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Car-sharing luci ed ombre di un serizio per l’ecologia

Com’è noto, per rispettare Kyoto (meno 6,5 % di emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 nel periodo 2008 – 2012) , oltre all’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, bisogna puntare sulla mobilità sostenibile.

Il car sharing (ovvero l’auto condivisa in italiano, lingua purtroppo in disuso ormai da tempo nel suo paese d’origine, visto il proliferare abnorme di termini stranieri) nasce in quest’ottica .
 
Ecco la tabella delle città dove il servizio è disponibile (dati riferiti a dicembre 2008):
 
 
Inizio
Auto
Utenti
Parcheggi
Bologna
Ago. 2002
43
1.049
25
Firenze
Apr. 2005
28
1.096
22
Genova
Lug. 2004
75
1.851
49
Milano
Sett. 2001
70
1.873
44
Modena
Apr. 2003
18
280
14
Parma
Feb. 2007
21
327
12
Rimini
Estate 2002* Mar.2003
5
60
5
Roma
Mar. 2005
41
1.041
25
Torino
Nov. 2002
100
2.000
70
Venezia
Ago. 2002
50
2.851
11
Totale
 
451
12.428
27
         
 
Nelle intenzioni dei promotori, ossia il Ministero dell’Ambiente, si tratta di un “servizio di mobilità pubblica urbana integrativo al trasporto pubblico “ con due obiettivi generali: 
 
a) diminuire – si presume in modo non irrilevante - il numero di veicoli circolanti nelle aree urbane e, quindi, decongestionare il traffico cittadino, nonché ridurre la superficie di spazio pubblico per la sosta, da utilizzare per altri scopi;

b) soddisfare anche scopi di tutela ambientale, grazie alla riduzione dell’inquinamento atmosferico cittadino e dei consumi energetici (i veicoli adibiti al servizio devono rispettare i limiti fissati dall’Unione Europea di consumo di carburante ed emissioni inquinanti, nonché di sicurezza). Sono obiettivi importanti – se realizzati - per una migliore vivibilità della città, tali da giustificare anche una gestione in deficit. Tre sono – o dovrebbero essere - le carte vincenti del car-sharing per attrarre il possessore d’auto e convincere chi l’auto non ce l’ha ancora a non farsi venire l’uzzolo di comprarsela:
 
1) un notevole risparmio rispetto ai costi fissi di esercizio di un’autovettura di proprietà (“l’importo delle tariffe deve essere tale da rendere nettamente vantaggioso per l’utente l’uso delle autovetture del Car Sharing rispetto a quelle di proprietà “);
 
2) una maggiore flessibilità e comodità rispetto al mezzo pubblico (l’utente ha la possibilità di utilizzare un’autovettura per periodi di tempo anche limitati e ovviamente per effettuare il percorso e le soste che più gli aggradano); 
 
3) privilegi come quelli di parcheggi esclusivi localizzati sulla viabilità pubblica, nonché di accesso a corsie riservate ai mezzi di trasporto pubblico e alle Zone a Traffico Limitato.
 
Vediamo se queste condizioni, e specialmente la prima che è quella decisiva, sono rispettate in concreto. Prendiamo ad esempio il caso di Roma, dove il car sharing è stato avviato nel 2005 nell’area centrale.
 
A) I costi . Si paga una tariffa fissa di abbonamento di 100 euro (150 euro se l’utilizza tutta la famiglia, e se ne può fare uno “di prova” di 3 mesi per 40 euro), più le tariffe variabili di utilizzo (orarie + chilometriche in funzione del veicolo utilizzato), che vanno da 1,80 euro ad ora per una Panda a 2,40 euro per una Multipla, e da un minimo di trenta centesimi a km per una Panda ad un massimo di 40 centesimi a km per un Ducato. Sono costi in ogni caso decisamente superiori al costo di utilizzo di un’auto di proprietà (che ovviamente ha costi fissi molto alti, a partire dal costo di acquisto). Quanto all’autonoleggio “normale”, per un weekend con un chilometraggio massimo di 400 km spendi tra gli 88 euro di Maggiore e i 107 di Europcar, più il costo del rifornimento più 15 euro. Mettiamo che ti fai tutti i 400 km consumando 20 litri (calcolando venti chilometri a litro): spendi alla fine all’incirca 88 + 23 + 15= 126 euro. Se utilizzi il car sharing per 400 km, senza considerare i 120 euro di abbonamento, spendi come minimo 400 per trenta centesimi (cioè 120 euro), più quarantotto ore per 1,80 euro (86,40 euro) = 206, 40 euro, cioè ottanta euro in più.
 
B) La fruibilità del servizio. Difficile, a volte, trovare libera la linea telefonica di prenotazione, o trovare l’auto desiderata nel periodo desiderato e nel luogo desiderato o trovare materialmente l’auto prenotata (l’auto c’è ma non nel suo parcheggio e se si prenota l’uso da internet, non viene segnalato il "fuori stallo") o – la cosa forse più seccante - parcheggiare l’auto al rientro negli appositi stalli di sosta regolarmente occupati dai soliti furbi etc. (così ti tocca chiamare il call center, sperando che risponda subito, sennò c’è il rischio di ritrovarsi addebitati a fine mese altri 25 euro di multa per ritardo nella consegna, e segnalare il parcheggio occupato, poi cercartene un altro…).
 
Con l’autonoleggio normale puoi anche lasciare l’auto in un’altra città (paghi però come minimo trentanove euro in più) . Però non hai la comodità di prendere l’auto a tutte le ore utilizzando la smart card (che purtroppo si smagnetizza abbastanza facilmente). 
 
Se poi uno becca una contravvenzione col car-sharing, l’iter burocratico di notifica è tale che alla fine, per una multa, mettiamo, di 36 euro per sosta vietata, ci si ritrova a pagare, con le spese di notifica prima alla società proprietaria delle autovetture, poi al gestore del car-sharing che la smista al malcapitato, ben venticinque euro in più .
 
Aggiungasi che i tanto decantati vantaggi del servizio (tipo la possibilità di entrare nelle ZTL) svaniscono appena si superano i confini cittadini.
 
Insomma, tra costi non economicissimi , falle nella gestione e vessazioni all’utente, uno dopo un po’ di car sharing rischia di averne già abbastanza. Ma il vero buco nero sono i costi. Se, anziché fornire un servizio di pubblica utilità e con tutti crismi, si punta soprattutto a far quadrare i conti, la cosa si ritorcerà contro i suoi autori. Perché, che senso ha un car sharing azzoppato da una scarsa diffusione ?
 
 
 
 
 
 

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