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Uomini che ghiacciano alle frontiere

​In questi giorni di convalescenza forzata mi sono appena accorta del freddo terribile che faceva fuori da casa nostra. Tuttavia non ho potuto ignorarlo, specie per ciò che ha provocato a molte persone.

Non facciamo più caso alle cose, perché le abbiamo intorno ogni giorno, come avevamo già osservato con l'articolo La fortuna di cui non ci rendiamo conto, che oggi mi è tornato alla memoria.

Il motivo è semplice: ho la fortuna di avere una casa accogliente e sicura, cibo, calore e protezione, affetti: sono ricchezze per cui sarei disposta a qualunque cosa pur di difenderle.

Lo stesso deve essere per quegli uomini e donne che in questi giorni ghiacciano alle frontiere. Sono persone come me ma a differenza di me fuggono dalla guerra, dalla povertà, dalla morte.

Si rivolgono all'occidente con speranza, spesso rischiano la vita per assaggiarne un pezzetto, fin quando è possibile e fino a quando non si risvegliano in un incubo. Vivi certo, ma in file con le coperte a bussare a Paesi, europei, che non vogliono farli entrare.

Uomini che ghiacciano alla frontiera

Sono gli stessi che sono arrivati davanti alle Frontiere di filo spinato che vi ho raccontato l'anno scorso, quando li ho visti con i miei occhi, giungere dalla rotta balcanica, ormai chiusa, alle pendici delle Alpi e lì trovare il filo spinato e boschi e desolazione. Frontiere di un'Europa fallita nel cuore prima ancora che nei fatti.

Ciò che sta accadendo in questi giorni era assolutamente prevedibile e dunque evitabile, era scritto nelle scelte di allora.

Ora le foto di uomini gelati alla frontiera sono nel nostro quotidiano, ma non si tratta solo di quelli che le immagini ci mostrano.

C'è un altro gelo ed è quello della coscienza.

Sul versante in entrata, uomini attanagliati dal freddo con gli occhi, le mani, i piedi, i nasi gelati a supplicare di entrare. Dall'altro lato del filo spinato uomini gelati nel cuore, obbligati a fermarli e lasciarli morire lì, di freddo, in un posto che non hanno mai visto.

La buona volontà non basta

L'amore e la solidarietà delle persone buone non si assopisce mai, è sempre all'erta, ma non è sufficiente. Li vedo e li sento raccogliere indumenti, erogare pasti, bevande calde, di giorno, di notte, di sabato e di domenica; perché il freddo e il gelo sono in ogni dove, anche nei centri delle città, dove la povertà si vede e si tocca.

Ha le mani di un uomo che si allunga per prendere un cappotto usato senza abbandonare il suo posto, lievemente riparato, che se lo perde stanotte dove potrà mai sperare di dormire svegliandosi ancora, domani mattina?

E io le sento, le brave persone. Hanno il giudizio facile. E' come premere un grilletto, un attimo e via.

"Lo hanno deciso loro" oppure "Se lo meritavano, non hanno fatto nulla per evitarlo" "Cosa possiamo fare, sono troppi" oppure "Sono solo barboni" - "Avevano solo da stare a casa loro".

Persino i bambini vedono quanto sia ingiusta questa condizione. Lo scrive Penny e lo disegna sua figlia in questo articolo sul suo blog.

La storia si ripete e la memoria è corta, si sa. La famiglia di mio padre è sempre stata qui, ma mia nonna emigrò in Piemonte dal Veneto per lavorare e ho molti amici che hanno seguito lo stesso iter, ma provenendo dal sud.

Dovremmo creare un museo della storia dell'immigrazione italiana e metterci dentro i cartelli con le frasi "Qui non si affitta ai meridionali" e altre amenità.

Ma qui stiamo parlando di qualcosa di più vasto, qualcosa che è frutto di scelte geopolitiche sbagliate di cui molti di coloro che adesso chiudono le frontiere sono responsabili.

La memoria è la base per costruire una società che impara dai suoi errori e non li ripete.

E' la benzina per andare avanti.

Indesiderati

Siamo anche noi indesiderati, nemmeno ce ne accorgiamo. La Svizzera a metà del 2016 ha chiuso le frontiere con l'Italia, in ottemperanza al referendum contro l'immigrazione di due anni prima. Troppa concorrenza sul lavoro, questa la vera ragione.

Oggi si entra a numero chiuso, la libertà di circolazione non esiste più con quel paese. Il problema? I lavoratori frontalieri italiani.

Massì in fondo chisseneimporta della Svizzera. E poi è stato il turno della Francia, che ha scelto di chiudere le frontiere agli immigrati, ne sanno qualcosa i cittadini di Ventimiglia. Poi l'Austria e adesso la Slovenia. E mentre l'idea di Europa affonda nemmeno la pietas di aprire una porta.

Il gelo nel cuore. Questo inverno è la metafora di ciò che è accaduto in questi anni nella nostra società del benessere.

Il gelido freddo di questi giorni è una chiara metafora della nostra società

Ho ricordi belli della neve, legati alla mia infanzia. Palle di neve, scivoloni con i sacchi della spazzatura, lunghe camminate nella neve che scrocchia al tuo passare. Odore di buono, silenzio di tomba, i rumori della città frenetica attutiti, almeno per un po'.

Da bambina non avrei mai immaginato che il freddo e la neve, cui sono sempre stata abituata, potessero diventare un nemico, una iattura, troppo spesso una condanna.

Ora vorrei che guardassimo i volti di quegli uomini alla frontiera, degli uomini nei sottoscala, nelle cantine, in coda davanti alle case rifugio, troppo piccole e troppo poche, o in mano a cooperative di banditi, che non mi viene in mente altro, cui lo stato ha affidato compiti gravosi e affatto piacevoli.

Vorrei guardarli in volto uno ad uno, vorrei ascoltare le loro storie, una per una, incontrarli, stringergli la mano, perché sono veri, reali, persone in carne ed ossa, che non possiamo né dimenticare né tanto meno accantonare in un angolo remoto di coscienza.

Il gelo di questi giorni è la metafora più arguta della nostra società: congela i cuori e le menti, le rende insensibili.

Come fa il freddo con le appendici, che poi piano piano ti scava dentro, fino a rosicchiarti l'umanità.

Anche se siamo nelle nostre calde case, non siamo immuni da questa infezione che aggredisce le civiltà moderne e sviluppate, come i paesi occidentali amano definire se stessi.

Queste moderne civiltà sono periferie del benessere per pochi. Le persone stanno in strada dopo aver perso il lavoro e la casa, perché sono sole o perché non hanno più niente da perdere e nessuno da ascoltare.

Dai che fa freddo. Mettete un po' di legna nei vostri camini e cucinate la cena. Se trovate la vecchia valigia di cartone con cui vostra nonna è emigrata al nord o da altrove, bruciate anche quella, che non resti più niente, nessuna traccia, del dolore degli altri, dimenticate tutto.

Comincia così il sonno della coscienza. Che uomini di ghiaccio non si nasce, si diventa.

E noi civili ci stiamo riuscendo benissimo

Non serve essere al confine dei Balcani o ai margini di Piazza San Pietro. Noi viviamo ai confini del cuore e anche lì sembra proprio arrivato il grande freddo. Dobbiamo fare qualcosa per fermarlo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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