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Tutto tutto niente niente. Questa volta Albanese non convince

Regia: Giulio Manfredonia. Soggetto e Sceneggiatura: Antonio Albanese, Piero Guerrera. Produttore: Domenico Procacci per Fandango, con la collaborazione di Rai Cinema. Distribuzione: 01 Distribution. Interpreti: Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Luigi Maria Burruano, Massimo Cagnina, Lunetta Savino, Maximilian Dirr, Lorenza Indovina, Alfonso Postiglione, Federico Torre, Paolo Villaggio, Nicola Rignanese, Clizia Fornasier, Vito, Davide Giordano.

Antonio Albanese insiste con la farsa, si fa dirigere da Giulio Manfredonia, nipote di Luigi Comencini, come aveva già fatto in Qualunquemente (20011) e annega in un mare di banalità portando all’eccesso il già trito copione del primo film. Questa volta non si limita al mondo di Cetto La Qualunque, personaggio perfetto per una gag televisiva ma non adatto a sostenere un film, ma inserisce un vecchio personaggio come Frengo Stoppato (“Ti sei fumato l’impossibile?”) e una nuova macchietta di razzista secessionista (Rodolfo Favaretto).

Raccontare la trama è una perdita di tempo, perché la pellicola è così insulsa a livello di soggetto e sceneggiatura da far rimpiangere i peggiori film interpretati da Franchi e Ingrassia, persino gli ultimi girati da Osvaldo Civirani. Incredibile come abbia toccato il fondo il cinema di genere italiano, se deve raschiare il barile delle macchiette televisive per portare al cinema un pubblico non più abituato a frequentare le sale.

Antonio Albanese ha fatto cose interessanti come Un’anima divisa in due (1993) di Silvio Soldini, Uomo d’acqua dolce (1996, prima prova da regista), Giorni e nuvole (1997), ancora di Soldini, La fame e la sete (1997, ancora regista di se stesso) La seconda notte di nozze (2005) di Pupi Avati, per finire con il delicato e struggente Questione di cuore (2009) di Francesca Archibugi. Non possiamo accontentarci delle macchiette in salsa televisiva trasferite su grande schermo, che - tra l’altro - non fanno ridere, annoiano, sono prevedibili e lasciano l’amaro in bocca. 

Tutto tutto niente niente è un film privo di regia, dove una stanca macchina da presa segue le evoluzioni di tre personaggi eccessivi che ne combinano di tutti i colori dopo essere stati eletti in parlamento e aver ottenuto la libertà condizionata per meriti politici. Tra i tanti interpreti inutili segnaliamo un irritante Vito che non parla mai e si limita a fare il mimo e un inutile Paolo Villaggio, uomo di governo silenzioso e abbondante che forse con il suo mutismo esprime il disaccordo per essere stato chiamato a interpretare una pellicola così modesta. Antonio Albanese può fare di meglio. Giulio Manfredonia non lo sappiamo. Non sono queste le pellicole per apprezzare il talento di un regista.

di Giulio Manfredonia

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