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 Home page > Attualità > Società > Capitalismo assoluto: è possibile un’altra politica?

Capitalismo assoluto: è possibile un’altra politica?

Finirà che a forza di descrivere come dover cambiare il modo di far politica e gestire il bene comune consumerò i tasti di mille tastiere ed i polpastrelli delle mie dita, oltre alla vista di chi avrà la voglia di continuare a leggere, ma insisto, lo farò sino al cambiamento avvenuto, spero molto, ma molto, presto.

Va arrestata questa deriva insensibile al degrado del paese, completamente votata su conflitti per il potere fine a se stesso; l’obbiettivo deve essere la nascita di una nuova intesa politica votata al miglioramento del bene comune ed al ristabilimento del senso civico.

Si parla spesso dei tasti dolenti della gestione politico istituzionale degli ultimi anni tra i quali puntualizzare certamente, ma non solo:

-Giustizia lenta e a volte parziale.

-Tassazioni rivolte ai settori dipendenti ed autonomi anziché al concorso alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, sul dettato dell’articolo 53 della Costituzione.

-La non applicazione reale degli articoli 36 e 38 della Costituzione stessa, tesi all’intenzione chiara di garantire ad ognuno una vita dignitosa e dei servizi sociali che consentano l’esistenza di un sistema di previdenza sociale che non lasci nessun ammalato e nessun anziano nella miseria.

-Il costo economico di un esteso ceto politico centrale e locale, compreso del suo entourage di consulenti ed affini, associato al costo di spese militari enormi ed oltretutto illegittime, almeno fin quando esisterà questa costituzione.

-Il controllo partitocratico dell’informazione e dell’istruzione.

-La mal gestione, certamente voluta, dei fenomeni migratori.

-La distruzione, in fede ad un affarismo immobiliare, dell’ambiente naturale e del patrimonio storico ed archeologico.

Sicuramente gli ultimi governi di marca berlusconiana hanno sottoscritto pienamente tutte le mosse che andavano ad ingigantire quanto qui sopra citato, ma anche i governi precedenti, di altra marca non hanno fatto nulla di diverso; nessun intervento in merito, stessa politica, stessa fede nel potere e nel denaro, stessa fedeltà alla casta di privilegio in cui dimorano. Questo genere di politica ha dissolto gli estremi degli schieramenti, coloro che cercavano almeno il minimo del rimedio e della giustizia sociale, riducendo così la piazza politica in un pensiero ed un’agire unico semplicemente gestito da attori dai diversi nomi di partito.

Occorre debellare la dicotomia “destra-sinistra” e votarsi al cambiamento del sistema, ormai è lotta per la sopravvivenza, eppure se da qualche settore del fronte di destra arrivano aderenti (soprattutto ex leghisti) il popolo di sinistra sembra del tutto incapace di vedere la sostanziale indistinzione fra destra e sinistra, e di trarne le conseguenze, accetta ancora di tutto purchè fatto da un governo di sinistra.

Agli appartenenti a quest’area ed al resto del popolo di destra sfugge qualcosa.

Da una trentina d’anni si è imposta un’ organizzazione sociale, un modo di produrre, consumare, vivere, per il quale usiamo l’espressione “capitalismo assoluto”, del tutto insostenibile nel tempo, cominciamo ad assaporarne gli effetti, insostenibile sul piano geopolitico, sociale, ecologico.

Per chi “vede” è chiaro che geopoliticamente parlando una sola nazione impone scelte e guerre.

Per chi “vede” è chiaro che nel sociale ciò che rappresenta un profitto monetario privato porta all’aumento del disagio, all’insicurezza, alla difficoltà dei più, generando tensioni che minacciano la stabilità sociale e il legame fra gli individui.

Per chi “vede” è chiaro che, ecologicamente parlando, l’idea di uno sviluppo economico illimitato è incompatibile con la finitezza del nostro pianeta, delle risorse, dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo.

Per chi “vede” è chiaro che siamo in preda ad una profonda crisi di civiltà.

Di fronte a tutto quanto elencato c’è poco da rivolgersi a destra e sinistra, in quanto entrambe le scuole di pensiero riconoscono, senza alternativa alcuna, un unico pensiero: il capitalismo assoluto.

Il fatto che l’intera politica”tradizionale” si sia assoggettata a quanto sopra fa si che le scelte economiche e sociali, siano sottratte alla politica, alla quale non rimane, semmai, che il compito di gestire le reazioni sociali. Priva del “Potere” la politica si riduce al “potere”, alla salvezza dei propri privilegi.

Volete un cambiamento, salvare natura e società? Abbandonate destra e sinistra, esiste una sola contrapposizione: il bene comune (noi), la cerchia degli “eletti” (loro).

Sono anni che scrivo di Democrazia Diretta e Partecipata, di Federalismo, di Comunità Locali e guarda caso proprio dalla Val di Susa e da Vicenza, le comunità locali hanno saputo mobilitarsi e combattere in difesa del proprio territorio.

Nasce il cambiamento, la rivolta, proprio dal territorio, aggredito continuamente e violentemente.

L’esigenza è, oltre alla diffusione delle difese locali, è l’espansione ad una dimensione nazionale. Siamo arrivati al paradosso che la Val di Susa va alla manifestazione di Vicenza contro la nuova base e viceversa, cioè al fatto che un territorio esprime solidarietà ad un altro territorio, senza che esista un riferimento politico nazionale per le lotte di entrambi.

Su quali basi fondare il nuovo movimento di pensiero? Intanto, magari, su quello che abbiamo, la nostra costituzione, se ben letta e ben applicata è una buona carta, concordo in sostanza con questa descrizione trovata sul web:

“Questo splendido risultato della Resistenza antifascista, questa sintesi di alto livello delle tre grandi tradizioni di pensiero liberale, cattolica, social-comunista, contiene in sé, come abbiamo visto, quei germi di civiltà che costituiscono altrettante pietre d’inciampo per la progressione distruttiva del capitalismo assoluto”.

Il tempo scorre però, ed anche veloce e vorace, il futuro nostro e dei nostri figli non può attendere ancora molto questo agire, locale e nazionale.

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