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Zambetti, Fiorito e una democrazia in pericolo

La riduzione dei costi della politica non è la panacea a tutti i nostri problemi finanziari che molti vorrebbero, ma una classe dirigente degna di questo nome, che voglia sentirsi anche moralmente tale, dovrebbe intervenire in questo senso, e in modo deciso, prima di chiedere un solo altro centesimo ai cittadini. Quest’affermazione non è populista, qualunquista o altro; esprime quello che dovrebbe essere, semplicemente, il minimo della decenza. Non solo; tra le trasformazioni che dovremo compiere per restituire al nostro paese la competitività che perde da decenni, la prima dovrebbe essere una riduzione del perimetro della politica che, in una costante espansione arrivata al culmine negli anni ottanta, è arrivata ad occupare ambiti che le dovrebbero essere del tutto estranei.

I dettagli che accompagnano le vicende lombarde e laziali di questi giorni dimostrano in modo puntale quanto vi sia di evidentemente sbagliato nella nostra vita pubblica. Se si può sperare che Domenico Zambetti, il consigliere lombardo del PDL che sarebbe stato eletto con i voti della ‘ndrangheta, pagati cinquanta euro l’uno, sia un’eccezione (ma non credo proprio sia così), vittima innanzitutto di un carattere e di una fibra morali tanto deboli da disgustare gli stessi mafiosi, resta che abbia perfettamente senso investire centinaia di miglia di euro (duecentomila per comprare 4000 voti, nel suo caso) per arrivare a sedere su una delle poltrone del consiglio regionale; che anzi, sia, dal punto di vista economico, un buon affare. Qualunque cosa si pensi di Fiorito, nel Lazio, resta che erano a sua completa disposizione delle cifre spropositate, soprattutto considerando che in un anno il consiglio regionale del Lazio si è riunito solo 52 volte per approvare un gran totale di 13 leggi regionali.

Questi ultimi numeri, in particolare, dovrebbero aver ragione di chi afferma l’impossibilità di poter coniugare attività politica e vita lavorativa e quindi la necessità di concedere retribuzioni significative anche ai politici locali. Una posizione insostenibile (una sera la settimana alla politica la dedicavano, gratuitamente o quasi, anche i consiglieri comunali del tempo che fu) che diventa addirittura ridicola se si guarda appena oltre i nostri confini. Il Gran Consiglio ticinese si riunisce più o meno con la stessa frequenza del consiglio regionale laziale, ma i suoi deputati ricevono, in tutto e per tutto, un rimborso spese di 200 Franchi (170 Euro) a seduta. Solo al suo Presidente è concessa un indennità supplementare di circa, udite udite, 4000 Euro, ovviamente l’anno. E il Canton Ticino, parte di una confederazione, ha responsabilità maggiori di quelle di una regione italiana. E il Canton Ticino è amministrato infinitamente meglio della regione Lazio.

La politica, insomma, da quelle parti si fa ancora per passione, come da noi fino a qualche decennio fa, e non è, se non per pochissimi, una professione. I nostri professionisti della politica, invece, sono strapagati e soprattutto, sono numerosissimi: 1.300.000, secondo uno studio della UIL, che ha incluso nel numero anche chi riceve uno stipendio come consigliere d’amministrazione delle varie aziende controllate o partecipate dal pubblico. Aziende che è giustissimo rimangano pubbliche, intendiamoci, ma che non si capisce proprio perché debbano essere amministrate da politicanti, per solito assolutamente impreparati, né perché, a fronte di compiti reali minimi (anche perché non sarebbero in grado di fare molto più che mettere le propria firma sotto i verbali dei CdA) a questi personaggi debbano essere riconosciuti stipendi di decine o centinaia di migliaia di euro l’anno.

Decidere quanto un comune debba spendere per sostenere la propria azienda di trasporti è certo una decisione politica; far circolare gli autobus, gestire puntualmente l’attività dell’azienda, di politico non dovrebbe avere invece proprio nulla: dovrebbe essere compito di dirigenti, possibilmente esperti del settore, che si siano conquistati il posto dando dimostrazione delle proprie capacità, magari all’interno della stessa azienda, e che dovrebbero essere sostituiti non appena quelle capacità smettessero di dimostrare.

E’ l’esatto contrario di quanto accade nella nostra realtà e l’inefficienza delle aziende pubbliche male amministrate è un prezzo in più che dobbiamo pagare alla nostra disastrosa classe politica. Una somma difficile da quantificare ma enorme che va sommata ai 24 miliardi l’anno che i politicanti ci costano direttamente e ai 60, almeno, di danni che provoca alla collettività la corruzione di cui sono protagonisti.

Cifre che la nostra economia non può più sopportare; verità che possono negare, trincerandosi magari dietro formule vuote come quella del “primato della politica”, solo dei mentecatti incapaci di vedere che, così facendo, stanno conducendo il paese verso il terzo mondo e la nostra democrazia verso una crisi terminale. Temi di cui pare nessuno si voglia seriamente occupare, a sinistra quanto a destra, nella convinzione che basti qualche ritocco cosmetico al sistema per continuare a godere della fiducia dei cittadini; argomenti per il momento lasciati a Grillo, magari assieme a qualche occhiata di disprezzo, ma di cui si potrebbero facilmente appropriare forze assai più pericolose del M5S.

Il rischio, sempre più reale, è che la seconda repubblica, vista ormai come quelle degli Zambetti e dei Fiorito, sia anche l’ultima.

Commenti all'articolo

  • Di Andrea Prati (---.---.---.246) 13 ottobre 2012 21:41
    Andrea Prati

    L’analisi proposta è equilibrata ed è chiaro che il denaro che circola nella politica è spropositato moralmente e dal punto di vista dei risultati. Però manca un passaggio: c’è un’indotto che vive su questo stato della politica

    Clientele varie, imprenditori e imprese amiche, raccomandati nel pubblico e anche nel privato, associazioni varie che ricevono soldi pubblici etc etc. La classe politica è comunque, che piaccia o no, l’espressione del popolo. Quando le cose andavano bene era accettato tutto quello che sta venendo fuori adesso. Penso che solo la crisi economica abbia risvegliato l’interesse degli italiani e il disgusto verso la classe politica tricolore. A ragione certo ma certi valori civici se ci riteniamo un popolo maturo e adulto dovrebbero appartenerci a prescindere, crisi o non crisi.

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