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Un’Italia divisa

La crescita del senso di nazione

In un giorno come il 17 marzo verrebbe da considerare la giovane Italia (ha solo 150 anni) come entità statuale unitaria, poi ci si guarda intorno e si nota di essere nel museo più grande del mondo, un museo che si permette il lusso di far cadere pezzi di storia millenaria (Pompei). Un treno che attraversa lo stivale vede salire e scendere uomini e donne con una storia di sintesi culturale ed etnica lunga quasi tremila anni, una storia di accoglienza e respingimento, di invasioni ed annessioni, di scelte convinte e compulsate. La lingua che ci è stata data è bella, di una sonorità unica al mondo, ma ancora non è del tutto nostra. Vicino ad essa convivono in lieto binomio i dialetti e gli accenti che a distanza di 50 chilometri appaiono già modificati l’uno dall’altro.

Questo ci ricorda che gli staterelli italiani del settecento e dell’ottocento così come il monolitico regno borbonico del sud erano fatti di cento campanili, di mille storie di sviluppo antropico. Questa è l’Italia, quella che la mattina muove il paese e quella che va a dormire alla medesima ora perché ha assaporato la notte, i due popoli, del giorno e della notte si incontrano nei bar con i deliziosi cornetti o il cappuccio caldo, ci ricordano che ci piace essere uniti più che divisi.

Abbiamo spesso gioito per i nostri eroi nazionali, i re della pedata che dal calcio fiorentino del trecento ci mostrano la connaturata voglia degli italiani di essere al mondo, di essere parte del processo vitale che con la sua ciclicità rinnova anche le generazioni. Anche domenica, entrando in una delle nostre magnifiche chiese cattoliche, ci ricorderemo chi siamo nella nostra intima essenza, da dove provengono i nostri comportamenti che a volte riteniamo frutto di un’elaborazione illuminista, dimenticandoci che sono la base dell’universale messaggio cristiano con il suo soffio di eterno, il soffio che ci porta a guardare a Roma come sempiterna capitale delle genti italiche nel credo unico ed ampiamente maggioritario che va da Trento con il suo Concilio alla Sicilia con il suo splendido sincretismo di normanni ed arabi, di francesi e catalani in architetture di ardita unitarietà.

Mi viene anche di omaggiare il genio italico dai ponti sul Reno di romana memoria (Giulio Cesare) fino alle opere (di questa esasperata modernità) che sfidano la natura esportando il Made in Italy nella sua accezione più elevata. Il gusto poi (moda e cibo) ci rende maestri in compagnia dei cugini d’oltralpe, a cui dobbiamo il tanto che tanto loro hanno ricevuto dalla lectio romana di un impero che ebbe la capacità di unire razze, lingue e culture profondamente diverse, passando dai climi rigidi della Britannia ai venti desertici del Maghreb.

Il cuore di tutto siamo noi, orgogliosi di essere italiani con i nostri tratti distintivi che sono contradditori in sé, un po’ come lo è stato il nostro Risorgimento, quello a cui dobbiamo guardare con i nuovi italiani e gli antichi capisaldi che hanno tenuto insieme la ricchezza delle nostre fragili sinfonie. A proposito di musica classica riappropriamoci del Va’ Pensiero abbinandolo ad un magnifico O’ Sole Mio, che non sarà classico come tecnicità musicale, ma lo è diventato come simbolo dell’armonia italiana del bel canto alla stregua del David o della Cappella Sistina, passando per Raffaello, Tiziano, Caravaggio e Leonardo, che ci scuserà se lo abbiamo abbinato a geni delle arti decorative, lui che riassume in sé le scienze come curiosità di Ulisse verso l’incognito nella sua interezza. Per quello che resta ad ognuno il suo e Viva l’Italia!

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