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Bologna: lavorare nell’amianto e morire

Antonio Casillo è un metalmeccanico e sindacalista, memoria storica delle Officine Casaralta a Bologna e dunque dei morti per amianto, delle verità taciute, dello smantellamento di realtà produttive.

I ricordi di Antonio Casillo conversando con Lella Di Marco

Questo suo lavoro di scrittura – conversando con Lella Di Marco che lo ha sollecitato a raccontare – è dedicato a tutti i compagni della fabbrica, a quanti sono morti a cause delle condizioni barbare nel lavorare; in particolare a Nicola Palladino che ha continuato a lottare nonostante la malattia lo avesse già colpito.

Antonio Casillo dice di essere ancora vivo e sano perché nel suo lavoro alla Casaralta non è stato a lungo a contatto con l’amianto ma ogni mattina controlla se i giornali riportano, nei necrologi, il nome di qualche suo compagno di fabbrica. Oltre agli operai morti subito, infatti, altri continuano a crepare, per le conseguenze di gravi malattie contratte sul lavoro. Non riesce più a contare il numero dei morti. Di sicuro più di 50 e di altri sa che sono ammalati. L’ultimo dei suoi grandi amici, Guido Canova (compagno di lotta e di lavoro) è deceduto nell’agosto 2010 all’età di 64 anni: è stato ricordato con grande commozione e intensa partecipazione dagli amici dell’officina, dall’avvocato Alessandro Gamberini (difensore per il risarcimento ai familiari dei morti), da Vito Totire dell’Associazione Esposti Amianto, da sindacalisti CGIL-FIOM e da qualche politico. Poi il silenzio assoluto… anche sulla fine di una prestigiosa azienda e sulle morti annunciate per chi aveva respirato amianto.

I più giovani, a Bologna, non conoscono la storia della Casaralta, una delle grandi industrie metalmeccaniche nata nei primi del Novecento, situata in via Ferrarese e produttrice di treni e mezzi aereotranviari, chiusa definitivamente nel 1998. 

La conoscenza potrebbe essere pericolosa… e indurre a una presa di coscienza della drammatica sconfitta della classe operaia, del “comunismo antico” con la complicità (consapevole o meno) dei dirigenti sindacali dell’epoca e dei diversi esponenti governativi, dal ministro del lavoro Bersani a D’Alema allora presidente del consiglio fino a Cofferati… persone che negli anni hanno fatto o seguito la trasformazione del Pci verso una politica liberal-liberista sempre più dentro quel fenomeno chiamato “globalizzazione” che punta alla disgregazione sociale e individuale mirando all’accumulazione sempre maggiore di profitti che, nell’attuale fase, passa sui corpi umani: negandoli, distruggendoli, espropriandoli di vita ed energie. Anche con forme di “terrorismo” psicologico.

Casillo si definisce “intellettuale dei poveri” e ha fatto una operazione preziosa. Da militante comunista in tutti i sensi, ha capito che la memoria collettiva è un bene prezioso e non deve essere recisa. Ha registrato, con la sua scrittura, su un taccuino due anni di lotte (fine 96-fine 98) dunque di assemblee, striscioni, contatti, viaggi a Roma… pensando così di contribuire alla integrità dei valori della classe operaia, al senso di solidarietà ma anche alla non chiusura di un’azienda metalmeccanica prestigiosa… A volerci fare una seria ricerca storica la sua scrittura fornirebbe notizie preziose e dati non riscontrabili in altre fonti. Alla puntualità nella segnalazione degli incontri pubblici e delle manifestazioni di piazza, aggiunge pennellate di colore e qualche azzardo di decifrazione psicologica dei comportamenti dei suoi compagni o qualche metafora significativa come puntualmente rammenta la ricerca di una trattoria, di un luogo dove mangiare la buona pizza o bere buon vino o la ricerca di una panineria quando non c’è tempo per la pausa. L’intermittenza quasi ossessiva del cibo non sembra soltanto una esigenza fisiologica ma l’espressione della fisicità di quanto stanno vivendo e il bisogno di concludere bene, sani e salvi. Tutti. Un diario della fisicità del quotidiano a indicare “il bisogno di vivere”… nota non trascurabile in quello che vuole essere fondamentalmente una cronaca politico-sindacale. 

In quelle pagine c’è tutto. Ma allora (nel ’96-’98) non si avevano gli strumenti per decifrare le mosse politiche e del padronato: le promesse mai mantenute, gli accordi disattesi, le verità nascoste come l’amianto che emerge casualmente dopo un’inondazione cioè un allagamento della fabbrica con fuoruscita del liquame dalle fognature… e poi con la comunicazione informale dei responsabili Ausl che l’amianto era ancora presente benché messo al bando per legge. Verità conosciuta dai capi ma per anni taciuta ai lavoratori.

Oggi Antonio Casillo è un pensionato “giovane”: i suoi baffi non sono più nero-corvino e rimpiange che la sua scrittura, dopo vane promesse di pubblicazione, sia stata ignorata.

Dice che nelle azioni dei politici nei confronti della Casaralta si sarebbe letta, ad avere gli strumenti di analisi, l’immagine del mondo che si voleva costruire. Senza una politica industriale, senza un polo produttivo, senza l’autonomia sindacale e con i lavoratori lasciati allo sbando. Soli e con la perdita progressiva dei diritti conquistati con le lotte. Ma lui crede ancora nell’organizzazione dal basso e nella ri-nascita di un pensiero critico.

NELLE FOTO

1 Al microfono – sul palco di piazza Maggiore- c’è Antonio Casillo.

2 Nella fila che apre il corteo dietro lo striscione sono riconoscibili Sergio Cofferati e Duccio Campagnoli.

3 Primo treno ad Alta Velocità prodotto alle Officine Casaralta

4 La cartolina del Natale 1996 è stata spedita all’allora ministro dell’Industria Bersani con la scritta: “CARO MINISTRO – I LAVORATORI DELLA CASARALTA VOGLIONO CONTINUARE A PRODURRE TRENI E TRAM A BOLOGNA” con firma Fim, Fiom e Uilm Bologna

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