Wrestling: dopo la morte di Test di nuovo polemiche e discussioni. Una voce fuori dal coro
E’ un mondo strano quello in cui viviamo al giorno d’oggi, un mondo fatto di tanti comprimari, pochi eroi, un discreto numero di farabutti, per farla breve un’enorme marmitta nella quale viene preparato il composto da servire alla grande tavola della cena delle beffe. La linea di demarcazione che segna il passaggio tra verità e finzione è molto, molto sottile. Il mondo del Wrestling, tanto amato quanto odiato sport-entertainment salta a ripetizione attraverso questa fantomatica linea, con il risultato che, spesso e volentieri, si possa arrivare a confondere quella che è indubbiamente la meglio riuscita dissacrante miscela tra un lavoro di fiction ed un eccellente spettacolo sportivo, con un film splatter di quarta categoria ritenuto tra i più diseducativi e censurabili
In questi giorni, da appassionato, ho letto più di una testata, visto più di un notiziario, dedicare spazio (poco, per la verità), a quella che molti definiscono “l’ennesima morte dello spietato mondo del Wrestling”, riferendosi al recente decesso di Andrew Martin, 34 anni da compiere, conosciuto con il nickname di “Test”. Il cadavere dell’atleta, o ex-atleta, è stato rinvenuto nello scorso weekend nella sua casa di Tampa, Florida, dalla polizia, avvisata dai vicini. La causa della morte sarebbe stata (anche se, ad oggi la conferma ufficiale non sembra ancora esserci) l’abuso di steroidi anabolizzanti e di painkillers, pillole usate da qualunque wrestler con lo scopo di attutire il dolore causato dai postumi dei vari incontri.
La notizia è passata quasi inosservata in Italia, perché il nostro paese, la nostra cultura, ha già da tempo etichettato il Wrestling come il film splatter di cui sopra, escludendo il valore degli atleti ed il lavoro degli sceneggiatori (quest’ultimo, ad onor del vero, variabile tra picchi di genio creativo e copioni tra il discutibile e il disgustoso), fossilizzandosi quasi esclusivamente su quanto “male” faccia il Wrestling non solo a chi lo pratica, a chi ne scrive, a chi ne trae vantaggi economici, ma anche a chi lo segue, da anni con passione o per pochi attimi come osservatore occasionale. In Italia il Wrestling è passato più volte dall’essere un elemento di nicchia ad un fenomeno nazionale, per poi fare il percorso inverso a causa di vari fattori.
Negli anni ’80 viene a nascere l’interesse verso quella che è, e comunque rimane, una disciplina sportiva a prescindere, grazie a personaggi quali Hulk Hogan, André the Giant, The Ultimate Warrior (solo per citarne alcuni), mastodontici e muscolosi uomini fuori dal comune, che combattono sul ring contro il “malvagio” di turno, combattono per la giusta causa, ed un bambino li sceglie come eroi, al punto di seguirne passo per passo le vicende e le rivalità, di discutere animatamente con altri bambini su chi sia il migliore, di crescere insieme a questi personaggi. Nei primi anni’90 il bambino è cresciuto, è adolescente e la popolarità del Wrestling è ormai affermata in tutta la nazione, nei bar si discute di calcio, di basket, di pallavolo e anche di Wrestling, nelle edicole e nelle cartolerie è tutto un florilegio di riviste, diari scolastici, astucci, matite, indumenti dedicati al Wrestling, la macchina propagandistica è al massimo livello.
Poi, improvvisamente ma neanche troppo, arriva la Pay TV, il Wrestling gradualmente scompare dalle televisioni in chiaro, gli appassionati diminuiscono fino a portare quello che era un invidiato corpo statuario, granitico ed imponente ad una carcassa informe e pronta per essere abbattuta. Lo zoccolo duro però rimane, e verso la fine degli anni’90 ecco la timida rinascita, dovuta principalmente all’avvento prepotente dei siti web, fino ad arrivare alla metà degli anni 2000, anni in cui la popolarità del Wrestling raggiunge livelli mai visti prima, che superano anche di gran lunga quello che è stato l’effetto novità di vent’anni prima. Il bambino intanto è diventato un uomo, non vede più quel cartone animato che ha come protagonisti persone vere, ma ragiona, ragiona sulle capacità reali degli atleti, sa perfettamente che si tratta di uno spettacolo con risultati predeterminati a tavolino, e si gode quello show che ormai è cresciuto insieme a lui, contornato da effetti speciali, fuochi artificiali, stage enormi, dettagli curati nella più impercettibile delle sfaccettature.
L’uomo sa giudicare, il bambino no. Oggi il wrestling è tornato quello che era, è tornato nella “fogna”, è considerato diseducativo, perché c’è il doping, c’è la droga, ci sono gli atleti che muoiono, a cominciare dal popolarissimo Eddie Guerrero, scomparso nel 2005, passando per quello che è stato, senza dubbio, il colpo di grazia per il bando del Wrestling dal territorio italiano: la morte di Chris Benoit. Siccome, però, l’uomo, come detto, ragiona, poniamoci alcune domande che da qualche giorno riecheggiano nuovamente nelle orecchie degli appassionati a causa della scomparsa di un ragazzo di 33 anni, appunto Andrew “Test” Martin: quanta esattamente è la responsabilità dell’universo Wrestling nella scomparsa di questi atleti? E’ proprio vero che bandire il Wrestling dalla televisione è la soluzione, due anni fa come ora? O forse i signori benpensanti si sono concentrati, e si concentrano, sul decesso di un atleta provocato dallo “sport” che pratica, piuttosto che sul decesso dell’uomo?
Riflettiamo su questo, perché Eddie Guerrero è morto per un attacco cardiaco dovuto ad una condotta sconsiderata che l’uomo Guerrero ha tenuto per anni fuori dal mondo del Wrestling, Chris Benoit è morto suicida dopo aver ucciso senza pietà moglie e figlio, ed è stato accertato che il raptus di follia dell’uomo Benoit è avvenuto per cause da egli stesso originate (leggasi abuso di sostanze dopanti), e che in questo caso si sta parlando di un assassino, non di un wrestler. Nell’ultimo caso, quello di Martin, non molti sanno che è stato lo stesso Andrew a farsi più volte licenziare dalla federazione per la quale lavorava in quanto non osservante delle norme che regolano l’uso di steroidi e painkillers, ed che è ancora è stato lo stesso Andrew a rilasciare deliranti interviste ai network americani su quanto fosse salutare l’uso di dette sostanze, interviste che lasciarono molti a bocca aperta.
Attenzione, qui non si sta dicendo che il mondo Wrestling non sia, in un certo senso, immune da colpe, ma se l’attenzione dei media si catalizzasse di più sull’uomo e non sul personaggio, allora forse le cose si racconterebbero in maniera diversa, il bambino divenuto uomo sa ragionare e queste cose è in grado di vederle senza il massacro degli organi d’informazione. Agli show di Wrestling tenutisi nel nostro paese, principalmente nella nostra Milano, durante gli anni d’oro hanno presenziato figli di personalità e di politici, accompagnati dagli stessi genitori che si divertivano, e che oggi sono i primi a schierarsi contro un movimento che ha la minima parte di responsabilità per tutto quanto sopra esposto.
Riflettiamo anche su questo. Il ritornello già sentito “il Wrestling è il male”, tornato di moda in settimana, ha, francamente, fatto il suo tempo. Il Wrestling è fatto da persone, tali persone rendono conto principalmente a se stesse dei propri comportamenti, e non è dando la colpa ad un business che fattura miliardi di Euro all’anno, non è oscurandolo dalle Tv, non è facendolo distruggere da personaggi che di Wrestling ne sanno davvero molto poco, che si risolveranno o che cambieranno le cose.
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