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Abolire il Concordato: si può fare, si deve fare

Quan­do, quat­tro mesi fa, lan­ciam­mo la no­stra pe­ti­zio­ne on­li­ne che chie­de di abo­li­re il Con­cor­da­to, ol­tre ai so­li­ti noti che ci die­de­ro de­gli an­ti­cle­ri­ca­li, al­tri ci die­de­ro dei so­gna­to­ri o de­gli uto­pi­sti. Un obiet­ti­vo con­se­gui­bi­le nel pros­si­mo se­co­lo o nel quar­to mil­len­nio, com­men­ta­ro­no al­cu­ni. A co­sto­ro po­trem­mo ri­spon­de­re che, se qual­cu­no non co­min­cia a im­pe­gnar­si per un ob­biet­ti­vo, quel­l’obiet­ti­vo di­ven­te­rà dif­fi­ci­le da rag­giun­ge­re an­che nel quin­to, di mil­len­nio. E tut­ta­via: è ve­ra­men­te così lon­ta­no come si pen­sa?

Fino a pro­va con­tra­ria, nei no­stri mag­gio­ri part­ner eu­ro­pei qual­co­sa si sta muo­ven­do. Nel Re­gno Uni­to, il pae­se che — no­no­stan­te la cre­sci­ta sem­pre più im­pres­sio­nan­te dei non cre­den­ti — è più pe­san­te­men­te con­di­zio­na­to da una re­li­gio­ne di Sta­to, le ri­chie­ste di un di­se­sta­blish­ment del­la Chie­sa an­gli­ca­na si fan­no sem­pre più for­ti.

In Ger­ma­nia, dove vige un con­cor­da­to con la Chie­sa cat­to­li­ca, e dove quel­la lu­te­ra­na gode di una po­si­zio­ne ana­lo­ga, una co­mu­ni­tà isla­mi­ca ha ot­te­nu­to una sor­ta di equi­pa­ra­zio­ne nel land del­l’As­sia. In Spa­gna, dove il con­cor­da­to in vi­go­re pre­sen­ta mol­te ana­lo­gie con quel­lo ita­lia­no, il mec­ca­ni­smo del Set­te per Mil­le pre­ve­de la non ri­par­ti­zio­ne del­le scel­te ine­spres­se (ov­ve­ro pro­prio quan­to chie­sto dal re­fe­ren­dum sul­l’Ot­to per Mil­le re­cen­te­men­te pro­po­sto). Si­tua­zio­ni di­ver­se, ep­pu­re ac­co­mu­na­te dal­la con­sta­ta­zio­ne che l’im­pian­to le­gi­sla­ti­vo non sia più ade­gua­to ai vec­chi tem­pi del­le re­li­gio­ni di Sta­to.

E qui da noi? Ne ha scrit­to l’al­tro ieri Mas­si­mo Teo­do­ri sul Cor­rie­re del­la Sera. La­men­tan­do che “un velo di si­len­zio” è or­mai ca­du­to sul Con­cor­da­to, sia da par­te del­lo Sta­to che da par­te del­la Chie­sa (in que­st’ul­ti­mo caso è del re­sto fa­ci­le com­pren­de­re per­ché). Una sor­ta di “tabù in­toc­ca­bi­le”, a cui oc­cor­re in­ve­ce or­mai met­te­re mano. Per­ché ga­ran­ti­sce “pri­vi­le­gi, de­na­ro e po­te­re al­l’al­to mon­do ec­cle­sia­sti­co e al Va­ti­ca­no a ca­ri­co del­lo Sta­to ita­lia­no”.

Fa pia­ce­re leg­ge­re fi­nal­men­te an­che su un quo­ti­dia­no così im­por­tan­te che “è tem­po di apri­re un di­bat­ti­to sul sen­so del Con­cor­da­to”. I pri­vi­le­gi che la si­tua­zio­ne at­tua­le ri­ser­va a Qual­cu­no (Otto per Mil­le, ora di re­li­gio­ne e via di­cen­do) si tra­du­co­no in di­scri­mi­na­zio­ni evi­den­ti nei con­fron­ti di qual­cun al­tro. Una cir­co­stan­za im­ba­raz­zan­te per uno Sta­to che si vuo­le de­mo­cra­ti­co e lai­co, e che al­l’ar­ti­co­lo 3 del­la sua Co­sti­tu­zio­ne af­fer­ma l’u­gua­glian­za di ogni cit­ta­di­no in­di­pen­den­te­men­te dal­le sue con­vin­zio­ni re­li­gio­se. La so­cie­tà ita­lia­na è as­sai cam­bia­ta ne­gli ul­ti­mi tem­pi, si è lar­ga­men­te se­co­la­riz­za­ta ed è di­ve­nu­ta plu­ra­le. L’i­na­zio­ne è per­tan­to sem­pre più in­giu­sti­fi­ca­ta: au­spi­chia­mo che chi di do­ve­re se ne ren­da fi­nal­men­te con­to.

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