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Crisi, i consumi aumentano solo nei discount

L'Istat ha diffuso alcuni dati sull’andamento delle vendite al dettaglio nel mese di ottobre. Sembrerebbero positivi, in realtà non lo sono. Infatti secondo l’Istat le vendite al dettaglio a ottobre tornano positive, in crescita dello 0,7% rispetto al mese di settembre e dello 0,9% su base annua (rispetto al mese di ottobre del 2010).

Il mese precedente, invece, sul piano congiunturale erano ancora in discesa. Aggiunge l'Istat che nella grande distribuzione i discount alimentari guadagnano in termini di vendite il 2,9%, così staccando tutti gli altri tipi di esercizi. Sul piano congiunturale – rispetto cioè al mese precedente - se le vendite di prodotti alimentari aumentano quelle di prodotti non alimentari diminuiscono dello 0,1%.

Su base annua – rispetto cioè allo stesso mese del 2010 - l'Istat registra dinamiche opposte tra le vendite di prodotti alimentari, che aumentano dello 0,9%, e quelle di prodotti non alimentari, che scendono del 2,5%. Nel confronto con il mese di ottobre 2010 si rileva una flessione sia per le vendite della grande distribuzione sia per quelle delle imprese operanti su piccole superfici (rispettivamente -0,5% e -2,2%).

Tra gli esercizi non specializzati a prevalenza alimentare, l'aumento più sostenuto si registra per i discount (+2,9%), mentre le vendite degli ipermercati diminuiscono dell'1,3%. Se si analizzano più approfonditamente quei dati essi sono molto meno positivi di quanto l’Istat li fa apparire. Per il Codacons infatti “si tratta solo di un effetto ottico dovuto al fatto che i dati incorporano sia la dinamica delle quantità che dei prezzi”.

Aggiunge il Codacons: “Considerato che nel mese di ottobre 2011, secondo l'Istat, per colpa dell'aumento dell'Iva, si era registrata una inflazione record, su base annua pari al 3,4%, si deduce che gli italiani continuano a mangiare sempre meno rispetto allo scorso anno”. “Un segno evidente -sottolinea il Codacons - della povertà crescente, confermata anche dal calo delle vendite degli ipermercati (-1,3% su base annua) a vantaggio dei discount (+2,9%).

Le famiglie, quindi, sono costrette non solo ad abbandonare i negozi tradizionali, ma anche gli ipermercati che hanno prezzi inferiori anche del 20% rispetto all'esercizio sottocasa”. La stessa posizione è sostenuta dall’ufficio studi della Confcommercio: “Al netto della componente dei prezzi (la variazione è stata pari a +0,5% per gli alimentari e +0,6% per gli altri beni) anche ottobre segnala una contrazione dei consumi reali”.

Il presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigl, evidenzia un dato soprattutto: “Colpisce il calo dei prodotti non alimentari (-2,5% rispetto a ottobre 2010) comune a tutti i settori e a tutte le formule distributive che evidenzia una tendenza a rimandare gli acquisti, orientamento che ci auguriamo possa modificarsi in occasione del Natale, momento decisivo per i risultati complessivi”. Inoltre c’è chi non considera positivo, tutt’altro, l’aumento delle vendite nei discount.

Secondo l'analisi Coldiretti-Swg nel 2011 il 25% degli italiani ha aumentato la frequenza dei discount mentre ben il 38% ha ridotto la propria presenza nei negozi alimentari tradizionali, che rischiano un vero crack mentre tengono sostanzialmente i supermercati. E il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, mette in guardia dalla grande distribuzione low cost: "Risparmiare oltre un certo limite sul cibo può significare nutrirsi di alimenti che possono avere contenuto scadente”, spiega Marini.

Anche la Cia (Confederazione italiana agricoltori) è fortemente preoccupata dell’aumento delle vendite nei discount. Da questo aumento infatti, afferma la Cia, emerge come “le famiglie siano costrette a risparmiare e, negli acquisti dei beni alimentari, a rinunciare spesso alla qualità”. Una tendenza che, conclude l'associazione, “mette a rischio la tenuta del made in Italy agroalimentare e di quelle imprese che hanno investito in tipicità e sicurezza, che vedono compromessi i loro sforzi”.

In conclusione, occorre fare attenzione anche ai dati ufficiali, quelli forniti dall’Istat. Non sempre è “oro quello che luccica”. I dati vanno analizzati con attenzione e non ci si deve lasciare andare ad interpretazioni affrettate.

 

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