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Brasile, Bolivia: un 8 marzo tra golpe e democrazia

Cos'hanno in comune Lula Da Silva, Dilma Rousseff e Evo Morales? Sono tutti e tre vittime di golpe raffinati e istituzionali in Sud Amercia.
Proprio in questi giorni emerge la verità, la totale inessattezza delle accuse che però hanno consentito a "qualcuno" di destituire governi democratici eletti dal popolo.
Perché?
 

E' quello che cercherò di spiegare in questo articolo sul mio blog personale che alle soglie dell'8 marzo dedica una riflessione alla battaglia di tutte le donne del sudamerica e alle altre.
perché arzo sarà il mese della revanche femminista. Mariele, Daniela e tutte le altre. Non vi dimentichiamo

Scrivevo qualche anno fa a proposito del Brasile dopo l'impeachment di Dilma Youssef queste parole, per tentare di trovare una giustificazione politica all'atto di destituzione che furono l'impeachment di Dilma e l'arresto di Lula, vero bersaglio della destra brasiliana.

 

In un anno Temer ha venduto 57 partecipazioni statali in imprese strategiche nel settore dei trasporti, porti e aeroporti, nel settore dell’energia e dell’acqua (privatizzata l’azienda di distribuzione dell’acqua di Rio de Janeiro) e si prepara a cedere il controllo di un’altra impresa strategica nel settore aeronautico, Embraer, terza industria aerea del mondo.

Stessa sorte prevista per la secondo miniera del pianeta, l‘Isntituto de Reaseguros y Vales.

 

Le ragioni sono sempre le stesse, ma gli strumenti, dal 1968 (anno del colpi di Stato in Brasile) a oggi, sono cambiati, in qualche modo si sono raffinati.

Il golpe che probabilmente si sta preparando in Brasile è un golpe per via istituzionale, una raffinatezza propria del nuovo millennio, che serve però alla stessa, vecchia causa: tenere il Brasile, nell'orbita degli Stati Uniti d'America.

Un'orbita stretta e manovrabile a distanza.

Succede quando un paese di quella regione spicca il volo...

E il Brasile di Lula e di Dilma lo ha fatto, istituendo i BRICS e facendo di quella nazione una potenza mondiale che avrebbe trascinato con sé anche le altre.

Bolivia in primis, da dove, guarda caso, di recente Morales è dovuto fuggire, causa anche lì di un simil colpo di stato dopo aver esso in dubbio il risutato delle ultime elezioni, in cui Morales risultava vincitore.

Oggi, dopo le ultime notizie, è chiaro che si trattò di un pretesto.

Come si può tollerare, a due passi dal confine a nord del Messico, che esistano stati che producono ricchiezza e che osano addirittura redistribuirla?

Questo dato sconvolgente, che i cittadini americani neglettano preferendogli invece le trovate istrioniche di Trump, è controvertito da uno dei poteri più discussi e detestati (non a caso) al mondo: il Potere Giudiziario.

Non è un caso che ciò accada anche nel nostro paese, che qualche volta sente il bisogno di rincorrere i falchi d'oltreoceano quanto a sciatteria politica, nel tentativo, per ora vano, di ridurre il potere giudiziario a mero organo politico, limitandone di fatto l'autonomia.

Non mi dilungo sul reale bigno di incrementare l'efficienza e la funzionalità di questo terzo potere, almeno nella definizione di Montesquie nel suo "Lo spirito delle leggi".

Mi soffermo piuttosto su un tratto distintivo delle destre in ogni continente.

Se andate a rileggere i giornali Brasiliani dell'epoca (oppure, leggete il mio articolo che fate prima) una delle prime mosse che Tenar si volle giocare fu proprio quella di nominare i Giudici della Corte Suprema.

Lo stesso fece Trump, potendolo fare, ovviamente.

Ma c'è qualcosa che si sta muovendo in Brasile e la liberazione di Lula, apparso in ottima forma anche in Italia, durante l'incontro con il nostro Segretario Generale, Maurizio Landini, potrebbe essere giunta a fagiuolo, come si suol dire.

Bolsonaro ha di recente sostenuto, via Whatsapp, la piazza dell'estrema destra del 15 marzo, piazza che si è convocata con l'obiettivo di arrivare a chiudere il Parlamento e la Corte Suprema.

Vi dice nulla?

Saranno in piazza anche i militari, al grido "Il Brasile è nostro e non dei nostri politici di sempre".

E poi, lui, l'anti sé, Bolsonaro.

Si è parlato di autogolpe, ma è qualcosa di più.

Da un lato abbiamo la sua totale incapacità di governare e di accattivarsi le simpatie della gente. A fine 2019 infatti i sondaggi dopo il primo anno di governo di Bolsonaro, davano la sua popolarità a solo il 29%.

Dall'altra la sua utilità. Che cosa se ne fanno i poteri forti e i militari di un uomo tanto debole, politicamente?

A che serve avere un "volto umano del potere spreguidicato" se quel volto non lo apprezza nessuno?

 

Solo una provocazione?

 

Eppure lui ci prova, davvero, a soddisfarli.

Il suo governo "Verde oliva" sarà rafforzato da un nuovo membro, il generale Walter Braga, il primo capo di gabinetto dopo il periodo della dittatura a vestire abiti militari.

Il fatto che le favelas siano ormai quasi totalmente militarizzate o che i gruppi paramiltari stiano crescendo a dismisura (cosa vi ricorda?) confermano un quadro allarmante.

Un caso che tutto ciò avvenga quando Lula e Dilma (di cui vi avevo parlato qui) sono finalmente liberi?

L'ex presidente Lula da Silva risponde alla provocazione attaccando l'appoggio di Bolsonaro alla manifestazione della destra dal suo profilo Twitter.

La prossima settimana sarà delicata. Il paese va incontro a una crisi istituzionale senza precedenti, almeno in tempi di supposta democrazia.

La partita è talmente importante che nessuno si è tirato indietro.

Anche il sindacato prende posizione. Le sei centrali sindacali del paese dichiarano:

 

El escándalo generó que las seis principales centrales sindicales sacaran un comunicado conjunto de rechazo:

“Una vez más, el presidente ignora la responsabilidad del cargo que ocupa y actúa, deliberadamente, de mala fe, apostando a un golpe contra a democracia, la libertad, la Constitución, la Nación y las instituciones”

Un 8 marzo tra golpe e democrazia

 

Se il 15 marzo l'estrema destra scenderà in piazza, le forze democratiche tutte (anche quelle che contribuirono a destituire Dilma) non staranno a guardare.

Ma l'8 marzo, el dia de la mujer, è anche il giorno in cui milioni di donne scenderanno in piazza.

E ci staranno fino al 14 marzo, anniversario dell'assassinio, ancora impunito, della femminista Marielle Franco.

Un mese che si tinge dunque di rosa in Sud America come nel resto del mondo.

Un rosa che non può, non deve diventare rosso.

Mariele come Daniela Carrasco, protagonista delle lotte cilene e per me già simbolo della battaglia contro la violenza sulle donne.

E come tutte noi.

 

Quest'anno la lotta dell'8 marzo la dedico alle donne come Marielle e Daniela, che hanno pagato con la vita la loro lotta.

A Dilma e a Milagro Sala, che dopo cinque anni è ancora ingiustamente detenuta in Argentina da un altro governo di cartapesta.

E a tutte le altre.

Quelle che nei prossimi giorni scenderanno in piazza per difendere la democrazia. A quelle che già lo fanno, in tute le parti del mondo.

E a tutte noi, sorelle. Che amiamo la libertà più di ogni altra cosa.

Buon 8 marzo!

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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