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Da ellaOne alla Gpa: ipocrisie e spaccature di un’Italia moralista e dogmatica

Due notizie degli ultimi giorni ci trascinano violentemente nell’ipocrisia del nostro paese, specialmente quella riguardante il tema dell’autodeterminazione del corpo delle donne. E la contraddittorietà delle due situazioni diventa specchio della spaccatura della popolazione, da una parte progressista e rispettosa dei diritti umani, dall’altra bigotta e guidata ciecamente da dogmi.

La prima notizia riguarda la decisione del Consiglio di Stato di convalidare la sentenza del Tar del Lazio dello scorso maggio che rigettava il ricorso di alcune associazioni cattoliche e anti-scelta contro l’ok dell’Aifa alla vendita della pillola ellaOne senza prescrizione anche alle persone minorenni.

Per chi non lo sapesse, ellaOne è nota alla cronaca come “pillola dei cinque giorni dopo” ovvero un anticoncezionale farmacologico utilizzato come contraccettivo di emergenza. Funziona grazie a un principio antiovulatorio, impedendo quindi che l’embrione si impianti. Questo significa che non può essere considerato un farmaco abortivo ma, appunto, un semplice anticoncezionale. Per questo motivo secondo i giudici non c’è alcuna violazione della normativa sull’interruzione volontaria di gravidanza e, anzi, la decisione tutela le minori che vi fanno ricorso e soprattutto il loro benessere psicologico.

La necessità della prescrizione porta oggettivamente a una minor accessibilità al trattamento, tanto più per una ragazzina che potrebbe avere difficoltà a reperire le informazioni (ricordiamo la resistenza delle scuole a introdurre l’insegnamento dell’educazione sentimentale e sessuale). Oltre a dover trovare lo specialista adatto, infatti, in Italia la piaga degli obiettori di coscienza rende un terno al lotto incrociare il medico che non faccia un intervento moralizzatore, stigmatizzante e lesivo della dignità dell’utente che si rivolge a lui in cerca di aiuto. Lo vediamo succedere quotidianamente per l’Ivg e proprio per questo come Uaar ci siamo impegnati nella campagna Testa o croce? Non affidarti al caso! per sensibilizzare sulla scelta del proprio medico (o ginecologo) e avere trasparenza sulla questione. Accogliamo quindi con sollievo la conferma del Consiglio di Stato della decisione dell’Aifa come un piccolo passo verso la laicità e la garanzia di autodeterminazione.

Ovviamente la gioia dura poco, a 24 ore di distanza apprendiamo che è stata adottata dalla Commissione Giustizia della Camera la proposta di Meloni e Carfagna di perseguire come reato universale la pratica di gestazione per altri (definita dai denigratori “utero in affitto”). Il nostro Stato ad oggi vieta tale pratica e punisce i trasgressori con pene dai tre mesi ai due anni di reclusione e multe salatissime. Il testo proposto da Meloni aggiungerebbe che “le pene si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero” se i cittadini che lo hanno commesso sono italiani.

Nella pratica questa proposta andrebbe a criminalizzare tutti i cittadini e le cittadine del nostro paese che non possono avere figli e che ricorrono alla maternità surrogata in paesi esteri in cui questa è legale, discriminando prima perché italiani e italiane, e poi perché omosessuali. È noto, infatti, che molte coppie omosessuali ricorrano alla gestazione per altri come unico modo per avere figli visto che nel nostro paese l’adozione è preclusa a quel tipo di coppia.

Le firmatarie della legge ribattono che la pratica non è volta a discriminare le coppie omosessuali, ma a garantire l’autodeterminazione delle donne. Questa replica lascia il tempo che trova a un ascoltatore minimamente critico: l’autodeterminazione si ha solo quando la persona è libera di decidere per sé, e se una donna decide liberamente di prestare il suo corpo alla gioia di una coppia, vietarglielo significa impedirle di autodeterminarsi.

Abbiamo iniziato il discorso parlando di ipocrisia e contraddizioni e non possiamo evitare di continuare a vederne ovunque, insomma. Da una parte un passo avanti e dall’altra il tentativo di tornare indietro. L’augurio per il nostro paese, per le donne, per le coppie che non possono avere figli e li vorrebbero, per le coppie che possono averli e, invece, non li vogliono rimane uno solo: la speranza che l’apparato legislativo non sia accecato da pregiudizi antiscientifici moralisti e dogmatici.

Sara Maria Cusato

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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