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Anteprima inchieste di Report: il superbonus, il petrolchimico a Priolo e il carbone sempre vivo

Questa sera Report si occupa del superbonus al 110%: ha dato un impulso al settore dell’edilizia, ma è stata anche un’occasione persa per rifare il volto alle città e ai quartieri disastrati, a cui si è aggiunto il caos dei crediti bloccati nei cassetti fiscali e dell’impatto sui costruttori e sui cantieri.

Poi un servizio sull’inquinamento nel petrolchimico di Priolo (in mano ai russi della Lukoil), uno scandalo successo sotto gli occhi di regione e delle istituzioni nazionali.
Infine un servizio sul carbone in Germania.

Il superbonus in Italia (e nel resto dell’Europa)

Il superbonus al 110% sulle ristrutturazioni ha dato un impulso al settore edilizio, ma come raccontava un precedente servizio di Report, è stata una occasione persa perché di questi bonus ne hanno goduto quasi più i proprietari di villette che non edifici nei quartieri popolari delle nostre città. C’è poi ora il caos dei bonus che sono rimasti bloccati nei cassetti fiscali, bloccando i cantieri, le imprese edilizie e i proprietari delle case che non possono accedere alle loro abitazioni. Chi sta approfittando di questo caos? E come funzionano gli sgravi fiscali sulle ristrutturazioni negli altri paesi europei? Già il governo Draghi aveva messo in discussione questa misura, cosa succederà adesso col governo Meloni?

Uno dei fortunati proprietari di casa che è riuscito ad usufruire del bonus al 110% è il signor Malavasi che ha completamente ristrutturato il suo antico casale a pochi km da Venezia rendendolo un immobile all’avanguardia. La sua casa non ha termosifoni e neppure il riscaldamento a pavimento o a soffitto. La casa si scalda con l’aria che esce o che entra da dei bocchettoni. La casa ha sul tetto dei pannelli fotovoltaici: a fine mese il bilancio per la spesa energetica è quasi zero, niente bollette.
Ma il signor Malavasi è uno dei pochi che è riuscito a concludere i lavori: l’analisi fatta sul superbonus ha fatto emergere che il 10% delle risorse stanziate è finito all'1% più ricco della popolazione, come conferma il professor Tito Boeri “Questo è qualcosa che non va bene, in questo momento abbiamo davvero bisogno di utilizzare le poche risorse disponibili sulle fasce di popolazione a redditi più bassi, perché l’inflazione li colpisce molto di più. Il superbonus in quella misura ha effetti esattamente opposti, perché va a favorire individui che hanno redditi superiori ai 60-70 mila euro. E abbiamo avuto addirittura dei casi di superbonus che sono andati a ristrutturazione di castelli.”
Perché queste risorse non sono state stanziate pensando anche a chi vive in edifici vecchi, costruiti in anni in cui non si pensava alla sostenibilità energetica?

“A Roma ci sono case di cinque piani senza ascensori, case in cui piove dentro. Poi però per le case dei signori, delle ville dei ricchi, i soldi ci stanno” è la protesta di un cittadino romano.

Non è solo questo che ha suscitato molte proteste tra i cittadini: con la ristrutturazione fatta col 110%, il valore delle case è aumentato e sono anche aumentati gli affitti.
Il servizio racconterà in seguito di come sono state gestite le ristrutturazioni, con ottimizzazione del consumo energetico, in altri paesi, come l'Olanda.

La scheda del servizio: IL BONUS, IL BRUTTO E IL CATTIVO di Luca Bertazzoni
Collaborazione: Edoardo Garibaldi

 

Il problema non è il superbonus, ma i meccanismi di cessione che sono stati disegnati senza discrimine e senza discernimento”: così parlava in Senato l’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi il 20 luglio scorso, poche ore prima di rassegnare le dimissioni. Il nuovo governo di centro destra deve ora affrontare l’impatto del superbonus sui conti dello Stato: al 30 ottobre scorso, erano 55 i miliardi di euro di investimenti ammessi a detrazione. E nel frattempo migliaia di imprenditori edili si ritrovano con i cassetti fiscali bloccati, i magazzini pieni e i cantieri fermi. Con il risultato che molti proprietari di casa che avevano iniziato i lavori di ristrutturazione non riescono a rientrare nelle loro abitazioni. Report racconterà cosa succede nel mercato parallelo della cessione dei crediti fiscali e come funziona il sistema delle ristrutturazioni in altri paesi europei.

Lo scandalo dell’inquinamento di Priolo

Per anni l’azienda russa Lukoil ha sversato liquidi inquinati dal Petrolchimico di Priolo nel depuratore della regione che operava in modo illegale. Ora, dopo l’invasione in Ucraina e l’embargo sul petrolio russo, questo impianto potrebbe anche chiudere, lasciando a casa circa 10000 operai considerando l’indotto.

Il governo italiano ha chiesto all’Europa una proroga per l’embargo ma c’è il rischio che le banche chiudano il credito destinando tutto l’impianto alla chiusura, col rischio che saltino anche gli interventi per la bonifica dell’ambiente.
Quello di Priolo, lungo la costa tra Catania e Siracusa, è uno dei più grandi petrolchimici d’Europa, esteso per oltre 40km quadrati e capace di produrre oltre un terzo del fabbisogno italiano di derivati del petrolio. La proprietà è formalmente di una società svizzera, la Isab, ma dietro a controllare tutto c’è la russa Lukoil: come mai la Isab è stata costretta ad acquistare solo petrolio russo e ha potuto comprare petrolio da altri mercati?
A questa domanda ha risposto l’ex direttore Eni della divisione Trading & Shipping Salvatore Carollo: “si è pensato che siccome è una società russa, automaticamente non aveva più diritto ad ottenere la lettera di credito indispensabile per l’acquisto di greggio presso i paesi produttori. Questa interpretazione delle sanzioni è andata al di là di quello che le sanzioni stesse prevedevano, perché la Lukoil, anche se è una società russa, non è oggetto delle sanzioni.”

Quando ad ottobre il nuovo esecutivo Meloni si trova tra le mani la patata bollente del rischio della chiusura dell’impianto corre ai ripari: il ministero dell’Economia redige una “comfort letter” rivolta alle banche dove dice che possono pure dare credito a Lukoil, le sanzioni non si applicano.
Questo sarebbe stato sufficiente se non ci fosse stata una presa di posizione pesante dell’amministrazione americana – racconta sempre Carollo – che ha cercato di bloccare questo provvedimento.
Sebbene noi non siamo sottoposti alla giurisdizione americana, almeno sulla carta,
“quale banca si metterebbe ad emettere una lettera di credito sapendo che poi potrebbe avere una reazione negativa dal mercato americano?”


Il 18 novembre al ministero dello Sviluppo Economico, il ministro Urso (imprese e made in Italy) convoca le parti sociali: c’è il presidente della regione Sicilia Schifani, il direttore dello stabilimento Lokoil, il russo Maniakhine e i sindacati. Sono stati invitati anche i rappresentanti delle banche perché sono loro gli unici che possono salvare lo stabilimento, ma al tavolo non si presentano.
Come mai le banche italiane non vogliono concedere credito al petrolchimico? Il direttore risponde con un sorriso alla domanda di Manuele Bonaccorsi, che aggiunge anche il rischio per le banche di imbattersi nelle sanzioni secondarie.
Nemmeno il ministro Urso ha voluto rispondere alla domanda, “chiedete alle banche” ha detto.
Nel frattempo il depuratore usato dall'impianto è stato posto sotto sequestro dalla procura siracusana che contesta al petrolchimico il reato di disastro ambientale.

 

La scheda del servizio: UN PETROLCHIMICO A OROLOGERIA di Manuele Bonaccorsi

 

Il petrolchimico di Priolo (Siracusa), capace di produrre da solo un terzo del fabbisogno italiano di derivati del petrolio, rischia di chiudere, lasciando senza lavoro circa 10mila lavoratori. E i nostri distributori senza benzina, con conseguenze drammatiche sul sistema dei trasporti. Per quale motivo? Report racconterà le due grandi minacce che rischiano di mettere al tappeto questa importante realtà produttiva. La prima sono le sanzioni contro Mosca. La società petrolifera russa Lukoil, che controlla il principale impianto della zona industriale siracusana, seppur non sottoposta alle misure restrittive dell’Unione Europea, non riesce più a farsi rilasciare dalle banche le lettere di credito necessarie all’acquisto di greggio sui mercati mondiali. E dal 5 dicembre, a causa delle sanzioni, non potrà neppure importare il greggio russo. Report svelerà lo scontro geopolitico in atto sul petrolchimico siracusano, che coinvolge anche gli interessi statunitensi sul mercato mondiale dei carburanti.
La seconda minaccia è giudiziaria. La Procura di Siracusa ha posto sotto sequestro il depuratore che tratta i reflui inquinanti del petrolchimico. L’accusa è durissima: disastro ambientale. Se i magistrati dovessero realmente fermare l’impianto di depurazione, l’intero petrolchimico dovrebbe chiudere i battenti.

Il carbone che non tramonta mai

Il carbone è una delle fonti energetiche più inquinanti, le sue emissioni di co2 in atmosfera sono causa dei cambiamenti climatici che tanto impatto hanno sulle nostre vite (periodi di siccità, ghiacciai che spariscono, fiumi e laghi in secca, malattie respiratorie nelle pianure del nord).
Eppure, causa la guerra in Ucraina e le speculazioni sull’energia, il carbone continua ad essere usato, specie in Germania.
Luca Chianca è andato nel piccolo villaggio di Lutzerath, tra Duesseldorf e Colonia che si trova accanto a una delle più grandi miniere di carbone d’Europa.

Qui tutte le case sono state sbaraccate, gli abitanti del paese se ne sono andati via: in questo paese di agricoltori nella regione della Renania è rimasta solo la famiglia del signor Eckardt che vive accanto ad una delle più grandi miniere d’Europa, con un cratere di 35km quadrati che negli anni si è così allargato tanto da lambire la sua proprietà.

E ora anche la sua fattoria dovrà essere smantellata, perché la proprietà ha deciso di espropriare i suoi terreni, nonostante un’azione legale a cui i tribunali tedeschi hanno dato torto. Perché la decisione politica in Germania è stata quella di continuare ad investire in carbone: “i politici non hanno il coraggio di cambiare direzione anche di fronte ai problemi del cambiamento climatico” racconta Eckardt a Report.
A pochi km di distanza da Lutzerath si trova la seconda più grande miniera di carbone, quella di Hambach coi suoi 45 km quadrati: qui negli ultimi 60 anni per estrarre sempre più carbone hanno espropriato e cancellato dalla cartina geografica 50 villaggi e ben 50mila persone sono state costrette a trasferirsi altrove. Ma la miniera di Hambach potrebbe perdere il secondo posto a favore di quella di Lutzerath dove il governo federale ha appena approvato l’allargamento della miniera per altri 48km quadrati con il completo sbancamento e demolizione dell’intero villaggio, secondo il piano di espansione di RWE (società proprietaria della centrale), come racconterà a Report Daniela Finamore ricercatrice di ReCommon.
Interessante scoprire come il carbone tedesco e le sue emissioni di co2 in atmosfera, siano finanziati da banche italiane come Unicredit e Banca Intesa.
La RWE è il secondo produttore di elettricità in Germania: oltre a possedere le due miniere a cielo aperto è proprietaria di due delle centrali a carbone più inquinanti d’Europa, quella di Neurath che rilascia 18,7 ml di tonnellate di anidride carbonica e quella di Niederhausen con 11,9 ml di tonnellate. Stupisce che la Germania, la locomotiva d’Europa, sia così in ritardo sulla transizione ecologica: Luca Chianca ha intervistato Hans Josef Dederichs, esponente dei verdi nel consiglio comunale di Erkelenz che spiega “fino al 2005 la Germania era la pioniera delle energie rinnovabili ma poi è arrivato il governo di Angela Merkel che ha fermato tutto per 16 anni. Perché produrre energia elettrica dal carbone costava meno. Ed è per questo che la nostra industria e le nostre famiglie dipendono ancora molto dal carbone”.
A favore del mantenimento delle centrali a carbone ci sono anche esponenti del partito di estrema destra tedesca, come Christian Loose, deputato dell’AFD nel land della Renania: le centrali elettriche servono a dare stabilità energetica in questo momento. Il deputato è anche contrario alla chiusura della miniera a cielo aperto perché così si perde molta energia. Ma queste in Renania sono le centrali tra le più inquinanti in Europa: “se chiudiamo queste centrali in Germania non aiuteremo l’umanità” - risponde il deputato – “perché abbiamo un tasso di efficienza davvero buono rispetto a quelle polacche o quelle di altri paesi che inquinano molto di più.”

 

Ma quali gli effetti dell’inquinamento causato da queste centrali sulla popolazione? “Ci sono sempre più bambini che nascono prematuri e sottopeso a causa dell'inquinamento”, racconta a Report il pediatra Christian Döring che vive a Colonia non lontano dalle principali centrali a carbone di RWE.

La scheda del servizio: RITORNO AL CARBONE di Luca Chianca
Collaborazione Alessia Marzi

 

Secondo le stime dell’ufficio federale di statistica, la Germania, dove le centrali a carbone coprono un terzo del fabbisogno energetico, nei primi sei mesi del 2022 ha generato 82,6 miliardi di kWh di elettricità dal carbone, il 17% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Questo anche a causa della decisione di rimettere in servizio alcune vecchie centrali per fronteggiare la crisi energetica.
A farla da padrona è la RWE, il secondo maggior produttore di elettricità tedesco, una delle società più inquinanti d’Europa: il 23% dei ricavi di RWE deriva ancora oggi dal settore carbonifero.
Report vi mostrerà quello che resta del villaggio di Lützerath, nella Germania occidentale. Sarà raso al suolo tra fine settembre e inizio ottobre per l’espansione della miniera di Garzweiler di proprietà di RWE. Ma perché ci interessa? Le attività del colosso elettrico parlano anche italiano: tra i suoi finanziatori ci sono le nostre due principali banche: Intesa Sanpaolo e Unicredit.

 

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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