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Ddl Zan: perché tanto frastuono?

Il Ddl Zan, dopo mesi di campagne e contro campagne, è stato calendarizzato al Senato

Il Partito Democratico e la (sedicente) sinistra italiana stanno cavalcando l’onda dell’interessamento per questa legge sull’incriminazione delle violenze contro le persone LGBTI per raccogliere consensi e prepararsi alle prossime elezioni. I (sedicenti) partiti di destra si schierano contro il disegno di legge, farcendo social media e giornali di discorsi d’odio e pura cattiveria.

Quello che è sconvolgente è quanto qualcosa che non dovrebbe avere nessun colore politico, e cioè la libertà di esistere e di esprimere la propria identità di genere o il proprio orientamento sessuale non conforme al dogma, venga trasformato in qualcosa di divisivo ma soprattutto di discutibile e opinabile. Il Ddl Zan non è altro che un minuscolo passo verso il civile rispetto reciproco tra gli esseri umani: condannare l’odio e promuovere come alternativa interazioni e comunicazioni che siano ispirate da curiosità, considerazione, rispetto. Cosa c’è di male in tutto questo?

Eppure in Italia succede che uno sparuto gruppo di donne si schieri contro la legge perché parla di persone trans, un considerevole numero di uomini capi di partito blateri parole a caso non conoscendo affatto cosa significhi essere una minoranza LGBTI, istituzioni e mostri di potere come la Chiesa cattolica si barcamenano in trattati e ricerche che provano ad “accademicizzare” la repressione delle identità.

Pochi giorni fa l’Olanda ha festeggiato i 20 anni dal matrimonio per le persone omosessuali, mentre in Italia ancora c’è chi festeggia le monche “unioni civili” approvate nel 2016. Comunque vada la discussione del Ddl Zan – venga mozzato come le altre leggi sui diritti LGBTI, venga approvato in toto, venga bocciato – non cresceremo mai come società se non inizieremo ad alzare il livello della discussione politica oltre il livello delle notizie costruite a tavolino, oltre il pensiero anti-scientifico e pseudo-scientifico, oltre l’aggressione verbale e la chiusura all’ascolto dell’altro.

Andrea Ruggeri

 

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