli integralisti religiosi

Nelle scuole europee, mostrare caricature su Maometto sta ormai diventando pericoloso. Per fortuna, non sempre quanto lo è stato per l’insegnante francese Samuel Paty, decapitato lo scorso ottobre. Ma un professore belga è stato sospeso qualche settimana dopo, e la stessa sorte è capitata ora a un docente inglese. Semplici coincidenze, o fenomeno che sta diventando frequente?

La vicenda più recente ha avuto luogo in un istituto pubblico, la Batley Grammar School. L’insegnante di studi religiosi avrebbe mostrato una vignetta del Charlie Hebdo durante una lezione sulla libertà di espressione. La notizia, una volta diffusa all’esterno, ha portato alcune decine di musulmani a rumoreggiare ostilmente davanti all’istituto, chiedendo il licenziamento del docente. Non soltanto perché la riproduzione sarebbe, a loro dire, «offensiva», ma anche perché l’islam vieterebbe di raffigurare il suo profeta – anche se su questo punto la dottrina non è unanime.

Un portavoce del ministero dell’istruzione è dovuto intervenire per ricordare che «non è mai accettabile minacciare o intimidire insegnanti». Nel frattempo il preside aveva però già offerto alla comunità musulmana le sue «sincere e complete scuse», dichiarando che l’immagine era «completamente inappropriata». Il docente si è a sua volta scusato, ma non gli è stato sufficiente a evitare una sospensione. Temendo per la sua incolumità, è stato posto sotto protezione da parte della polizia.

A differenza dell’Italia, nel Regno Unito la ‘blasfemia’ non è più un reato, e nemmeno esiste un diritto a non doversi sentire offesi. Naturalmente, anche nella patria di John Stuart Mill le libertà di espressione e di insegnamento sono considerate diritti umani fondamentali. È inoltre alquanto improbabile che un insegnante possa essere licenziato soltanto per aver sottoposto agli studenti del materiale di studio che non tutti condividono. L’atteggiamento della dirigenza scolastica denota quindi un’evidente sottomissione ai manifestanti musulmani. Alla testa dei quali c’era il mullah Abdullah Bahm, già noto per le proteste contro l’introduzione nei programmi di nozioni lgbt: nel corso delle quali, a Birmigham, lanciò persino accuse generalizzate di pedofilia – ovviamente non suffragate da alcuna evidenza.

Nessuno vuol togliere ai leader musulmani il diritto di critica, ma nemmeno è possibile concedere loro (e a chiunque altro) un potere di veto sulle materie di insegnamento. La scuola è per definizione il luogo in cui gli allievi devono essere spinti a pensare con la propria testa, a cercare liberamente la propria strada. La scuola deve formare futuri cittadini, non certo crescere bamboccioni nell’ovatta, ignari della pluralità del mondo reale. Un obiettivo che tanti leader religiosi non condividono, e per questo motivo scelgono spesso la strada delle intimidazioni, che raggiungono inevitabilmente non soltanto il corpo docente. È probabile che, se accontentati, moltiplicheranno le loro contestazioni.

Che purtroppo creano anche autentici bersagli umani. Se avessero veramente a cuore soltanto ciò per cui manifestano, i vertici musulmani prenderebbero risolutamente le distanze dai terroristi, che spesso “traducono” la supposta offesa verso la loro fede in vera e propria giustizia sommaria, com’è accaduto per la strage del Charlie Hebdo, nell’escalation che ha condotto all’assassinio di Samuel Paty e in innumerevoli altre occasioni. Ma preferiscono mantenere accesa la fiamma della contiguità, creando così quel clima di omertà che favorisce una moderna caccia alle streghe.

Proprio per questo, la petizione diffusa da studenti della Batley Grammar School, in cui (in nome delle sue nobili intenzioni) si chiede il ritorno del professore, è una piccola boccata di ossigeno di cui si sentiva il bisogno. Gli estensori mostrano di aver compreso che le libertà di espressione e di insegnamento sono capisaldi di ogni società democratica. Evidentemente, la qualità delle lezioni dell’istituto non è così scadente come pretendono certi esagitati.

Raffaele Carcano

 

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