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21 Settembre: Rosario Livatino 20 anni dopo. Un ricordo

Data la colpevole scarsa eco nazionale della commemorazione per il XX° anniversario della morte causata da mano mafiosa del giudice ragazzino Rosario Livatino, vorrei in qualche modo sopperire con il mio articolo sottostante dedicato proprio a tale evento.

Canicattì 21 settembre 2010: ventesimo anniversario dell’assassinio del giudice ragazzino canicattinese Rosario Livatino.

Sono passati vent’anni esatti da quel tragico 21 settembre, giorno dell’agguato mafioso sulla SS 640 in direzione Agrigento in cui il giudice ragazzino canicattinese Rosario Livatino perse la vita. E, doverosamente, nella cittadina che gli diede i natali, come ogni anno si tengono messe e convegni alla memoria. Fra qualche giorno, il 25 settembre, ricorrerà l’altro tragico anniversario, il ventiduesimo, dell’uccisione sempre per mano mafiosa di un altro giudice canicattinese e suo figlio, Antonino Saetta col figlio Stefano. Sempre sulla maledetta SS 640 ma in direzione Caltanissetta per recarsi a Palermo, suo luogo di lavoro, come Agrigento lo era per Rosario. Morti dunque per aver voluto assolvere il proprio delicato e importante compito istituzionale con onestà e scrupolo, alieni da ogni compromesso o condizionamento che non fosse la loro integerrima coscienza: con eroismo quindi, dato che eroi bisogna essere in questa terra per svolgere bene il proprio dovere.

Alle ore 9,30 si è svolta la funzione religiosa nella chiesa di San Domenico. Al termine della messa il corteo delle autorità militari e della magistratura si è recato sul viadotto Gasena, luogo dell’agguato, per deporre la corona di fiori sulla stele fatta erigere dai genitori in memoria. Durante la cerimonia Don Giuseppe Livatino ha ricordato il processo di beatificazione in corso per Rosario. Nel pomeriggio, alle ore 16,30, nel Teatro Sociale fresco di restauro di cui è direttore artistico la Signora Sandra Milo, si è svolto il convegno su “Etica, Carità e Giustizia nell’azione giudiziaria”.

Presenti il magistrato Giancarlo Caselli che ha parlato della sottile differenza tra legalità e giustizia, solo apparentemente sinonimi, ove invece la prima è l’auspicabile rispetto delle leggi scritte, che, pur quando fossero quasi per assurdo rispettate in toto, non potrebbero da sole assicurare una reale giustizia se le istituzioni non si adoperano per garantire pari opportunità sociali, economiche e delle condizioni lavorative fra i cittadini. Ha parlato anche di “eclisse della questione morale” a livello istituzionale e di come ad esempio, in maniera volontaria e subdola, si confondano prescrizione con assoluzione, quando invece la prima prescrive un reato del quale in dibattimento si è comprovata la consumazione, mentre la sentenza di assoluzione dimostra l’innocenza dell’imputato poiché non lo ha commesso.

L’altro magistrato presente era Gaetano Paci che ha ricordato la frase dello scomparso Presidente Sandro Pertini il quale diceva che un magistrato deve essere imparziale e limpido non solo nella sua funzione istituzionale ma anche nella vita. Il giudice Rosario Livatino ha ampiamente dimostrato di essere, ed apparire anche, scevro da ogni compromesso o ombra che potessero mettere pur lontanamente in dubbio la sua onestà e indipendenza. Io dico, monito attualissimo se si considerano le ampie zone d’ombra calate oggi su parecchi rappresentanti istituzionali. E dire, penso ancora io, che un altro ex Presidente, l’appena scomparso Francesco Cossiga, pace all’anima sua, non usò parole di apprezzamento nei confronti dei giudici ragazzini scesi in trincea per difendere la legalità, al prezzo anche della vita.

Presente pure Salvatore Presti, regista del film-documentario “Luce verticale. Rosario Livatino. Il Martirio”. Ha detto di avere attinto i particolari della vita di Rosario dai documenti e dalle sue stesse agendine messe a disposizione dalla sua ex insegnate di Greco al Liceo, la Professoressa Ida Abate, custode della sua memoria.

La scrittrice Gilda Sciortino ha presentato il libro su Rosario “La coscienza del giudice”.

E’ salito sul palco anche il Dottor Vittorio Teresi, Presidente dell’ANM di Palermo, parlando di come la lotta alla mafia si sia limitata finora a rincorrere e ad adattarsi alle strategie dei vertici mafiosi, un tempo stragista e ora di basso profilo, senza opporre un’efficace azione di aggressione alle cosche per prevenire e combattere in tempo le sue strategie, e non adattarvisi passivamente a cose fatte. E l’attore Giulio Scarpati che nel 1993 interpretò il personaggio di Rosario nel film “Il Giudice ragazzino” del regista De Robilant. E anche il Sindaco di Canicattì Vincenzo Corbo, aprendo il convegno con un discorso sulla figura integerrima del giudice Livatino, esempio per le nuove generazioni di magistrati.

Alla fine sono stati consegnati i riconoscimenti “Legalità e Giustizia R. Livatino e A. Saetta” ai rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura, che si sono distinti nel loro lavoro al servizio appunto della legalità e della giustizia. Fra gli altri nell’elenco gli stessi magistrati Giancarlo Caselli e Gaetano Paci e la Dottoressa Lucia Lotti, Procuratore della Repubblica di Gela, che ha detto di avere accettato questo difficile compito in una città così ad alto rischio per restituire ai gelesi una Procura da troppo tempo vacante.

Nella serata al Cine Teatro Odeon è andata in scena l’opera musicale “Il mio piccolo Giudice” del regista Antonio Raffaele Addamo. Presentatrice d’eccezione, il direttore artistico del Teatro Sociale, come già detto più sopra, la Signora Sandra Milo, in forma smagliante nel suo lungo abito nero e i biondi capelli da ragazzina.

Il 25 settembre in occasione del ventiduesimo anniversario della morte del giudice Saetta e il figlio ci sarà la visita al Cimitero comunale di Canicattì per l’omaggio floreale sulla tomba di famiglia e alle 10,30 si svolgerà il convegno con lo stesso titolo “Etica, Carità e Giustizia nell’azione giudiziaria” a cui parteciperanno Don Luigi Ciotti, il magistrato Antonino di Matteo, l’Avvocato Roberto Saetta e il giornalista Giuseppe Martorana.

Da notare l’assoluta assenza di un qualsivoglia rappresentante del governo, uno straccio di sottosegretario o ministro, per far sentire la vicinanza dello Stato. Nulla. Evidentemente avevano compiti istituzionali più pressanti che la commemorazione di un povero giudice ragazzino di provincia assassinato dalla mafia.

 

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