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Burkina Faso, la gente "fa il vuoto" ai golpisti

Dal nostro corrispondente a Ouagadougou Stefano Dotti

Venerdì 18 settembre 2015, ore 3.50

La notte sta trascorrendo tranquilla, il coprifuoco è stato rispettato. Qualche barricata e molti copertoni bruciati per la strada. Ma la gente è rimasta tranquilla. Le ronde militari hanno trovato “il vuoto” . C’è un silenzio che rimbomba dentro e latrati di cani, i veri padroni di questa città fantasma. È un buon segno. In questo momento, lo sussurro e lo urlo da ieri, la priorità è quella di evitare il massacro. L’orgoglio, la fierezza, l’amore per la vita e l’intelligenza di questo popolo sembrano farsi strada nell’assurdo di quello che è successo. È troppo presto per dirlo, ma la speranza è forte e i segnali incoraggianti.

Il governo golpista sta delirando. Emette comunicati strampalati dicendo che tutto è sotto controllo, che tutto l’esercito lo appoggia, che c’è spazio per trattare con i partiti politici e sindacati, che le forze internazionali sono intenzionate a seguire il loro processo rivoluzionario di difesa della democrazia. Questo fa arrabbiare, ma è il segno di una grande debolezza. Cercano di fare leva sull’ignoranza e la disinformazione delle persone, ma non hanno capito che i tempi sono cambiati, che il mondo è cambiato.

Stiamo assistendo agli ultimi colpi di coda di un regime putrefatto dalla propria prepotenza, dall’egoismo e dalla corruzione. Jengerè, da 27 anni uomo ombra di Blaise Campaoré, responsabile di tutte le più gravi nefandezze di quell’epoca, è uscito allo scoperto e non ha più scampo. Certo la guardia presidenziale ha le armi e soprattutto ha gli ostaggi. Ma per ora trova il vuoto davanti a sé.

Vediamo come si risveglia la città. Noi saremo impegnati a fare le scorte, a cercare riso, pasta, acqua e sigarette. È iniziata la lunga marcia verso la disobbedienza totale, verso la resistenza passiva. E il sacrificio di sgattaiolare alla ricerca di provviste è solo un piccolo prezzo da pagare in confronto all’aspirazione della libertà. Sono fiero di avere accanto a me gli amici burkinabè. Mi stanno insegnando molto: il silenzio come maniera di comunicare, lo sguardo come modo di trasmettere amore, il sorriso come tentativo di non farti sentire diverso, il non giudizio per oltrepassare le barriere mentali e culturali. Sono consapevole che questa volta la via per scrollarsi di dosso la cancrena reazionaria sarà lunga e difficile. Ma sono anche orgoglioso di condividere con questo popolo l’aspirazione umana a un mondo più giusto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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