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Un macigno sulla democrazia, dice Silvio B. Che parlasse di Mediaset?

Non c’è bisogno di citare Jefferson per affermare che senza un sistema informativo pluralista la democrazia è ridotta ad una parodia di se stessa. Il sistema informativo del nostro paese, e lo stato in cui è ridotta la nostra democrazia, sono sotto gli occhi di tutti.

I cittadini - continuo ad odiare la parola popolo quando si parla di politica - come possono, infatti, esprimere la propria informata opinione con il voto, se non possono avere accesso ad una pluralità di libere fonti d’informazione? In democrazia, specie in un sistema bipolare, il confronto viene spesso deciso da pochi punti percentuali.

Negli Stati Uniti, paese dove pure si legge più che in Italia, si è ritenuto che la catena Fox abbia avuto un’importanza decisiva nell’assicurare la prima elezione di Bush jr.

Come negare che il monopolio Mediaset, in Italia, distorca completamente la democrazia?

Eleggere direttamente i giudici, propone qualche candido seguace del Presidente del Consiglio, per restituire il controllo del potere giudiziario al popolo. E, di grazia, in che modo verrebbero informati, i cittadini, sui pregi e difetti di questo o quel candidato? E soprattutto, da chi?

Le nuove tecnologie renderanno superato, tra breve, il problema del numero di canali disponibili, per cui smembrare il monopolio Mediaset diventerà meno importante, resta fondamentale l’introduzione di una legge antitrust sulla raccolta pubblicitaria che renda, di fatto, impossibile il mantenimento di un simile mostro.

Non è solo con i programmi di approfondimento o i telegiornali che viene fatta propaganda politica; a creare un clima nel paese, a diffondere valori e disvalori, contribuiscono tutte le trasmissioni televisive, specie in un paese come il nostro dove si legge pochissimo e la televisione è, per la stragrande maggioranza della popolazione, l’unica fonte, oltre che d’informazioni, d’intrattenimento.

L’Italia che ho sotto gli occhi ogni volta che rientro in Patria mi pare la più volgare e abbietta di sempre, solo superata da quella che trovo poi, uno o due anni dopo, quando vi ritorno.

Una processo di degenerazione che non coinvolge solo la politica, ma anche il linguaggio, i comportamenti, i sogni e le aspirazioni dei miei connazionali. Il loro stesso modo di essere, coltre che di comunicare.

Esagero nel dare alla televisione, ed in particolare a quella commerciale, la colpa di questo stato di cose?

Assolutamente no. La televisione ha dato, per la prima volta nella sua storia dai tempi di Roma, una lingua nazionale al nostro paese; addirittura, per chi come me ha un buon orecchio per le lingue, ha omogeneizzato la pronuncia dell’italiano da nord a sud: gli accenti regionali sono, oggi, infinitamente meno spiccati che venti o trenta anni fa.

Di più ancora, Silvio Berlusconi ha costruito il proprio impero economico proprio vendendo pubblicità televisiva: vendendo cioè la capacità delle proprie reti televisive di cambiare i comportamenti d’acquisto degli italiani. E’ addirittura ridicolo che siano ora proprio lui ed i suoi seguaci a dirci che”le televisioni” non contano.

Le televisioni contano eccome; rappresentano, per tantissimi, tutto quello che del mondo si conosce a parte la strada da e per l’ufficio, il supermercato il sabato mattina,e un pezzo di spiaggia ad agosto. Per i giovani solo la fonte dei modelli comportamentali che non trovano in famiglie dove i genitori, stremati dalle settimane lavorative più lunghe del mondo sviluppato, hanno poca voglia e ancor meno tempo di occuparsi della loro educazione.

Mettere il monopolio Mediaset in condizioni di non nuocere, farne solo una dei tanti bouquet di canali a disposizione degli italiani, è fondamentale per la nostra democrazia a prescindere da chi ne sia il proprietario; sarebbe altrettanto pericoloso anche se il suo proprietario fosse la famiglia Agnelli, De Benedetti o il Mago Zurlì.

Come farlo, con quali leggi, non lo so esattamente, ma farlo dovrebbe essere il primo punto – o il secondo, dopo la riforma della legge elettorale – del programma di qualunque opposizione.

Citando Mill, che del liberalismo è uno degli apostoli: “La società ha pieno titolo di abrogare o alterare qualsiasi particolare diritto di proprietà che in base ad adeguata riflessione reputi ostare al bene pubblico”.

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