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Via Fani. Quel 16 marzo e quel dannato motorino

 
Facendo un giro sul web è recentemente è apparso un articolo su "il Garantista" a cura di Paolo Persichetti su quanto avvenuto la mattina del 16 marzo 1978 in via Mario Fani a Roma durante il rapimento di Aldo Moro e l’annientamento della sua scorta ad opera delle Brigate Rosse. In particolare viene ripresa una foto in bianco e nero che mostra il motorino del testimone Alessandro Marini. La motocicletta che aveva l'ingegnere era un modello “Ciao” di colore verde munito di parabrezza.
 
In realtà è possibile vedere ancora meglio il motorino in una foto a colori (foto in alto) tra le tante scattate durante quella disgraziata mattina. Dobbiamo qui ricordare che la testimonianza di Alessandro Marini, del tutto inattendibile come sancito dalla sentenza del processo d’appello e che ha rasentato i limiti per l’accusa di falsa testimonianza, è stata quella che ha generato i peggiori dubbi sula dinamica di quel sanguinoso agguato. In particolare vi è sempre stato da chiarire il suo racconto sulla moto Honda blu di grossa cilindrata, con due persone a bordo di cui una a volto coperto e l’altra identica all’attore Edoardo De Filippo, che esplosero a suo dire verso il parabrezza del suo motorino “Ciao” una “sventagliata di mitra”.
 
Questi proiettili, secondo lui, avevano infranto il parabrezza del suo motorino. Ho già raccontato di come in maniera inequivocabile Marini abbia confuso e mischiato tutte le cose viste in pochi minuti, frutto anche del fatto che, come sua stessa ammissione egli era spaventato tanto da “urinarsi addosso”. Per quanto riguarda le due persone di cui uno dal volto coperto e l'altro identico ad Edoardo de Filippo i due erano in realtà Alvaro Lojacono ed Alessio Casimirri (che non erano affatto a bordo della moto), ed un ampia descrizione su cosa è accaduto realmente la potete trovare al seguente link
 
In ogni caso, seppur nel tempo soprattutto le ricostruzioni poco lucide abbiano dato conto a quanto detto da Marini, si è costruito su quella inesistente “sventagliata di mitra” un mistero di Stato della nostra Repubblica. Nel 1998 si accertò i loro nomi veri, Giuseppe Biancucci e Roberta Angelotti appartenenti all’area dell’autonomia romana, che non spararono proprio su nessuno nei loro momenti di presenza in via Fani. In ogni caso vi faccio ora l’elenco di tutto quello che è stato detto sui due della moto Honda: due agenti della Cia, due killer della n’drangheta, due agenti del Mossad, due spie del Kgb, due militanti della Raf e ultimamente anche due agenti del Sismi.
 
Credo che dinanzi a questa vera e propria letteratura di ipotesi manchino solo gli alieni e forse anche gli asini che volano. Da queste foto possiamo però vedere come quella “sventagliata di mitra” verso il suo parabrezza non vi fù per niente. Lo possiamo vedere bene nella figura in alto
 
Marini cadde già in contraddizione tra le prime sue testimonianze. La prima fatta e trascritta nel verbale delle 10:15 della Digos la mattina stessa del 16 marzo ed in quella delle 9.30 del 26 settembre dello stesso anno, dove racconta due versioni completamente diverse sulla dinamica dell’agguato. Una prima vera ammissione riesce a farla invece il 17 maggio 1994 dinanzi alla Procura delle Repubblica. In quella deposizione ammette che, in realtà, il suo parabrezza era già rotto in precedenza e che egli stesso aveva provveduto a ripararlo con dello scotch. 
 
Il parabrezza non solo era quindi già rotto, ma soprattutto da quelle foto possiamo evincere in maniera inequivocabile che nessuno ha mai sparato su di esso. Nessuna traccia di colpi e fessure sul vetro dovuti ad arma da fuoco, nulla di tutto questo. E’ solo evidente l’enorme lastra di scotch apposta da Marini su di esso prima del 16 marzo.
 
Nessuno sparò alcuna “sventagliate di mitra" verso di lui. In realtà fù il brigatista Franco Bonisoli, mentre stava tornando su via Stresa per fuggire a bordo di una Fiat 128, che sperò solo a scopo intimidatorio verso il motore di Marini un colpo di pistola per indurlo ad allontanarsi. Forse sarebbe stato molto utile che Marini avesse confessato prima che il suo parabrezza era già infranto.
 
Ci saremmo risparmiati 37 anni di falsi misteri e ricostruzioni lacunose e poco credibili che di certo n0n hanno fatto bene non solo all’ accertamento della verità ma anche alla storia del nostro paese. Il tutto nell’ attesa del prossimo romanzo fantasy sul caso Moro.
 
 

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.241) 16 marzo 2015 19:59

    A me del Marini me ne frega poco, però mi dispiace leggere "37 anni di falsi misteri" !

    A me risulta che sull’attentato, sul sequestro e sull’ultima uccisione ci siano molti, troppi misteri verissimi, non "falsi misteri".

    Fra le molte cose non chiare, una sola è chiarissima e indiscutibile: si è fatto di tutto per confondere, fare sparire prove e testimoni.

    GeriSteve

  • Di Riccardo (---.---.---.198) 14 giugno 2017 09:03

    In nessuna deposizione e in nessun verbale compare il modello del motorino di Marini. Né lui ne gli inquirenti hanno mai menzionato il "Ciao" o il "Boxer", quindi non si capisce come lei possa sapere con certezza che quello non è il ciclomotore di Marini. 

    L’unica cosa certa è che quel Boxer della piaggio corrisponde perfettamente alla descrizione fatta da Marini: di colore verde e con lo scotch messo di traverso per tenere uniti i due pezzi del parabrezza.

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