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Cina, il nuovo codice di procedura penale non protegge i diritti umani

Ci sono voluti 15 anni per mettere a punto una riforma del codice di procedura penale cinese. Dopo che finalmente il 1° gennaio di quest’anno è entrata in vigore, Amnesty International ne ha analizzato per sei mesi l’attuazione.

Le conclusioni cui è arrivata l’organizzazione per i diritti umani, rese note in un rapporto, sono deludenti: da un lato, la nuova normativa ha reso legali una serie di pratiche illegali; dall’altro, i miglioramenti introdotti con la riforma non sono stati seguiti dalle autorità locali, giudiziarie e di polizia.

Adesso, sulla base della nuova normativa, la polizia può arrestare persone e, in alcuni casi trattenerle in un luogo segreto fino a sei mesi, senza fornire alcuna informazione ai familiari.

Il 1° giugno Du Bin, fotografo e autore di un documentario che ha rivelato le torture e i maltrattamenti a Masanjia, uno dei più famigerati campi di rieducazione attraverso il lavoro, è stato arrestato dalla polizia di Pechino. È stato trattenuto in custodia per oltre due settimane. Nonostante egli avesse fornito tutti i recapiti, la famiglia non è neanche stata informata dell’arresto.

Le nuove disposizioni continuano a consentire alla polizia di ricorrere a vaghe formule quali “gravi crimini”, “minaccia alla sicurezza dello stato” e “terrorismo” per privare presunti criminali dei loro diritti, compreso quello di poter incontrare tempestivamente un avvocato. In sostanza, questi reati continuano a essere usati per punire chi esercita il suo diritto alla libertà d’espressione e altri diritti umani.

Liu Ping, una difensora dei diritti umani, è stata arrestata dalla polizia il 27 aprile a Xinyu (provincia dello Jiangxi) per l’accusa di “incitamento alla sovversione dei poteri dello stato”. Il processo dovrebbe iniziare oggi. Dal giorno dell’arresto, le autorità non le hanno mai permesso d’incontrare un avvocato, con la scusa che il suo caso riguarda “la sicurezza dello stato”.

Il nuovo codice di procedura contiene una serie di garanzie che recepiscono gli standard internazionali in materia di diritti umani: ad esempio, il divieto di usare in tribunale prove estorte illegalmente, ad esempio confessioni forzate rese sotto tortura. Inoltre, ora gli avvocati possono presentare obiezione sul modo in cui i loro assistiti hanno reso le dichiarazioni usate come prova.

Questa è la legge scritta. Quella usata, invece, dice altro.

Il 4 aprile l’avvocato Wang Quanzhang ha obiettato sulla legalità del modo in cui un suo cliente, un praticante della Falun Gong di Jingjiang (provincia dello Jiangsu) aveva reso le dichiarazioni, ossia mediante la tortura. Il giudice non solo ha respinto l’obiezione ma ha ordinato l’arresto dell’avvocato per aver reso disturbo in aula. Una mobilitazione senza precedenti della comunità online cinese ha costretto le autorità a revocare il provvedimento dopo 48 ore.

Che senso ha introdurre garanzie in tema di diritti umani se poi non vengono attuate? È una storia affatto nuova, riguarda molti paesi. Ma dopo 15 anni, era lecito aspettarsi qualcosa di meglio.

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