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Anteprima inchieste di Report: i semi di Putin, la guerra in Ucraina e le perdite della rete del gas

Presadiretta lascia posto a Report con le sue inchieste i cui temi, in questa prima puntata della stagione 2022, sono fortemente collegati con l’attualità: la guerra in Ucraina, la dipendenza energetica dalla Russia (il 70% del gas che importiamo arriva da questo paese ed è stata una precisa scelta politica) e quanto la guerra ostacolerà la transizione ecologica, i cambiamenti climatici, i veri amici di Putin (non i pacifisti).

Come nel 2020, quando esplose la pandemia, anche adesso Report ha dovuto adattare i servizi a questa nuova guerra, con la stessa profondità di visione.

Ogni puntata di questa stagione comincerà con una pagina sulla guerra e sarà seguita da inchieste collaterali con essa: le ragioni della guerra, cosa è successo in questi anni, quali conseguenze comporterà in Ucraina, in Europa e sul pianeta.

Il racconto della guerra in Ucraina

Per quanto possa sembrare ripetitivo, da giorno della marmotta, non si può non parlare della guerra in Ucraina: non solo perché in questa guerra si uccide e si viene uccisi, militari su entrambi i fronti (e anche foreign fighter come il ragazzo italiano morto combattendo per le milizie filo-russe), i civili che muoiono sotto i bombardamenti o colpiti dalle schegge o dai proiettili.

Di questa guerra se ne deve parlare per come condizionerà le vostre vite, per come potrebbero cambiare gli equilibri politici in Europa e nell’est.

 

 

Il servizio di Bertazzoni racconterà dei 4 milioni di profughi ucraini, non tutti sono riusciti a scappare dal paese ma sono costretti a cercare riparo in rifugi di fortuna, come negli scantinati dei palazzi bombardati di Kiev. Cantine che sono diventate le nuove case di tante persone, alcune delle quali si sono perfino vergognate di apparire in video, per le condizioni in cui sono state costrette a vivere.

Ci sarà spazio per la vergogna dei corridoi umanitari, ostacolati dai russi, dallo straordinario lavoro fatto dalle ONG, dai volontari, dai paesi al confine con l’Ucraina per accogliere queste persone in fuga.

Il servizio racconterà del conflitto oggi e cercherà anche di capire se e quali erano i segnali che non abbiamo colto per fermarlo prima.

La scheda del servizio: LA GUERRA VISTA DA KIEV di Luca Bertazzoni con la collaborazione Giulia Sabella immagini Carlos Dias

 

Gli inviati di Report sono arrivati a Kiev, in Ucraina, per raccontare la guerra in corso. Nel loro viaggio hanno parlato con gli sfollati che vivono sottoterra, negli scantinati dei palazzi della capitale, per scampare ai bombardamenti, e con coloro che hanno visto le loro case distrutte. Mentre molti scappano, altri arrivano: sono circa 20mila le persone provenienti da 50 Paesi che si sono arruolate tra le fila dell'esercito ucraino per combattere contro i russi. Uno di questi soldati ha deciso di parlare con il nostro giornalista sul campo, per spiegare cosa lo ha spinto a prendere parte a una guerra così geograficamente distante dalla sua terra.

 

Il rapporto tra la Lega di Salvini e Putin

Sui grandi giornali nei giorni scorsi sono apparse le liste degli amici di Putin: giornalisti, intellettuali, esponenti politici considerati vicini al presidente Putin, dunque nemici dell’Ucraina, dell’Occidente, dei valori occidentali che in questa guerra sono stati messi in gioco.

Eppure in queste liste con dentro persone colpevoli solo di voler alzare lo sguardo, di raccontare cosa ha portato a questa guerra (senza che questo volesse in alcun modo giustificare una guerra dove c’è un invasore e un paese aggredito) non appare mai il nome della Lega. Si è arrivati, in uno di questi articoli, a mettere dentro un unico calderone Barbara Spinelli e Gianluca Savoini. Chi è Savoini? Il suo nome era uscito per la prima volta sui giornali per la vicenda della compravendita del gas russo, con una mediazione all’hotel Metropol a Mosca in cui questo giornalista poi collaboratore del segretario della Lega.

Il servizio di Danilo Procacciati racconterà di un patto tra la Lega e il partito Russia Unita di Putin iniziato nel 2017 e consolidato nei giorni in cui Salvini era a Mosca per dei colloqui col ministro degli esteri russo Lavrov: il giornalista è riuscito ad ottenere la versione integrale dell’accordo che è identico a quello che il partito di Putin ha fatto con un partito austriaco di estrema destra. Si parla di partenariato paritario e confidenziale tra la federazione russa e la Repubblica italiana e nell’articolo 1 si prevede che le parti si incontreranno, si consulteranno e si scambieranno informazioni.

Il giornalista ha chiesto conto del contratto a Salvini il quale ha risposto che “ci vedremo in Tribunale per una delle 35 querele che vi abbiamo fatto”. Non si risponde alle domande perché secondo Report non fa giornalismo.

Procaccianti ha posto le stesse domande al senatore Bagnai: scena muta, come si diceva a scuola.

Il senatore Romeo è invece sbottato: “perché venite sempre da noi, andate a vedere tutti gli altri partiti.. ”. Il contratto, quale contratto? “Noi abbiamo tenuto in piedi un dialogo per aiutare le nostre aziende, che avevano subito delle penalizzazioni per le sanzioni.”

E i rapporti politici? “Chiedetelo al PD, ex PCI, dei rapporti con la Russia..”

Forse è per questo contratto che oggi il senatore non ama così tanto le armi, specie quelle usate contro l’esercito russo?

Danilo Procaccianti è andato nella città di Medyka in Polonia vicina al confine con l’Ucraina: qui arrivano i profughi traumatizzati dagli stenti e dagli orrori della guerra che i volontari smistano nei centri di assistenza, come un ex centro commerciale trasformato in centro di ricovero.

“Ci sono bambini che faticano a parlare che faticano a mangiare, che non dormono la notte” racconta a Report Alice Silvestro di Intersos “persone che han passato gli ultimi venti giorni nei sotterranei, nei rifugi, magari non avevano a disposizione l’acqua potabile o corretta alimentazione, quindi soprattutto i bambini avevano gastro enteriti, vomiti, diaree e le donne arrivano disidratate perché la poca acqua l’hanno data ai figli.”

La scheda del servizio: IL CONTRATTO di Danilo Procaccianti con la collaborazione Norma Ferrara

 

Il 6 marzo 2017 Matteo Salvini a Mosca siglava un patto con Sergey Zheleznyak, responsabile esteri di “Russia Unita”, il partito di Putin. Era ed è l’unico caso di accordo scritto siglato da un partito politico italiano con un partito straniero. Nel documento si parla di “partenariato paritario e confidenziale tra la Federazione Russa e la Repubblica Italiana”. A cosa serviva questo patto? È ancora in vigore? Quali sono oggi i rapporti tra gli esponenti leghisti e i sovranisti di Putin? Proprio il 9 marzo scorso, il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione contro le ingerenze straniere nella vita pubblica, nella politica e nei partiti. La relazione denuncia come in Europa ci sia una «larga impreparazione» sulla gravità della minaccia rappresentata dai regimi autocratici stranieri, in particolare Russia e Cina. La Lega ha deciso di astenersi dal voto. La relazione, che cita «accordi di cooperazione» tra il partito di Putin e la Lega Nord, «condanna il fatto che i partiti estremisti, populisti, antieuropei e alcuni altri partiti e individui abbiano legami e siano esplicitamente complici nei tentativi di interferire nei processi democratici dell’Unione», spesso puntando sulla disinformazione digitale guidata da potenze straniere. Report ha rincorso i protagonisti di questo "contratto" in cerca di risposte, dal Parlamento sino al confine fra Polonia e Ucraina, dove da settimane vengono accolti i profughi che scappano dalla guerra. E dove l'8 marzo si è recato anche il segretario della Lega, Matteo Salvini.

 

La rete di influenza di Putin sulla destra europea

Quanto è vasta l’influenza della Russia di Putin sulla destra europea? Report aveva già intervistato nel 2019 l’oligarca Malofeev, sostenitore di Putin e finanziatore dei movimenti dell’ultra destra europea spuntati ovunque in questi ultimi anni, con gli slogan fotocopiati uno dall’altro.

Dalla Le Pen alla Lega di Salvini: come hanno attecchito in Europa i semi di Putin e qual è il ruolo della chiesa russa?

“Penso che Putin sia un dono di Dio” racconta nell’intervista a Mottola, come anche Salvini in Italia che poteva essere il Putin italiano..

La scheda del servizio L’OLIGARCA DI DIO di Giorgio Mottola

Report proporrà parti inedite dell'intervista di Giorgio Mottola all'oligarca russo Konstantin Malofeev, uno dei principali sostenitori di Putin e in passato finanziatore di movimenti di ultradestra in Europa, come il partito di Jean Marie Le Pen. In Italia Malofeev ha costruito ottime relazioni con la Lega: "Salvini può essere il Putin italiano", ci racconta nel corso dell'intervista.

Per spiegare lo scenario in cui ha preso avvio questa santa alleanza internazionale, Report trasmetterà anche un’inchiesta sulla storia e il vero ruolo di Kirill, patriarca della Chiesa ortodossa di Mosca e di tutte le Russie e sul progetto religioso e politico che lo lega a Vladimir Putin.

L’inquinamento delle fughe di gas

La guerra in Ucraina ha messo in secondo piano la lotta ai cambiamenti climatici e rallentato, se non bloccato, il percorso che molto stancamente si stava mettendo in piedi per una vera transizione energetica. Con colpevole ritardo ci siamo resi conto di quanto dipendiamo dal dittatore Putin, che evidentemente non era dittatore quando firmava i contratti sul gas e quando comprava le nostre armi. Con altrettanto colpevole ritardo ci accorgeremo degli effetti delle emissioni di co2 nell’aria, come se quella climatica non fosse un’emergenza: il servizio di Manuele Bonaccorsi mostrerà come in Italia non si riesca nemmeno a mettere riparo alle fughe di gas lungo la nostra rete di distribuzione.

 

 

 

È la ricerca che ha condotto James Turitto lungo l’Italia, passando anche per Cortemaggiore, un paese vicino Piacenza divenuto famoso per la scoperta negli anni ‘50 di un giacimento di petrolio da parte dell’Agip: da qui partì l’Eni di Mattei, oggi il giacimento è esaurito ed è usato per lo stoccaggio del metano. Anche qui il ricercatore della ONG americana ha rilevato le fughe di metano, un gas serra 80 volte più potente quindi anche una piccola emissione ha un impatto considerevole anche dal camino di emergenza.

Stessa scena a Brugherio in un altro impianto di stoccaggio in piena area metropolitana di Milano, a Bordolano, paese a pochi km da Crema, anche qui dal camino esce gas: “sarebbe meglio se dal camino uscisse una fiamma e bruciassero il metano perché se bruci il metano produci co2 che è meno inquinante, è meno grave.”

Altro giro a Casalborsetti, tra i campi coltivati a grano lungo la costa ravennate: qui c’è un impianto Eni dove viene trattato e messo in rete il metano estratto dalle piattaforme offshore nell’Adriatico. Anche qui dai camini dell’impianto esce metano, “è sempre stato così” racconta un contadino “sono qui dall’80 e si sente sempre sta puzza”. Tanto qui sta diventando un deserto, rimarranno solo i cammelli, spiega sempre il contadino, perché con i lunghi periodi di siccità è difficile coltivare il terreno.

Il servizio si occuperà anche degli impianti di rigassificazione, quelli che dovremo realizzare quanto prima possibile se vogliamo usare il gas liquido americano in sostituzione del gas russo: vicino La Spezia c’è uno stabilimento, il primo in Italia, dove si scarica il gas liquefatto che arriva via nave dall’Algeria che viene riportato allo stato gassoso in enormi serbatoi. Anche questi impianti emettono gas nell’aria.

L’agenzia dell’energia dell’OCSE stima che le perdite di metano nella rete siano pari a tre volte il fabbisogno dell’Italia: forse anziché chiedere ai cittadini di abbassare di un grado la temperatura in casa, bisognerebbe mettere mano alla rete e alle sue falle.

La scheda del servizio: FUGHE DI GAS di Manuele Bonaccorsi

 

Le telecamere di Report hanno seguito il viaggio per l’Italia di James Turitto, della ong americana Clean Air Task Force, che con una termocamera professionale ha indagato la presenza di emissioni di metano negli impianti di produzione, trattamento e stoccaggio di idrocarburi. Turitto ha visitato 46 impianti nel nostro Paese e di questi ben 35 rilasciavano metano in atmosfera. Tra questi i siti di trattamento gestiti da Eni (Pineto, Casalborsetti) e quelli di rigassificazione (Panigaglia) e di stoccaggio (Minerbio, Fiume Treste, Cortemaggiore, Brugherio, Bordolano), controllati da Snam. Spesso a rilasciare metano erano i camini di emergenza e i serbatoi, ma a volte le emissioni provenivano da viti o tubazioni in scadente stato di manutenzione. Report mostrerà in esclusiva le immagini riprese da Turitto. Secondo l’International energy agency, nel mondo vengono rilasciate in atmosfera 135 milioni di tonnellate di metano derivate da emissioni fuggitive del settore energetico, pari a circa 2,5 volte l’intero consumo annuo italiano. Limitarle solo di un terzo avrebbe lo stesso effetto sugli obiettivi della Cop 21 dell’elettrificazione dell’intero settore dei trasporti contribuendo a contenere l’aumento della temperatura di 0,3 gradi. Perché allora le emissioni continuano? Perché non esiste alcuna normativa che le impedisca. Lo spreco delle emissioni appare oggi non solo ambientalmente pericoloso, ma anche economicamente incomprensibile.

 

 

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

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