• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Assaggi di Etologia umana

Assaggi di Etologia umana

L’uomo tecnologico e civilizzato si trova in difficoltà a causa della sua eredità biologica: tutti i nostri moduli comportamentali innati si sono sviluppati nella lunghissima fase evolutiva di cacciatore-raccoglitore, che rappresenta il 98 per cento della nostra storia.

Negli ultimi diecimila anni, non siamo più mutati sul piano biologico. “In realtà abbiamo conosciuto un’enorme evoluzione culturale, ma quanto alle emozioni, alle pulsioni, ai meccanismi del pensiero, siamo rimasti vecchi e non siamo sensibilmente diversi dai nostri avi paleolitici che vissero cacciando le renne durante le glaciazioni. In poche parole, ciò significa che uomini con il bagaglio emozionale del paleolitico guidano oggi, come presidenti, le superpotenze, corrono come in gara sulle autostrade, o pilotano cacciabombardieri supersonici” (Irenaus Eibl-Eibesfeldt, fondatore dell’International Society for Uman Etology, L’uomo a rischio, 1992, p. 10).

La civiltà tecnologica del sapere certamente ci educa, ma spesso l’uomo “può essere educato male: chi cresce lontano dalla natura, in un mondo fatto di asfalto, cemento e gas di scarico, diventa infine, proprio a causa delle deprivazioni, insensibile e aggressivo. L’uomo deve rimanere legato emotivamente alla natura: nel suo interesse, perché da essa trae i mezzi di sussistenza” (L’uomo a rischio, p. 211).

E bisogna anche ricordare che alcune specie animali manifestano dei comportamenti che indicano la presenza di una concezione primordiale di una teoria della mente. In genere le facoltà cognitive sono più evolute nelle specie di mammiferi più sociali: elefanti, delfini, cavalli, cani e alcune specie di primati (come descritto dal primatologo Frans de Waal in “La scimmia che siamo” e in “Primati e filosofi”). Nella specie umana e nei canidi predatori, anche i maschi nutrono i cuccioli e giocano in modo intensivo con essi. Probabilmente, questo comportamento si è evoluto in modo analogo nell’uomo e nei canidi, in relazione alla caccia di grosse prede e alla spartizione del cibo (G. E. King, 1980; in Etologia Umana, Eibl-Eibensfeldt).

Per quanto riguarda le relazioni sessuali, “La morale cattolica, che invita a orientarsi secondo natura nello stabilire le norme di comportamento sessuale, in questo caso ha indotto in errore, poiché non ha tenuto conto del ruolo specifico della sessualità. Negli animali, l’atto sessuale è certo al servizio della riproduzione, mentre nell’uomo – in quanto amore sessuale – esso è anche al servizio dell’amore di coppia. A questa nuova funzione dell’atto sessuale, tipicamente umana, va attribuita perlomeno altrettanta considerazione che alla funzione riproduttiva” (Irenaus Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana, 1993, p. 153). Bisogna poi considerare che “Nella moderna società di massa, la coppia dei coniugi è sostanzialmente chiusa in se stessa. Questo offre la possibilità di approfondire la relazione fra i due partner, ma spesso arreca noia, monotonia o irritazione, poiché il coniuge non può facilmente soddisfare tutti i bisogni sociali dell’altro” (p. 189).

Inoltre, nelle attuali popolazioni indigene, “L’affermazione che gli uomini contribuiscono all’economia in percentuale maggiore rispetto alle donne potrebbe essere valida solo per quelle popolazioni di cacciatori e raccoglitori che vivono soprattutto di grossa selvaggina. Presso i Boscimani, le donne contribuiscono più degli uomini all’economia, se si fa una valutazione in termini di calorie”(nota 65 a p. 222). Ed esiste una prospettiva femminile di gestione delle relazioni: “Una strategia femminile è cedere e in tal modo comandare. Questa strategia richiede più astuzia di quelle appartenenti alla cosiddetta dominazione maschile. È sbagliato tuttavia considerare questo atteggiamento come passività e come comportamento di rango inferiore. La donna inoltre sa come ricattare l’uomo mediante il sesso” (I. Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana, 1993, p. 190).

Una caratteristica comune a tutte le popolazioni umane studiate è quella relativa al sentimento di territorialità: “Di certo la territorialità è una costante antropologica, sebbene essa trovi molteplici espressioni di origine culturale. Occasionalmente possono tuttavia mancare possibilità concrete affinché la territorialità si manifesti” (p. 221). Infatti in alcuni casi la scarsissima densità abitativa della popolazione come nel caso degli Eschimesi o l’estrema abbondanza di risorse del territorio possono rendere quasi impossibile definire dei territori precisi. Ad esempio i nomadi Batak delle Filippine ricadono nel caso di una zona ricca di cibo. “Se si vuole la pace è necessario realizzare, in modo non cruento, quelle stesse funzioni della delimitazione territoriale e dell’assicurazione di nuove risorse che finora aveva svolto la guerra” (p. 281). Ecco perché oggigiorno bisogna finanziare la ricerca scientifica e lo sviluppo sociale invece di produrre armamenti sempre più sofisticati. Già nel 1980 “è stato calcolato che nel mondo c’era più materiale esplosivo, in chilogrammi per persona, che alimenti” (R. L. Sivard).

Esistono poi forme molto particolari di aggressività. L’aggressività esplorativa ha l’effetto di obbligare alla relazione e alla comunicazione: “Questo vale soprattutto per il dialogo tra le generazioni, in cui vengono messe alla prova e si confermano le tradizioni”. Ma in tutti i movimenti rivoluzionari bisogna distinguere i violenti da chi “in effetti si oppone criticamente al nostro tempo in modo più civile. “Resta purtroppo il fatto che molti di coloro a cui è affidata la guida sociale capiscono assai poco dell’uomo” (p. 261).

Dopotutto “Nessun uomo è in grado di amare quattro miliardi di persone a lui sconosciute, ma, nonostante questo, abbiamo tutte le ragioni di nutrire sentimenti camerateschi: infatti, praticamente tutto ciò che ci rende uomini lo dobbiamo a una moltitudine di altri individui anonimi che sono vissuti prima di noi e la cui opera ci è stata trasmessa come un dono” (H. Hass, 1981, p. 198). Comunque “L’ideale sovranazionale sarebbe praticamente insostenibile se per concretizzarlo fosse necessario rinnegare chi ci è prossimo, e il tentativo di imporlo con la forza avrebbe gravi conseguenze, una delle quali sarebbe proprio la compromissione dell’idea stessa di umanità” (Hans Jonas, 1986, p. 114). E “Il principio guida democratico, accettato dai vari stati nazionali, secondo il quale alla maggioranza eletta spetta il compito di governare, vieta di prendere in considerazione l’ipotesi alternativa di una soluzione federativa che, assicurando alle diverse etnie un pari peso elettorale, potrebbe rivelarsi più adeguata per stati con popolazione multietnica” (L’uomo a rischio, p. 188).

Così “Noi uomini organizziamo feste per socializzare con i vicini e al tempo stesso tiriamo su steccati per tenerli lontani. Fiducia e diffidenza determinano il nostro comportamento” (L’uomo a rischio, Irenaus Eibl-Eibesfeldt, p. 92). E quando abbiamo paura, cerchiamo protezione nell’autorità, in una forma di infantilismo (p. 74). E l’intera storia umana dimostra “I danni causati dalla violenza individuale per motivazioni egoistiche sono insignificanti se confrontati con gli olocausti derivanti dalla fedeltà disinteressata a sistemi di valori condivisi da un’intera collettività”, come avvenuto durante la dominazione nazista e comunista (Arthur Koestler, 1968, p. 266).

“Ahimè, ci siamo scordati la sorte del tacchino. Quando un uccello impara ad ingozzarsi a sufficienza senz’essere costretto a usare le ali, rinuncia al privilegio del volo e se ne resta a terra, in eterno. Qualcosa di simile vale anche per gli uomini. Date all’uomo pane abbondante e regolare tre volte al giorno, e in parecchi casi egli sarà contentissimo di vivere solamente di pane, o almeno di solo pane e divertimenti” (A. Huxley, 1981, trad. it., p. 329).

Un altro problema delle società moderne è questo: “gli strati di popolazione che tengono in considerazione il successo professionale e un livello di istruzione elevato hanno in genere un numero minore di figli dei ceti di minore “successo”. Diversamente da quanto avveniva in passato, la crescita professionale, la carriera, non trovano più una ricompensa nel successo riproduttivo. L’aspirazione al rango appare allora come non adattiva, perché un minor numero di discendenti significa, a livello genetico, l’eliminazione progressiva delle doti e delle predisposizioni sulle quali essa si fonda” (L’uomo a rischio, p. 141). La riproduzione molto tardiva e ridotta delle classi dirigenti italiane potrebbe aver diminuito la qualità genetica e intellettuale di molte delle ultime generazioni di studenti. Forse il decadimento delle democrazie è dovuto anche al fatto che le persone più intelligenti tendono a regolare le nascite, mentre le persone meno istruite tendo a figliare in modo più incontrollato e molto inadeguato alle possibilità economiche che può fornire un determinato territorio. Infatti oggigiorno bisogna avere le risorse per istruire i figli per molti anni, altrimenti si rischia di mettere al mondo dei disoccupati predestinati. In Italia se ci fossero più giovani con ottime conoscenze in campo linguistico, informatico, tecnico e scientifico, la disoccupazione sarebbe un fenomeno molto limitato.

Anche gli eccessi dell’economia di prestigio sono irragionevoli. “Poiché l’importanza di un ministero continua ad essere misurata in base alle cifre del relativo bilancio, ogni dicastero tenta di gonfiare tali cifre anche quando sarebbe meglio operare tagli e riduzioni. Come risultato si ha un continuo incremento del debito pubblico, mentre l’evidente tentativo di ogni ministero d’accaparrarsi un sempre più ampio gruppo di competenze porta lentamente, ma inesorabilmente, il cittadino alla sfiducia nelle istituzioni” (L’uomo a rischio, p. 217). A pensarci bene, “Se i privati si comportassero con il proprio denaro come fanno i politici, sarebbero perseguibili penalmente per bancarotta fraudolenta!”. Purtroppo però esiste una “intrinseca tendenza alla mediocrità dei sistemi in cui l’unico titolo per accedere alle cariche più elevate è l’abilità nel compiacere la maggioranza” (Kurt Biedenkopf). Bisognerebbe stabilire una soglia d’ingresso basata sul livello minimo di intelligenza tollerabile (stabilita da psicologi professionisti).

E concludo con le parole di un pioniere dell’etologia: “In effetti siamo, noi uomini, fin troppo lesti a sfruttare i punti deboli di un partner, di un nostro simile, per umiliarlo. Val la pena di rifletterci. Solo chi riconosce d’aver sbagliato e conseguentemente corregge il proprio comportamento si dimostra davvero forte; debole è chi, in malafede, persiste nei propri errori” (Eibl-Eibesfeldt, L’uomo a rischio, 1992). Quindi la gente non ha nulla da temere se non la propria scelta dei capi (Paul MacLean, 1987).

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares