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Una Questione Meridionale!

La politica attuale - così come quella passata - ha dimenticato una realtà del Paese. Il Sud è lasciato a se stesso, senza piani di sviluppo, con uno Stato di diritto a macchie di leopardo, in attesa che il federalismo lo affossi e lo distrugga definitivamente.

Mentre i politici della maggioranza e della minoranza discutono su cosa è opportuno fare con questo o quell’emendamento, come se il Paese non avesse problemi veramente più importanti, da semplice cittadino, fra varie cose, non posso fare a meno di pensare ad una parte dell’Italia, ossia al Meridione, che giace in una sorta di immobilismo da sempre o quasi. E già! E la cosa dura da parecchio!

 

Quando Giuseppe Tommasi di Lampedusa scrisse il suo memorabile romanzo, Il Gattopardo, portato sullo schermo da grandi volti del cinema come Bart Lancaster e altri, nessuno forse ha mai seriamente pensato che quello che uno dei personaggi del romanzo pronunciò dapprima nelle pagine del romanzo e poi sugli schermi mondiali era, è e sarà una tremenda verità: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!” Tancredi si riferiva alla necessità di unirsi alle truppe piemontesi per favorire la cacciata dei Borbone e così ingraziarsi le volontà del nuovo monarca: Vittorio Emanuele II di Savoia.

Come la storia ha ampiamente dimostrato, il meridione dell’Italia, dopo l’unificazione, non ha trovato grandi risposte ai suoi interrogativi. 

Da politici “intelligenti”, quali Pasquale Villari, a grandi scrittori come Verga, in molti hanno provato a cercare di porre enfasi sulla risoluzione di problemi che avrebbero visto certamente la nazione italiana primeggiare in vari campi. Invece no! L’immobilismo, il particolarismo, gli interessi di pochi, il menefreghismo e la volontà di evitare grandi responsabilità e di non pestare i calli a qualcuno l’hanno fatta sempre da padrona.

Il Sud, subito dopo l’unità del Paese, trovò rimedio non nella distribuzione delle terre, promessa da Garibaldi, che oltre ad essere un atto rivoluzionario, avrebbe certamente posto fine al latifondismo, facendo altresì nascere al Sud una vera classe media basata sulla proprietà della terra - l’inizio di ogni economia con semplici prerogative di sviluppo - ma nell’emigrazione verso nord, poi in un colonialismo di bassa lega e poi ancora in un’ondata di emigrazione che dagl’inizi del Novecento non si è mai fermata. L’abolizione definitiva del latifondo è avvenuta solo dopo la II guerra mondiale, con la riforma agraria del 1950, ma allora il Sud non aveva più bisogno di terre, ma di industrie, che hanno fatto la fine di Godot

Il breve racconto che vi sto per narrare mostra solo l’evidenza di una questione meridionale, mai risolta, che presto, visti i prodromi, avrà il suo triste epilogo economico e sociale.


Era settembre del 2006 quando Carlo, appena tornato da un suo soggiorno di studio e lavoro nel nord della Germania, era appena rientrato nel suo paesello, ---- , per vedere i suoi genitori, prima di rientrare nella città del Nord dove attualmente risiede e lavora. Il piccolo centro è un paese sul versante medio tirrenico della Calabria, nell’entroterra. È sempre stato un centro agricolo, che ha visto fin dall’Ottocento la sua popolazione diminuire decennio dopo decennio. Né industrie, né sfruttamento intensivo dell’agricoltura si sono mai sviluppate per dare una svolta all’economia di sussistenza di questo antico centro agricolo, né tantomeno l’intraprendenza delle sue amministrazioni comunali hanno promosso il turismo o altri canali economici per la sua crescita. Carlo è nato nel 1976, ha vissuto sempre nel suo paesello fino alla sua partenza, avvenuta nel 1995.

Fin dalla sua adolescenza non aveva potuto non notare quelle estati - anche gli inverni erano abbastanza “vivi” allora - che divenivano sempre più desolanti: se prima le strade già dai primi di giugno erano piene di ragazzi e ragazze di tutte l’età che ne affollavano i muretti, le panchine delle locali ville comunali, le seggiole dei bar con i jukebox che facevano suonare le loro canzoni di tendenza nel mezzo delle serate di fine primavera e prima estate, in seguito, lentamente anno dopo anno, aveva dovuto notare che quel paesello sembrava lentamente spegnersi, la gente era sempre di meno, le estati, benché calde, erano sempre più desolate e per la vita di paese iniziavano ogni anno sempre più tardi. Evidentemente le risorse economiche erano divenute insufficienti per molta gente che aveva cominciato ad emigrare in gran copia, anche se lui pensava all’aspetto romantico della cosa e l’economia non lo interessava ancora. 

Quando se ne era andato, nella metà degli anni novanta, il paesello era dunque ancora vivo, anche se andava lentamente decadendo. Ma ora dopo anni che non andava più d’estate, ma solo per brevi periodi invernali, non aveva avuto tempo per soffermarsi a fare le “analisi” che ora si accingeva a fare. Il lungo viaggio in Germania lo aveva stancato, tanto da mettere a rischio anche la sua salute psico-fisica, ed era perciò rientrato, anche perché a quei climi non era abituato, e da quelle parti a settembre il clima diviene bruscamente più freddo, insopportabile per chi ama i paesi mediterranei, e poi l’Italia gli mancava da morire.

Era già passata una settimana da quando era rientrato dal suo lungo soggiorno, non era uscito quasi per niente ancora, ma ora, in concomitanza dell’inizio delle scuole fece la sua prima comparsata per le strade del paesino. Durante la passeggiata per il corso non aveva potuto fare a meno di pensare a quel corso che ai tempi in cui era ragazzino, era pieno di casalinghe che andavano a fare la spesa, furgoncini di fornitori che scaricavano i loro rifornimenti per i negozi del corso. Ed ora niente! Non c’erano più i negozi di un tempo, a pensarci bene non c’era neanche un quinto della gente di allora. Più tardi si era soffermato a guardare bene l’abbigliamento della gente che, vista l’ora, iniziava a rientrare a casa per il pranzo, erano solo impiegati che lavorano nelle amministrazioni pubbliche della zona, negli ospedali, al comune, alle poste e insegnanti. Dovette aspettare la sera per vedere qualche altro appartenente ad altre categorie di lavoratori, ma con suo grande stupore notò che molti di loro non li conosceva affatto, anche perché erano extracomunitari, arrivati da qualche anno, spesso con le loro famiglie, che svolgevano lavori umili, magari sottopagati, come manovali o manodopera nelle varie aziende agricole della zona, lavori che da quelle parti nessuno avrebbe mai fatto fra quelli che se ne erano andati. Ricordava bene anche quelle cricche di ragazzetti e ragazzette pseudo-dandy che non cagavano nessuno, quasi fossero gli aristocratici del luogo; ecco! Quelli aspiravano e diventare chissà chi! Chissà che fine hanno fatto, pensava Carlo tra sé! Il giorno dopo fece un’altra passeggiata, e si trovò proprio davanti alle scuole medie. Subito la mente gli si affollò di splendidi ricordi. Rammentò come le mattine prima che suonasse la campanella, specialmente in primavera, ci si metteva a passeggiare attorno alla scuola a folti gruppi e a scherzare o a prendere in giro il malcapitato di turno, oppure a raccontare quello che la sera prima ognuno aveva visto in televisione o le gesta calcistiche personali della partita del giorno prima. Tutto sembrò spegnersi quando Carlo guardò la facciata della scuola. All’epoca, quando in quella scuola ci andava lui, le finestre di tutti e tre i piani erano con le serrande bianche alzate, con testoline che brulicavano da tutte le parti, ora invece il piano terra aveva le serrande chiuse, così come il secondo, solo il primo piano aveva le serrande alzate, con sparute testoline che ogni tanto si facevano notare. Carlo chiese a qualche signora che passava come mai ci fossero pochi ragazzi a scuola e perché la maggior parte delle serrande fossero chiuse. La gentile signora gli rispose che erano anni ormai che i ragazzi del paese non arrivavano a formare il numero di una sola sezione delle tre classi delle medie - alle elementari la situazione era ancora peggiore - e che quell’anno si erano dovuti aggregare i ragazzi di altri paesi dove il servizio scolastico era già stato soppresso per insufficienza numerica.

Il viso di Carlo si fece scuro e triste. Per tutto il resto del giorno continuò a pensare a come quel paesello, solo undici anni prima era ancora vivo e vegeto e che ora invece era diventato uno spettacolo di desolazione, immobilismo, con scuole e asili semideserti, ad economia di sopravvivenza legata solamente a posti di lavoro statale, comunale o regionale, per il resto extra comunitari che lavoravano a mo’ di nuovi servi della gleba nelle poche aziende della zona. Tutti erano andati via, erano rimasti, i “burocrati”, qualche libero professionista, e per il resto economia di sopravvivenza e sussistenza per quelli che si accontentavano di farsi sfruttare, anche perché non potevano aspirare a qualcosa di meglio, vista la loro condizione.

Carlo non ha mai politicamente amato quelli che votano l’attuale destra al potere, così come quelli che per anni prima di lui hanno votato la DC, che al suo paese aveva sempre fatto il pieno di voti. Ma certamente la sua laurea in scienze politiche e i vari viaggi, con i vari interessi che ha sempre coltivato hanno permesso a lui di avere un quadro completo della situazione della sua regione che è anche quella del Sud in buona parte.

Della condizione del Sud, e in particolare per le singole realtà, non può essere ritenuto responsabile solo il governo degli ultimi sedici anni. Sono corresponsabili di questa desolazione che colpisce il Meridione, da un lato, soprattutto la mancanza di lungimiranza delle amministrazioni locali, che prima avevano fondi pubblici a iosa da sperperare e da sfruttare nel modo migliore per le proprie tasche, dall’altro, la mentalità dei meridionali, per un verso poco inclini a mettersi in discussione e a cercare il bene comune, per un altro sempre in attesa di sovvenzioni e di assistenza. Molte persone che sono andate via hanno capito che se nella vita ci si sporca le mani si può cambiare la propria situazione socio-economica. Sono andate via per quello e lo hanno potuto fare altrove, lì dove avevano vissuto non era possibile. Qui entra in ballo la politica nazionale. Dal 1994 quando alcuni personaggi sono entrati in politica, nessuna politica di rilancio dell’industria al Sud, nessuna reale effettiva legge che spingesse le amministrazioni locali a creare e promuovere l’agricoltura su larga scala, oppure a gestire risorse legate all’eco energie, oppure promozione efficiente del turismo marittimo e montano. Niente di niente.

Fino a qualche settimana fa, abbiamo assistito a conferenze del nostro premier, e dovunque è andato, alla Confindustria, alla Confcommercio, alla Confartigianato, alla Coldiretti, ha sempre parlato di decreti e decretelli per salvare lui e la sua casta, di modificare la Costituzione, criticandola sempre – peccato che si è dimenticato di dire che ci ha giurato sopra! Avesse parlato di un problema del Sud: delle mafie che la fanno da padrone, dello Stato di diritto che è una chimera, del sottosviluppo, dello spopolamento del Meridione che vede l’arrivo di manodopera extracomunitaria a basso costo che fa regredire socialmente tutta una parte dell’Italia. Apertis verbis, l’Italia meridionale oltre ad avere i problemi sopra elencati, ha visto in questi ultimi venti anni la sua popolazione giovanile pesantemente diminuire, con l’aggravante che è quella con il know-how, ossia, se una volta emigravano buona parte dei braccianti e degli operai, ora emigrano i laureati, i primi sono stati sostituiti dai “nuovi servi della gleba” ossia cittadini extracomunitari - che io non disprezzo affatto - i secondi, che una volta tornavano al paese per esercitare quello per cui avevano studiato, ora emigrano, ergo, il Sud ha perso la sua parte migliore. Questi nuovi emigrati si contano a migliaia in tutti i paesi del Meridione come nel paesello del povero Carlo.

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