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Un nuovo approccio per la cura dell’obesità e del BED

Gli obiettivi dell'educazione terapeutica sono quelli di migliorare lo stato di salute dei pazienti e soprattutto di favorire la loro autonomia di scelta e il loro senso di responsabilità

La medicina occidentale ha focalizzato la sua attenzione sulla malattia e sugli organi, escludendo così il malato da ogni decisione e dai processi di cura. La persona affetta da una malattia cronica non si sente sana, ma nemmeno malata in quanto la patologia è spesso silente. Questo è ancor più vero nei pazienti obesi e in molti disturbi del comportamento alimentare. La ricerca, da parte del paziente, di un taumaturgo, in grado di risolvere miracolosamente il problema, trova spesso terreno fertile nel narcisismo salvifico di molti medici. La deresponsabilizzazione ricercata e trovata diventa, però, per il paziente, un boomerang nel momento in cui si trova a dover subire mille imposizioni e divieti.

Oggigiorno raccomandiamo ai nostri pazienti di seguire un corretto stile di vita, attraverso brochure informative, consigli e pubblicità progresso, ma non sempre ciò è sufficiente per modificare i comportamenti disfunzionali delle persone.


L’educazione terapeutica si pone l’obiettivo di restituire al paziente un ruolo attivo per quanto riguarda la cura e lo stile di vita. Il medico, per avvicinarsi a questo approccio umanistico, che vuole mettere al primo posto la persona e non la malattia, deve imparare a spogliarsi del suo eccessivo tecnicismo e aiutare il paziente a ritrovare il suo percorso di vita. Gli obiettivi dell'educazione terapeutica sono quelli di migliorare lo stato di salute dei pazienti e, soprattutto, di favorire la loro autonomia di scelta e il loro senso di responsabilità.

Per modificare comportamenti disfunzionali non è sufficiente fornire nuove informazioni, ma è necessario conoscere le cosiddette teorie ingenue dei pazienti, le soluzioni tentate, ciò che rende difficile un cambiamento, altrimenti si corre il rischio di andare incontro a quello che Watzlawick ha definito le semplificazioni terribili, tipo “è sufficiente che...”. È importante quindi saper ascoltare i pazienti, senza giudicare, senza dare un'immediata soluzione, ma permettendo loro di descrivere le proprie sensazioni. Il conduttore di un gruppo di educazione terapeutica non deve assumere il ruolo dello specialista saccente che impartisce una lezione ai suoi discepoli, ma ricordarsi che i partecipanti hanno delle proprie conoscenze, idee, vissuti.

Dovrà quindi aiutare i pazienti a riflettere sulle loro precedenti esperienze, sugli sforzi effettuati per controllare il cibo e sui risultati di questi sforzi, comprendere le loro preoccupazioni, i loro stati d’animo, ciò che vogliono e cosa fanno per ottenerlo.
I pazienti con problemi alimentari hanno dei pensieri su se stessi molto negativi e critici, con idee errate e non realistiche legate al peso, al cibo e alla dieta. È importante aiutarli a comprendere, chiaramente, le emozioni che provano rispetto alle esperienze vissute e i pensieri che hanno in rapporto ad eventi della propria vita. Prestare attenzione è il primo passo per vivere consapevolmente le proprie sensazioni interne.

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