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Angels in America: una commedia mancata. All’Elfo di Milano

La commedia in questione – Angels in America: a Gay Fantasia on National Themes – viene commissionata a Tony Kushner nel 1987, debuttando in due parti a Broadway nel 1993: il successo è immediato, con la vincita del Pulitzer, due Tony ed altri premi. A teatro ha vinto tutto, in tv è diventato un serial nel 2003 con Al Pacino, Meryl Streep, Emma Thompson, adattamento pluripremiato con Golden Globe e Emmy

L’epopea dei protagonisti di Angels in America inizia con un prologo: il sipario di apre sul funerale ebraico della nonna di Luis, morta già da tempo perché abbandonata nel suo ospizio da tutti, la quale incarna una sorta di passato yiddish da allontanare, sostituito velocemente dalle immagini di una New York anni ’80.

Viene ritratta l’America degli arrivisti, degli uomini di potere, dei compromessi e dell’assenza di radici come matrice di solitudine individuale. Sono gli Stati Uniti di Regan, dove tutto può cambiare, quando viene spazzata via la politica economica del New Deal per far posto a uno sfrenato neoliberismo; in questo panorama, come una pestilenza arriva l’Aids che colpisce Roy Choen (Elio de Capitani), cinico avvocato in carriera e omosessuale non dichiarato, e Prior Walter (interpretato da un generoso Edoardo Ribatto), abbandonato dal suo compagno Luis proprio perché incapace di sopportare la malattia. Accanto al nucleo centrale della storia, Joe Pitt, caduto nelle mani dello spietato mentore politico Roy Choen, è ritratto come incapace di accettare la sua omosessualità a causa di un’educazione religiosa che non gli ha permesso di conoscersi, costretto a vivere un matrimonio infelice con Harper, la quale ne subisce le estenuanti conseguenze emotive. Ogni personaggio cerca di vivere la propria apocalisse, percorrendo una strada dimenticata.

L’elaborazione della paura della morte, il senso di colpa per l’abbandono, la sfrenata ricerca di potere, il tentativo di accettazione della propria identità sessuale, reso vano da una rigida educazione religiosa, queste alcune delle tematiche che emergono dallo spettacolo presentato all’Elfo, profondamente ancorato nel testo di Tony Kushner.
La piéce – che ha fatto incetta di premi (UBU, Hystrio, Olimpici del Teatro) – è firmata da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, interpretata dagli attori storici della compagnia e da un cast di giovani, impegnati in più ruoli per via dei tanti personaggi. La scrittura di Kushner, così epica e visionaria, viene resa attraverso un impianto vistosamente cinematografico con proiezioni, sonorità diffuse, scene sfumate e montaggio incrociato; gli interni e gli esterni sono riprodotti grazie a proiezioni cinematografiche sulle pareti di mattoni, e ad un via vai di letti, tavoli, sedie, frigo e arredi vari, fino a giungere all’hollywoodiano effetto finale con l’angelo del bene venuto a squarciare il muro dell’indifferenza rompendo la parete.



Uno spettacolo sicuramente interessante nell’indagine dei vari tentativi di dare risposta alla complessità rappresentativa – tanto concettuale quanto pratica – del testo di Kushner. Tuttavia, pare evidente che la rappresentazione non sia stata in grado di prendere sul serio il carattere provocatorio e espressionista della commedia, solo a tratti considerata tale, per la maggior parte del tempo ridotta a semplice macchietta. I differenti registri stilistici, i diversi piani e linguaggi espressivi, non trovano un’omogeneità nella regia condivisa, e privano la vicenda dalla profondità ironica che sembra essere il suo nucleo. Personaggi come stereotipi difficili da credere – nonostante l’interessante interpretazione di Edoardo Ribatto – , un accenno di sovrastruttura trash, che rimane tale proprio perché non portata al suo limite estremo, e per questo mal conciliata con i momenti onirici conclusivi.


 
per www.panorami.info Elisa Murgese

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