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CISL Scuola più papista della diocesi

Nell’anno scolastico in corso, ai sensi della legge 92/2019, ha preso il via l’insegnamento dell’Educazione civica (IEC), previsto su 33 ore obbligatorie. Tali ore possono essere distribuite su più materie, ma è illegittimo che tra esse sia compreso l’insegnamento della religione cattolica (IRC) se anche un solo alunno non si avvale di tale materia confessionale.

 La legge è chiara, tanto per l’Uaar quanto per gli uffici diocesani che si occupano di IRC. Ma non per CISL Scuola, che pretende di trasformare una materia facoltativa e dottrinale in una obbligatoria per tutti. Più papisti del papa, come si suol dire.

Dallo scorso dicembre l’Uaar denuncia il colpo di mano che mira a rendere obbligatoria l’ora di religione “magicamente” convertita in IEC anche per chi, esercitando un diritto costituzionalmente garantito, l’IRC non lo vuole subire. L’Uaar ha dato supporto a numerose famiglie che non accettavano questi tipi di pressioni e di violazioni della libertà di coscienza scrivendo al ministero, dando spazio a testimonianze, inviando pec alle scuole che — forse seguendo le faq diffuse da CISL Scuola — costringevano ragazze e ragazzi non avvalentesi a subire le lezioni del docente scelto dal vescovo.

La legge 92/2019 dice chiaramente che l’IEC deve “svolgersi nell’ambito del monte orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti”. E visto che l’IRC non fa assolutamente parte del monte ore obbligatorio, come l’Uaar così anche il Portale IRC della diocesi di Milano spiega che «non è previsto, dunque, che l’IdRC proponga contenuti dell’educazione civica a coloro che non si avvalgono dell’IRC». Le faq di CISL Scuola difendono invece l’indifendibile, smentendo le diocesi e arrivando a suggerire di fatto di portare in classe (a forza?) chi legittimamente non frequenta la scuola quando suona la campanella d’inizio dell’ora di religione cattolica.

Andiamo a leggere qualche passo di queste discutibili faq. Alla domanda n.1, “L’Insegnante di religione può insegnare educazione civica?”, CISL Scuola risponde senza mezzi termini che può farlo, ma cita solo il comma 3 dell’art.2 della legge 92/2019, sorvolando sul fatto che il comma precedente impone che l’IEC deve essere limitato alle materie del monte orario obbligatorio, di cui l’IRC di certo non fa parte per chi ha disposto di non avvalersene. Facendo finta che il comma 2 non esista, nella faq n.3 CISL Scuola decreta che vengono superati “i canoni della tradizionale disciplina, anche di quella di religione, per cui l’insegnante che svolge una di queste 33 ore in quel frangente non sta più insegnando la propria materia, ma la nuova disciplina di educazione civica”. La partenza per la tangente confessionalista è ormai avviata, e CISL Scuola delibera alla faq n.6 che l’alunno che non si avvale dell’IRC deve essere costretto a seguire la lezione facoltativa dell’IRC. Come anticipato, la prodezza che spicca su tutte viene raggiunta dalla faq n.7 e ripresa dalla n.9: “L’alunno non avvalentesi che ha scelto l’opzione uscita da scuola ha diritto di non partecipare all’ora di educazione civica perché coincidente con l’ora di religione?”. Più papista della diocesi, CISL Scuola stabilisce che “No. Anche se affidata al docente di religione e svolta durante la sua ora curriculare, si tratta di altra materia, e l’alunno non avvalentesi è tenuto a svolgere una delle 33 ore di educazione civica previste dalla normativa”.

Un sindacato è un’organizzazione democratica prevista dalla Costituzione e ci si aspetterebbe che prestasse attenzione alla libertà di coscienza degli studenti e delle loro famiglie, già messa a dura prova da un esercito di docenti della scuola pubblica tenuti a impartire un insegnamento “conforme alla dottrina della Chiesa” e retribuiti con lo stipendio da dipendente statale solo perché il vescovo ha rilasciato loro l’idoneità diocesana. Nell’attesa che altre sigle sindacali si esprimano dissociandosi dai pareri di CISL Scuola, ci si aspetterebbe che un sindacato un briciolo laico mettesse in discussione questa selezione vescovile di dipendenti pubblici, perché avviene su criteri insindacabili.

Roberto Grendene

 

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