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Un golpe coloniale per l’emirato

Rās al-Khaymah (RAK) è l’emirato più a Nord degli Emirati Arabi Uniti e come tutte le monarchie ha qualche problema di succesione. Uno dei pretendenti ha pensato bene di approfittare della situazione internazionale e, al fine di mostrarsi utile all’Occidente in chiave anti-iraniana, ha avviato colloqui non troppo segreti con Israele e ingaggiato professionisti occidentali per promuovere la sua immagine.

 

Ma, riferisce il Guardian, la mossa è abbastanza azzardata per un principe arabo, non fosse che il soggetto in questione sta lontano dal regno da anni, inviso alla famiglia e allo stesso re, suo padre. Lo sceicco Khalid ha pensato quindi di agire dall’esterno e di guadagnare il favore dei più armati tutori occidentali prima ancora di quello dei suoi potenziali sudditi, che in una monarchia assoluta di solito contano molto poco e che pure sembrano condividere l’opinione della famiglia reale, secondo la quale Khalid non sarebbe adatto a un compito tanto delicato.

Nella partita entrano però anche gli altri sceicchi degli emirati e in particolare quello di Abu Dhabi, che oltre ad essere l’emirato più ricco è anche il più influente, per niente disposti a sottoscrivere le accuse di conivenza con gli iraniani di Khalid al padre morente, lo sceicco Saqr, al governo da più di sessant’anni e al fratello Saud, reggente e in prima fila per la successione.

La speranza di Khalid e che l’ossessione anti-iraniana a Washington e Tel Aviv gli procuri il supporto sufficiente ad ascendere al trono attraverso un golpe incruento del tutto eterodiretto, una maniera nuova (non del tutto) ed originale per arrivare al potere spendendo milioni di dollari in pubbliche relazioni all’estero, invece di investire risorse per guadagnare un (forse) inutile e impossibile supporto in patria tra i potenziali sudditi, molto meno preoccupati dell’Iran di quanto non siano a Washington. RAK dista infatti appena quaranta miglia dalle coste iraniane e ha un elevato valore strategico, stando sulla penisola che stringe l’imboccatura del Golfo Persico, da dove è facile controllare il prezioso traffico commerciale e petrolifero da e per la penisola arabica.

Al di là delle possibilità di successo del tentativo, l’iniziativa mette a nudo l’essenza intimamente coloniale del rapporto tra Occidente e monarchie dell’area, illuminando come queste siano ancora dipendenti da un vero e proprio legame coloniale con le potenze che permettono loro di rimanere al potere mantenendo monarchie assolute, che ovunque nel resto del mondo sarebbero considerate un ostacolo alla diffusione della democrazia e dei diritti umani e civili per i cittadini di quei paesi. Non per niente quando si trattò di "portare la democrazia" in medioriente nessuno di questi paesi fu messo all’indice e nessuno di questi paesi ha registrato alcuna riforma in senso democratico dal 2001, nonostante i roboanti proclami dell’amministrazione USA in questo senso, che parlava di effetto-domino nell’area dopo la cacciata di Saddam.

L’unico effetto-domino che si è registrato è stata la corsa a dirsi amici degli Stati Uniti e a siglare accordi con Washington, dopo di che l’argomento democrazia è stato aaccantonato in fretta e in silenzio.

I legami coloniali si sono così andati rafforzando e le monarchie dell’area sono sempre più dipendenti e legate a doppio filo all’Occidente e agli USA in particolare, legami senza i quali i reali sarebbero inermi di fronte a qualsiasi stravolgimento interno o esterno nell’area. Non per niente lo sceicco di Dubai ha concesso alla Francia una base permanente sul suo territorio (la prima base Francese all’estero al di fuori dell’Africa, a proposito di rapporti di nautra coloniale) e si è affidato ai francesi per la costruzione di una centrale nucleare, un modesto tentativo di diversificare la sua dipendenza dall’Occidente e aumentare il numero di "tutori" coloniali nella speranza di guadagnare maggiore libertà d’azione, ma anche un prudente rafforzamento militare a difesa del suo potere all’indomani del crack che ha travolto il suo emirato e lo ha mostrato ai sudditi nelle vesti di un volgare speculatore, per di più fallito.

Un genere di calcoli che la storia ha già dimostrato fallimentare per i paesi sottomessi, quanto efficace nel mantenerli al giogo delle potenze, ma il mantenimento di anacronismi come le monarchie assolute dell’area val bene qualche tentativo spericolato, in nome di quel guadagno reciproco che lega la permanenza delle dinastie locali al potere agli enormi vantaggi (economici, strategici e logistici) concessi alle potenze occidentali e alle loro corporation.

 

 

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