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Al Teatro La Fenice L’Otello di Giuseppe Verdi

Di nuovo sulle scene di campo S. Fantin il capolavoro di Giuseppe Verdi, proposto nell’applaudito allestimento del 2012 del regista Francesco Micheli.

Ancora una volta il genio di William Shakespeare incanta ed ispira Giuseppe Verdi per dar vita a personaggi vibranti, senza veli nell’esprimere le sfumature dell’animo umano: un punto di arrivo nell’evoluzione creativa del compositore per un’opera espressionista che ci racconta il senso di precarietà della vita e delle relazioni umane anche grazie al lavoro dello scapigliato Boito, autore del libretto.

A Venezia, il celebre dramma dell’ingiustizia e della gelosia, minacciato dalle agitazioni sindacali, ha avuto regolare svolgimento e successo di pubblico.

Dalla prodigiosa scena inziale della tempesta al tragico epilogo tutto viene governato dalla meticolosa bacchetta di Myung-Whun Chung che ci consegna un’esecuzione ben consapevole della natura espressionista dell’ Otello in un continuo scorrere tra sentimenti e moti dell’animo violenti e contrapposti.

L’allestimento firmato dal regista Francesco Micheli, con le scene di Edoardo Sanchi risulta convincente e pure interessante per la simbologia finemente utilizzata, per i movimenti scenici e dunque lo scavo interiore dei personaggi e per quanto concerne il movimento delle masse corali, salvo che nell’ utilizzo di modellini di nave sostenuti dai coristi a simboleggiare le navi in balia del mare i burrasca.

Ben si armonizzano all’insieme i costumi di Silvia Aymonino e il disegno luci di Fabio Barettin.

Il cast vocale presenta luci e ombre. Marco Berti, nel ruolo eponimo, possiede la caratura vocale ideale per interpretare il moro – che in questa ripresa è bianco – ma risulta più autoritario che nobile per i volumi talvolta esagerati e per il difetto di lirismo nei passaggi più intimi.

Carmela Remigio delinea una Desdemona più credibile dal punto di vista registico che vocale, il personaggio che crea è ben rappresentato, ricco di sfumature, ma vocalmente è poco omogenea e lascia spazio a qualche sussulto di lieve fastidio.

Dalibor Jenis è uno Jago insinuante, diabolico, subdolo. L’emissione non rivela una tecnica irreprensibile, ma il risultato convince e trafigge come una lama.

Chi piuttosto spicca per tecnica vocale, introspezione e freschezza interpretativa è Matteo Mezzaro, nei panni di Cassio.

A completare il cast Antonello Ceron, Roderigo; Mattia Denti, Lodovico; Matteo Ferrara, Montano; Elisabetta Martorana, Emilia.

In forma smagliante l’orchestra del Teatro, il coro preparato da Claudio Marino Moretti e i Piccoli Cantori Veneziani istruiti e diretti da Diana D’Alessio.

Grande volume di applausi per tutti.

Marina Bontempelli

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