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Contrasto d’interessi: la quattordicesima bufala

Il professor Alberto Brambilla è uno dei massimi esperti di questioni previdenziali nel nostro paese. Tuttavia, quando si sposta in ambito fiscale, evidenzia minore robustezza di elaborazione teorica. In questi mesi Brambilla è tornato a rilanciare con forza il proiettile d’argento più amato dagli italiani: il contrasto d’interessi, noto anche col nome di battaglia di “scarichiamo tutto!”

Il claim della proposta di Brambilla è uno di quelli classici: “se potessi avere uno stipendio in più l’anno”, che tanto piace agli italiani, sempre alla ricerca di nuove vie per aumentare il proprio reddito, possibilmente in modo rapido e indolore, senza quei fastidiosi intralci legati alla realtà. “Vuoi guadagnare di più? Chiedimi come”, potrebbe essere il programma di un partito politico. Ah no, che sbadato sono: lo è già.

Ecco il nucleo della proposta di Brambilla:

La proposta è la seguente: per un periodo sperimentale di 3 anni tutte le famiglie possono portare in detrazione dalle imposte dell’anno il 50% delle spese documentate con fattura elettronica (incrocio dei codici fiscali) nel limite di 5.000 euro annui per una famiglia di 3 componenti che aumenta di 500 euro per ogni ulteriore componente; nel caso di incapienza, si possono prevedere misure compensative (es: credito quota asili nido, mense ecc.). I lavori/servizi detraibili sono quelli fatti direttamente dal fornitore della prestazione ai 25 milioni di famiglie: manutenzione della casa (lavori idraulici, elettrici, edili, tappezzerie, mobili), manutenzione di auto, moto e biciclette, aiuti domestici, quota colf/badante. 

 

A che porta, questa meravigliosa idea? Presto detto: ad un risparmio Irpef di 2.500 euro per famiglia, la leggendaria “quattordicesima mensilità” che torme di politici italiani promettono de tempo immemore al popolo stressato. In effetti, dedurre al 50% le spese sino a 5.000 euro dà quel risultato. Altro beneficio, sempre secondo Brambilla, sarebbe quello di contrastare il sommerso. E fin qui, tutto molto banale, pardon, di buonsenso.

Avete notato qualcosa, nella meccanica del provvedimento? Io sì, ed è il riferimento alla fatturazione elettronica. Come noto, col nuovo forfettario, che tassa al 15% i redditi sino a 65 mila euro annui, è prevista anche l’esenzione da fatturazione elettronica. Per non parlare del fatto che tali lavoratori autonomi non sono neppure tenuti ad applicare l’Iva sulle proprie prestazioni.

E quindi, che si fa, almeno secondo Brambilla? Si elimina la flat tax del 15% e si torna al regime precedente. Potrei anche essere d’accordo, viste le distorsioni che il forfettario ha introdotto nel sistema (qui alcuni esempi); ma voi vedete, seguendo l’esempio di Brambilla, colf e badanti che emettono fattura elettronica?

L’articolo di Brambilla ha una peculiarità, a meno che io mi sia distratto: è completamente privo di numeri di previsione del recupero netto di gettito. Zero, nada. Già questo basterebbe per essere perplessi. Brambilla si limita ad una valutazione “qualitativa”, diciamo così:

Lo Stato non fa un guadagno stratosferico anche se le entrate migliorano almeno del 15% che su un’evasione tra Iva contributi e imposte pari a circa 160 miliardi vale comunque 24 miliardi, giusto lo sminamento delle clausole Iva.

Italia, paese di eroi, santi, navigatori (internet) e sminatori di clausole di salvaguardia Iva. Basta questo wishful thinking, per fare funzionare l’idea di Brambilla? Ovviamente no. Ma vogliamo provare a fare due conti sul tovagliolo, prima di ordinare l’aperitivo?

In Italia ci sono 25 milioni di famiglie, come indica Brambilla. Ipotizzate che tutte si avvalgano del bonus di 2.500 euro previsto dal contrasto d’interessi. Con un complesso algoritmo, la perdita di gettito per lo Stato Sarebbe di 62,5 miliardi di euro. Una voragine, no? Eh, ma bisogna considerare il recupero di evasione su imposte dirette ed indirette! Ecco, giusto. Ipotizziamo che valga la cifra di evasione fiscale e contributiva di 160 miliardi, indicata da Brambilla.

Che aliquota media servirebbe, in caso di emersione del nero, per ripagare i 62 miliardi di buco prodotto dal contrasto d’interessi? Anche qui, un complesso algoritmo suggerisce che, in caso di emersione totale del nero di 160 miliardi, servirebbe un’aliquota media di poco inferiore al 39%. Se invece l’emersione di imponibile fosse del 50% (e sarebbe già un evento da scrivere a lettere di fuoco sui libri di storia) l’aliquota di equilibrio salirebbe al 78%. Argh. Aspetta: forse che il contrasto d’interessi produce buchi di gettito? Ah, saperlo.

Forse perché ha già fatto questi calcoletti, Brambilla stesso è preoccupato per eventuali sbracature in termini di perdita di gettito, e quindi alla sua sperimentazione triennale aggancia una clausola di salvaguardia per lo Stato:

[…] si potrebbe pensare all’introduzione di un virtuoso plafond unico famiglia da circa 9 mila euro l’anno (modulabile in funzione del numero di componenti) che si potrà usare, nelle sue varie funzioni, a seconda delle esigenze familiari; lo Stato, con queste forme di welfare complementare e volontario, risparmia ed efficienta i servizi.

Quindi, avete un portafoglio di 9 mila euro annui di sconti fiscali. Se però considerate, come fa lo stesso Brambilla, che già oggi molti contribuenti possono avvalersi di un benefit fiscale fino a 5.164 euro di deducibilità per previdenza complementare, oltre ad altri 3.616 euro annui per sanità integrativa e premi assicurativi sanitari, ecco che in molti non avrebbero proprio spazio fiscale per l’amato contrasto d’interessi. E quindi la nostra ipotetica aliquota d’equilibrio, di cui sopra, si impenna.

Da ultimo, il punto è che il contrasto d’interessi proprio non funziona, con buona pace degli italiani convinti che possa combattere anche calvizie e disfunzione erettile. Vi rimando, per la millesima volta, a questo post del 2006 comparso su lavoce.info, in cui si spiega esaustivamente perché il giochino non funziona. Stampate questo articolo ed appendetelo nella vostra cameretta, vi servirà.

 

Di quel post vi segnalo in particolare nel post l’esempio di vero e proprio contrasto di interessi, quello della deducibilità integrale della spesa per prestazione di servizi. Questo è l’esempio applicabile alla proposta Brambilla, infatti. Leggetelo tutto, numeri inclusi. Nell’esempio, il compratore ottiene un piccolo sussidio netto da parte dello Stato, che sembra ripagarsi ampiamente con l’emersione di imponibile Irpef dal versante del venditore.

Tutto bene, quindi? No:

Anche in questo caso però si aprirebbe un ampio margine di contrattazione fra le parti. Il venditore può infatti proporre al compratore uno sconto sul prezzo della prestazione, che lo compensi per il sussidio fiscale a cui rinuncia non usufruendo della deduzione. […] Se il compratore accettasse, il gettito per lo Stato sarebbe, anche in questa ipotesi, azzerato dall’evasione. 

Quindi, riepiloghiamo. La proposta di Brambilla

  • Verte preliminarmente sull’eliminazione del regime forfettario, quello della flat tax al 15%;
  • Prevede di obbligare a fatturazione elettronica anche soggetti “marginali” che tuttavia si distinguono per la produzione di nero;
  • Non fornisce uno straccio di numero per il gettito netto previsto;
  • È talmente preoccupato dal rischio di una voragine di gettito da inserire un plafond che porterebbe molti contribuenti a non poter neppure utilizzare il contrasto d’interessi;
  • Ignora completamente che molte transazioni di acquisto avverrebbero comunque, con venditori già “emersi” e visibili al fisco. Che significa martellata sulle gonadi per lo Stato ed i contribuenti, in termini di perdita irrecuperabile di gettito;
  • Resta convinto che il contrasto d’interessi possa servire a recuperare evasione. E non è così, matematicamente.

Malgrado la forte tentazione di cedere allo sconforto, non abbandoniamo la speranza di vedere sorgere il giorno in cui lo zombie del contrasto d’interessi verrà trafitto al cuore da un paletto di frassino. Troppo ottimista, lo so.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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