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Buono è chi il buono fa: a proposito del rilancio del riarmo nucleare

Ieri (11 novembre 2015) su Repubblica compare un articolo a firma di Nicola Lombardozzi: “Putin rilancia il riarmo nucleare“. Secondo il leader russo è – ovviamente – “una necessaria contromisura alla politica degli Stati Uniti”. Il problema, dal suo punto di vista, è mantenere la PARITA’ nucleare che Washinton starebbe mettendo in discussione. Scrive Lombardozzi:

Gli americani rimproverano alla Russia il dislocamento di missili balistici ISKANDER nel territorio enclave di Kaliningrad incastrato tra Lituania e Polonia. Il Cremlino dice che quella fu già una contromisura rispetto all’avviamento dei progetti per lo scudo missilistico che circonderà di fatto il territorio russo“.

Il rafforzamento delle forze nucleari russe annunciato da Putin, ricorda Lombardozzi, “segue di pochi giorni il lancio di prova dell’RS24, un missile balistico di ultima generazione che ha attraversato 6.000 km del territorio russo… L’RS24 ed altri ordigni in segreto allestimento sono stati realizzati per il superamento dello scudo antimissile progettato in Europa da Bush e difeso con poche irrisorie modifiche da Obama

C’è un riarmo nucleare russo, ci informa il giornalista Lombardozzi di “Repubblica”. E c’è un riarmo nucleare americano, ci dice e documenta un altro giornalista che scrive su un quotidiano che si vanta di essere “dalla parte del torto”. Anzi secondo quest’ultimo il riarmo russo è solo una “difesa” da quello USA e NATO. Fin qui i “giornalisti”.

Ora facciamo entrare in campo l'”antigiornalista” (come autoironicamente mi definisco) che pone delle domande laddove il senso comune (che non è il “buon senso”) interviene con la sua logica faziosa dell’amico-nemico: chi è il “buono” e chi è il “cattivo”? Magari nella variante: chi è il PIU’ buono e chi è il PIU’ cattivo? Vale a dire: con CHI ci dobbiamo schierare? CHI è il buono che dobbiamo difendere contro il cattivo che lo attacca?

La risposta potrebbe essere: il buono è chi dice di volere la PARITA’ (nucleare) mentre il cattivo è quello che è accusato di perseguire la SUPERIORITA’. Ma state pur sicuri che questo cattivo, chiunque esso sia, accamperà ragioni di sicurezza. Si giustificherà: “non punto alla superiorità ma semplicemente a crearmi uno scudo difensivo che mi garantisce dagli attacchi“.

Per non farla troppo lunga, l’antigiornalista è, immodestamente, uno che ha capito che bisogna comunque rifiutare il gioco della potenza: se si cerca l’assoluta parità e la sicurezza sulla base della possibile distruzione altrui, trattandosi di armi nucleari, quello che si ottiene è che si salta tutti in aria prima o poi. Solo una grande fortuna ci ha finora salvati.
La “deterrenza” nucleare, in qualsiasi modo declinata, non è affatto la polizza di assicurazione per la vita, ma la garanzia che – per incidente, per caso o per errore – si arriverà CON SICUREZZA all’estinzione universale della vita.

Albert Einstein sentenziava: “O l’umanità distruggerà gli armamenti o gli armamenti distruggeranno l’umanità“. Per convincersene con dati di fatto alla mano consiglio la lettura di “Comando e controllo“, di Erich Schlosser (Mondadori, 2015). Quindi il “buono” non è il secondo o il terzo posizionato nel gioco della potenza, che aspira a raggiungere la parità con il primo nell’arroganza e nella minaccia distruttiva (o non vuole perdere terreno). Il “buono” è chi non gioca a quel gioco, ma gioca un altro gioco: quello del disarmo subito (per esempio con atti unilaterali, magari graduali) e della pace.

Poniamo mente locale alla Cina: anche questa potenza ha programmi di riarmo nucleare e vuole porsi in una zona intermedia, sulle 1.000 testate, staccando Francia e Gran Bretagna.
Per questo – sostiene l’antigiornalista, che non si beve la favola dell’atomo di pace – la Repubblica Popolare Cinese sta sviluppando un massiccio programma di costruzione di centrali nucleari: 6-8 all’anno fino al 2030. Il legame tra nucleare civile e nucleare militare lo approfondirò con molte amiche ed amici coautori di un libro che sta per uscire per i tipi della Mimesis edizioni.

DA CHE PARTE DOBBIAMO STARE, ALLA FIN FINE?
Siccome siamo buoni e magari ci piace chi sta nel torto (come recitava, appunto, la pubblicità di un quotidiano comunista) non scegliamo l’impero più grosso, anche se declinante, né quello emergente, ma prendiamo invece le difese di un impero in disgregazione? E se provassimo a non schierarci con nessun impero, sia esso grosso, medio e piccolo, sia in fase offensiva o difensiva, sia esso nel momento espansivo o nel momento del tramonto?

SE PROVASSIMO A STARE DALLA PARTE DELL’UMANITA’ TUTTA?
I cinici della realpolitik osserverebbero subito: bravi gli allocchi! Che parte mai è codesta? Significa nessuna parte: stare con nessuno, non contare niente, anzi avallare i rapporti di forza vigenti, fare oggettivamente il gioco del più forte. C’è una quota di verità in questa osservazione, e difatti per una nonviolenza strategica e pragmatica, quella inaugurata dall’orientale Gandhi, esiste il problema di una etica della responsabilità, di considerare gli effetti concreti, nel parallelogramma delle forze dato, delle scelte che si fanno o non si fanno.
Comunque sia, diventa allora importante che l’esistenza di una entità chiamata “UMANITA'” sia riconosciuta da un diritto internazionale che sostanzialmente non prevede il concetto (l’attore supremo se non unico devono restare i singoli Stati!). Di qui l’utilità del progetto di Hollande, che intende varare e lanciare dalla conferenza sul clima di Parigi una “Dichiarazione universale dei diritti dell’umanità”.

L’iniziativa non è considerata degna di essere riportata dai media mainstream? La cosa non mi stupisce! Essi strutturalmente separano e isolano i problemi, per la COP 21 di Parigi vale solo il taglio della CO2 a prescindere da tutto il resto (ad es. Cina e Usa, ma anche la stessa Francia tenteranno di fare passare il nucleare come energia “pulita”, perché l’unico problema è “decarbonizzare”). Ed è una tendenza che di solito imitano – è la mia modesta opinione, per carità – i movimenti poco maturi a rimorchio dei media, anche perché è solo così che ottengono un po’ di spazio sui giornali.

Ma un movimento veramente alternativo, ne sono convinto, deve opporsi a ciò, a questa forma mentis, deve unire e sinergizzare ciò che il potere divide e “specializza”. E’ compito nostro – credo – dare il giusto peso a ciò che per i politicanti ha solo un valore elettorale e di immagine e non di sostanza.

Se Hollande per farsi bello fa firmare gli Stati, la maggioranza degli Stati, sul “diritto alla pace” previsto all’art. 9 della sua Carta (per lui è più facile che per noi) ed introduce il principio giuridico dell’umanità nel diritto internazionale dobbiamo fare in modo che, in un certo senso, la sua vanità lavori per noi.

Se il Giappone propone di abolire le armi nucleari non gli diciamo affatto no (vedi veto di Russia e Cina all’ultima Assemblea generale dell’ONU) solo perché si contraddice con il sé stesso neomilitarista (e cambia la costituzione pacifista con l’appoggio del partito emanazione della SOKA GAKKAI, altra contraddizione). Le cose giuste vanno recepite a prescindere da chi le propone, mettendo in secondo piano le beghe di potere e di potenza. O no?

E’, ritengo, un insegnamento gandhiano da accogliere: il “che cosa” e il “come” è più importante del “chi”, cui dobbiamo dare un valore relativo. Insomma non vale “omnia munda mundis”. Torno alle categorie semplicistiche del “buono” e del “cattivo”.

Sono buono se faccio cose buone, sono cattivo se faccio cose cattive: e difatti mi reputo, a dirla in modo forse alquanto ingenuo (ma non importa!), personalmente in parte buono ed in parte cattivo. Perfino quando sono convinto di fare cose buone devo inoltre dare per scontato che – essendo oltretutto la realtà caos, complessità e conflitto – ci sono sempre aspetti cattivi nelle mie azioni, nelle loro modalità e nel loro risultato oggettivo, anche se non ne sono affatto consapevole. Questo vale – è la tesi su cui invito a riflettere – per i singoli, ma anche per i movimenti collettivi.

Mi ha stupito la profondità e semplicità della risposta che mi ha dato il giovanissimo receptionist dell’Hotel Torino a Parma, dove ho partecipato al seminario con Serge Latouche (si è svolto il 5 e 6 novembre scorsi): “Cosa è per te la decrescita?”
Ci pensa un po’ e poi fà: “Dobbiamo tutti darci una calmata e ridimensionarci, signore”.

(Foto di Takver via flickr.com)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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