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Banche europee, minaccia planetaria

Nuovo allarme del Fondo Monetario Internazionale sull’Europa, molto serio per le conseguenze potenzialmente catastrofiche che la realizzazione dello scenario potrebbe avere. Entro la fine del 2013 è previsto che le banche europee restringeranno i propri bilanci di oltre 1.500 miliardi di euro ma se il processo sfuggisse di mano (cosa peraltro molto probabile, vista la grave recessione della regione), il conto potrebbe arrivare a quasi 3.000 miliardi di euro.

Lo studio del FMI ha riguardato una sessantina di banche europee che hanno già annunciato programmi di dimagrimento dei propri attivi per l’equivalente di 2.000 miliardi di dollari entro fine 2013. Alla fine del 2011, lo stato di avanzamento di tali programmi era pari a 580 miliardi di dollari, circa 450 miliardi di euro. Le banche europee continuano ad avere bisogno di fare deleveraging, cioè ridurre il proprio grado di indebitamento, perché hanno ancora cuscinetti di capitale insufficienti, sia rispetto agli obiettivi di vigilanza di Basilea III sia per gli standard dell’EBA ma anche (e soprattutto) per il costante deterioramento del portafoglio crediti, causato dalle pessime condizioni della congiuntura.

Il rischio (ancora una volta, se fosse necessario ripeterlo) è quello di entrare in un circolo perversamente vizioso, in cui la recessione deteriora la qualità degli attivi aumentando le sofferenze, forzando le banche a giocare d’anticipo e ridurre il volume di crediti, innescando e alimentando un effetto-gregge. Un simile scenario causerebbe un terribile evento sistemico di portata globale che finirebbe col travolgere anche i paesi emergenti, che si vedrebbero molto rapidamente prosciugati dei fondi affluiti dalle banche dei paesi sviluppati. Anche le banche statunitensi avrebbero pesanti conseguenze per la natura globale delle interconnessioni sistemiche, come abbiamo visto a ottobre-novembre dello scorso anno. Quanto all’Europa, inverno nucleare.

Che fare, quindi? Il FMI suggerisce soprattutto di accelerare i programmi di ristrutturazione bancaria, oltre che di liquidazione degli istituti non recuperabili. Per fare ciò serve pensare all’impiego dei fondi salva-stati in modalità salva-banche, cioè per la ricapitalizzazione. In questo modo sarà possibile spezzare la spirale mortale banco-sovrana che rischia di strangolare l’Europa in un credit crunch di proporzioni (e conseguenze) difficilmente immaginabili. Utile (ma non il primo della lista di priorità, nello strumentario suggerito) anche un nuovo allentamento monetario da parte della Bce, ma il Fondo suggerisce soprattutto l’adozione di strumenti di condivisione del rischio, come eurobond ma anche eurobills, per scadenze molto brevi.

È appena il caso di ricordare che questo drammatico avvitamento del sistema banco-sovrano (lo chiameremo così, d’ora in avanti) origina in misura determinante dalla profondità della recessione, che a sua volta è in amplissima misura frutto della violenta stretta fiscale deliberatamente perseguita in Eurozona. Naturalmente, nulla o quasi delle misure suggerite dal FMI verrà attuato, soprattutto riguardo il punto della mutualizzazione, anche se speriamo che alla fine la ragione prevalga e si proceda almeno ad un piano di ricapitalizzazione delle banche con fondi pubblici, come suggerito ancora ieri dal capo economista del Fondo, Olivier Blanchard. Ma sappiamo già, riguardo questo specifico punto, che il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, che qualche anglosassone comincia già a chiamare Weirdman (una specie di dottor Stranamore, in pratica), ha già pronunciato il suo niet. Eppure la ricapitalizzazione delle banche da parte dell’EFSF era ed è prevista, sia pure come extrema ratio.

Ma soprattutto, si continua a non comprendere che l’Eurozona non è la somma di diciassette paesi medio-piccoli, ognuno artefice del proprio destino e dalle interconnessioni deboli e gestibili, ma un enorme blocco sistemico, il cui potenziale di distruzione va ben oltre i propri confini. Stiamo inesorabilmente muovendoci verso la catastrofe.

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