• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Venezuela in crisi, i “figli” di Chavez: l’eredità è in pericolo

Venezuela in crisi, i “figli” di Chavez: l’eredità è in pericolo

Torna a scrivere sul sito l’amico e studioso di America Latina Angelo Zaccaria, che sta seguendo molto da vicino l’evolversi della situazione in Venezuela. Buona lettura! A.G.

“Per questo il socialismo nel secolo ventunesimo, che qui è risorto come fra i morti, è qualcosa di innovativo. Deve essere veramente nuovo. E una delle cose essenzialmente nuove nel nostro modello, è il suo carattere democratico, una nuova egemonia democratica, e questo obbliga noialtri non ad imporre, ma a convincere, e da qui deriva ciò di cui stiamo parlando. Il tema dei media, il tema della comunicazione, il tema degli argomenti, il tema del fatto che queste cose siano, quello che stiamo presentando oggi, per esempio, che le percepisca il paese intero, come ottenerle, come realizzarle. Il cambiamento culturale. Tutto questo deve avere un impatto con questo livello culturale, che è vitale per il processo rivoluzionario, per la costruzione della democrazia socialista del ventunesimo secolo in Venezuela.”

Citazioni da “Golpe de Timon”, intervento di Hugo Chavez nel Consiglio dei Ministri, Caracas, Miraflores, 20 ottobre 2012.

A poco più di tre anni e mezzo dalla morte del Presidente Chavez, ed a quasi un anno dalla dura sconfitta del fronte bolivariano alle elezioni parlamentari del 6 Dicembre 2015, l’eredità lasciata da quello che resta uno dei più amati (e detestati) leader politici contemporanei, è in pericolo.

Sullo sfondo resta la pesante situazione economica e sociale, resa tale non solo dal calo dei prezzi del petrolio e dal pesante boicottaggio e “guerra economica” scatenata contro il governo dai suoi nemici interni ed internazionali, USA in primis, ma anche dai gravi errori politici commessi dal vertice di potere chavista, corruzione in primis.

Come previsto, si veda anche il mio precedente contributo a proposito, la prima vera sconfitta elettorale chavista dello scorso Dicembre ha inasprito la polarizzazione e lo scontro politico interno. Il TSJ (Tribunale Supremo di Giustizia), in parte rilevante rinnovato subito dopo tale sconfitta, dalla vecchia Assemblea Nazionale in scadenza e prima che si insediasse quella nuova dominata dall’opposizione, ha pesantemente limitato, con una serie di sue decisioni, l’attività legislativa dell’attuale Assemblea.

Altro pesante fronte di scontro è quello del referendum revocatorio promosso dalla opposizione per defenestrare legalmente il presidente Maduro: da un lato l’opposizione premeva perché si svolgesse entro l’anno 2016, in modo che una sua eventuale vittoria desse luogo a nuove elezioni presidenziali; dall’altro il governo premeva per farlo l’anno prossimo, in modo che una sua eventuale sconfitta non desse luogo a nuove elezioni ed il periodo presidenziale fosse completato sino al 2019 dal vicepresidente. Un discutibile dispositivo della Costituzione Bolivariana prevede infatti che, in caso di revoca referendaria del presidente in carica, si vada a nuove elezioni presidenziali solo se il referendum si svolge entro i primi quattro anni del mandato presidenziale.

Lo scontro restava aperto ma l’opposizione, dopo avere adempiuto nei mesi scorsi al primo passaggio previsto, la raccolta dell’uno per cento di firme degli iscritti alle liste elettorali, si apprestava al secondo ed ultimo fondamentale passaggio, già fissato per i giorni dal 26 al 28 Ottobre: la raccolta del venti per cento di firme degli iscritti alle liste elettorali.

Ora però lo scontro va verso una escalation definitiva: il 20 Ottobre il CNE (Consiglio Nazionale Elettorale) ha pubblicato un comunicato dove annuncia la sospensione “sino a nuova decisione giudiziaria” dell’intero iter del referendum revocatorio, sulla base della richiesta di misure cautelari da parte di 4 tribunali locali che stanno indagando su presunte frodi nella raccolta di firme già svoltasi, quella dell’uno per cento del corpo elettorale. Nel frattempo anche le elezioni dei governatori degli stati, previste per il Dicembre di quest’anno, son state rinviate alla metà del 2017.

L’ Assemblea Nazionale, nella cui sede il 23 Ottobre si son svolti scontri fisici fra militanti a favore o contro il governo, ha dichiarato “la rottura dell’ordine costituzionale e l’esistenza di un colpo di stato” da parte del CNE, del TSJ e del governo. Alcune bombe molotov son state lanciate contro la sede locale del CNE nello stato Lara. L’opposizione ha dichiarato lo stato di mobilitazione permanente sino a che non venga riaperto l’iter verso il referendum revocatorio. Che poi in tutto questo si inseriscano anche i richiami all’apertura di “tavoli di dialogo” fra i due poli con tanto di mediazione vaticana, ciò non rende il panorama meno teso.

Se questo è ormai il livello del conflitto, in che condizioni si appresta ad affrontarlo il campo bolivariano?

Sappiamo bene che l’opposizione in Venezuela, nelle sue multiformi articolazioni, ha sempre giocato sporco per riprendersi il potere: fallito golpe contro Chavez dell’Aprile 2002, boicottaggio economico e finanziario, accaparramento di beni e contrabbando, assassinio di centinaia di attivisti bolivariani sia nelle campagne che in città. Sappiamo anche che in America Latina non son mai passati di moda né le forzature autoritarie, e nemmeno i golpe militari, duri o blandi, giudiziari, parlamentari: si veda Honduras, Paraguay, Brasile. Ma tutto questo rappresenta una buona ragione perché anche il governo chavista si ponga su questo terreno scivoloso?

Ormai non è solo l’opposizione a parlare della tendenza verso la instaurazione in Venezuela di un “governo di fatto”, ma anche settori della sinistra bolivariana più o meno critica. Che le forzature autoritarie le facciano i gorilla di sempre ed i servi delle oligarchie economiche e finanziarie, è quasi nel conto. Se però le fanno coloro che aspirano ad incarnare la eredità politica di Hugo Chavez, uno che diceva pochi mesi prima di morire, le cose riportate all’inizio, uno che aspirava a superare in avanti i limiti e le storture della stessa democrazia rappresentativa costruendo una forma superiore di democrazia socialista fondata sulla partecipazione dal basso, se le forzature autoritarie vengono da questo lato della barricata, questo apre problemi e contraddizioni non da poco.

Non voglio qui entrare in disquisizioni tecnico-formali sulla possibilità che istanze provenienti da tribunali di provincia incidano sul funzionamento di un organo costituzionale primario come il CNE e di un istituto costituzionale fondamentale come il referendum revocatorio. Basti qui ricordare che Hugo Chavez, con molta coerenza, quando nel 2004 venne intentato contro di lui il referendum revocatorio, vi si sottopose nonostante avesse subito un golpe appena due anni prima, e nonostante anche allora fossero stati denunciati brogli nelle raccolte di firme. Quindi affrontò il referendum e lo vinse. La coerenza consiste nel fatto che Chavez sapeva bene che quello del referendum revocatorio non era un istituto come tanti altri. Era uno dei fiori all’occhiello della Costituzione Bolivariana, perché alludeva a quella democrazia di tipo nuovo, fondata su un livello superiore di partecipazione popolare e quindi anche sulla costante verifica del consenso goduto da parte di chi viene eletto per esercitare ruoli di potere.

Inoltre, anche ammettendo che qualche frode ci sia stata nella fase dell’iter referendario di raccolta di firme dell’uno per cento del corpo elettorale, questo non può occultare totalmente due dati sostanziali: l’uno per cento corrisponde all’incirca a 200.000 elettori, ma il 6 dicembre scorso gli elettori venezuelani che hanno votato per l’opposizione sono stati oltre 7.700.000. Questo ci autorizza quindi perlomeno a nutrire dubbi sul fatto che l’opposizione non fosse in grado di superare questo primo adempimento previsto per promuovere il referendum.

Per concludere. La piega che sta prendendo la situazione prelude a vari sbocchi più probabili, tutti non molto esaltanti: un lungo periodo di caos e di ulteriore aggravamento della situazione economica e sociale; la definitiva degenerazione autoritaria del governo presieduto da Nicolas Maduro. Infine, il ritorno al potere da parte di una destra venezuelana che oggi si permette di ergersi strumentalmente a paladina della democrazia e dei diritti umani, facendo (temporaneamente) dimenticare le sue solide radici razziste, classiste, elitiste, ultra-capitaliste, e la propria sanguinaria vocazione verso la brutale repressione dei movimenti popolari…..Il Venezuela è vicino alla Colombia, e non è lontano dal Messico. Nel frattempo ci sorbiamo lo strano paradosso di una opposizione che ha già dimostrato nei fatti, Aprile 2002 docet ma anche gli eventi del Febbraio 2014, le proprie propensioni golpiste, ma che ora si concede il lusso di additare come golpista il governo.

Oggi più che mai è quindi importante mantenere desta l’attenzione verso quel che accade in Venezuela, e mantenere una attitudine solidale verso i suoi movimenti popolari e di base, tenendo sempre presente che seppure questi movimenti son stati parte e motore del sogno di Hugo Chavez, e quindi anche parte dell’azione dei governi prima e dopo la morte del “Comandante”, in ogni caso su questo livello delle istituzioni e del governo non possono essere totalmente appiattiti e confusi.

Solidarizzare con essi è importante perché se gli scenari di cui sopra dovessero realizzarsi, ed in particolare l’ultimo, i movimenti popolari son quelli che pagherebbero il prezzo più caro. Solidarizzare con essi è possibile, continuando a denunciare i veri scopi della opposizione, ma senza nemmeno rimuovere errori e limiti del governo che pure a Chavez si richiama.

Angelo Zaccaria, Milano, 26 ottobre 2016

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità