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Tre segnali positivi per il futuro dell’Ucraina

Alcuni recenti aggiornamenti sul fronte orientale sembrano far sperare che in futuro le tensioni tra Russia e Ucraina possano, se non risolversi, almeno allentarsi. I tre elementi chiave da considerare sono:

  • L'accordo sul gas tra Russia e Ucraina con la UE a fare da garante
  • Le elezioni parlamentari in Ucraina
  • I dati economici russi colpiti dalle sanzioni occidentali

Andiamo con ordine.

1) Il 7 novembre Alexander Novak, il ministro dell'energia russo e Yuri Prodan, la sua controparte Ucraina, hanno siglato un accordo, frutto di mesi di negoziati condotti grazie alla mediazione dell'Unione Europea (qui il video della firma). L'Ucraina ha accettato di pagare 3.1 miliardi di dollari di debiti pregressi alla Russia in due tranche entro la fine dell'anno, coperte grazie a un fondo del Fmi. L'accordo assicura inoltre la fornitura di circa 4 miliardi di metri cubi di gas fino a marzo 2015, che l'Ucraina pagherà con 1.5 miliardi di dollari ricavati dai finanziamenti già previsti dai programmi di assistenza finanziaria Fmi-UE. Il Presidente della Commissione Europea Barroso, presente ieri al momento della firma, ha così commentato su Twitter:

No better way to end my mandate as President of @EU_Commission. #Gasdeal #Ukraine #Russia #EU — José Manuel Barroso (@BarrosoEU) 30 Ottobre 2014

2) Le elezioni parlamentari ucraine si sono svolte il 26 ottobre e dai risultati preliminari emerge un significativo successo del fronte pro-Europa. Il partito del Presidente dell'Ucraina Petro Oleksijovyč Porošenko è stato battuto, seppur marginalmente, dal Fronte Popolare (Narodniy Front) di Arseniy Petrovych Yatsenyuk, l'attuale Primo Ministro (22.17% contro 21,82%). Secondo quanto riporta l'Economist, Porošenko sperava di ottenere la maggioranza per poter nominare Primo Ministro un suo fedelissimo. Sebbene Yatsenyuk e Porošenko siano entrambi europeisti, il primo non aveva risparmiato le critiche alla decisione di firmare il cessate il fuoco con la Russia lo scorso 5 settembre. Questi risultati, comunque sia, non cancellano le profonde divisioni del Paese. È incoraggiante tuttavia rilevare che le ali estremiste, i nazionalisti di Svoboda e il partito comunista (KPU), non hanno superato la soglia di sbarramento, crollando rispettivamente dal 10,45 al 4,71% e dal 13,2% al 3,86%. Un dato interessante arriva però dai populisti del partito radicale di Oleh Lyashko, che dal singolo seggio guadagnato nel 2012, ne ha ora ottenuti ben 22. Il partito persegue un'idea di europeismo certamente meno moderata di quella di Porošenko e Yatsenyuk, come dimostra questo video circolato su YouTube dove si vede Lyashko interrogare il Ministro della Difesa dell'indipendentista Repubblica popolare di Doneck Igor Kakidzyanov, ammanettato e in mutande.

3) Le sanzioni occidentali alla Russia iniziano a dare i loro risultati. I dati economici che lo dimostrano possono avere significative conseguenze per il futuro. Innanzitutto c'è l'inflazione, che ha raggiunto il picco più alto degli ultimi tre anni: 8%. Da luglio, inoltre, i prezzi del petrolio sono sensibilmente calati per una serie di fattori: la minaccia dell'Isis in Medio Oriente, la crescita del dollaro che rende più costoso l'acquisto della commodity e un aumento dell'offerta garantito dall'incremento della produzione di greggio da parte degli USA. Prezzi più bassi significano meno guadagni per il rentier state Russia. 

Oil prices YTD

Rosneft, la principale compagnia petrolifera russa, ha dichiarato un utile netto di 110 milioni di dollari nell'ultimo trimestre, un declino superiore all'86% rispetto agli 808 milioni dello stesso periodo del 2013. A questo vanno aggiunte la svalutazione del debito russo di Moody's e la massiccia fuga di capitali dal Paese (circa 220 miliardi di dollari dall'inizio della crisi ucraina). Per rispondere a queste dinamiche negative, la Russia ha puntato prudentemente su un rublo debole, che non è però sufficiente a far fronte ai crescenti problemi. Questi tre fattori suggeriscono che la tensione ha raggiunto un livello troppo elevato perché si possa preservare ancora a lungo lo status quo. La natura rentier della Russia (e di conseguenza il sistema di potere di Putin) si basa sulle entrare economiche derivate dalla vendita delle commodity. Se questa struttura inizia a subire colpi significativi forse per la Russia arriverà il momento di scendere a compromessi. L'Ucraina, che è nell'occhio del ciclone, sta soffrendo questa guerra, che è sia geopolitica che economico-energetica. Il Paese resta profondamente diviso tra filo-russi ed europeisti e qui non si intende certo fare previsioni su cosa accadrà in futuro, ma la speranza è che l'Ucraina possa prendere una strada che la porti verso l'Unione Europea e alla pace interna.

 

Foto: MacIvan/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Anna maria Mazzu’ (---.---.---.54) 12 novembre 2014 12:14
    Anna M. M.

    A differenza delle regioni orientali, la Crimea ha un indubbio valore strategico militare cui il Cremlino non può rinunciare. Questo è un dato di fatto e l’Ue doveva avvertirne i segnali dall’aprile 2010, quando è stato rinnovato il contratto d’affitto per la base navale militare russa di Sebastopoli. Si puo’ ancora sperare nel mantenimento delle regioni orientali ma la Crimea è persa.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.102) 12 novembre 2014 18:38

    Poiché in politica internazionale le questioni ideali o etiche generalmente suni usate come becchime per i polli da spargere tramite i mass media, sarebbe anche interessante fare qualche riflessione sul bilancio costi/benefici per l’Europa dell’avventura iniziata con il colpo di stato a Kiev.

    Al presente la UE si trova a dover contribuire al pagamento delle bollette del gas consumato in Ucraina negli anni passati per poter garantire almeno le forniture invernali. Nessuno avrebbe voluto lasciare al freddo milioni di persone, ma è comunque un costo per la UE.
    Quanto alle prospettive economiche future dell’Ucraina non credo ci sia nessuno che le valuti positivamente. Non lo erano già prima che scoppiasse la guerra civile, a Paese ancora integro, figuriamoci ora. Dunque è facile prevedere che l’Ucraina avrà bisogno di ulteriori e sostanziosi aiuti da parte della UE nel prossimo futuro.

    Le elezioni politiche hanno sancito la vittoria delle formazioni favorevoli all’integrazione con la UE, e la cosa non stupisce dal momento che le regioni dell’est, tipicamente pro russe, sono state escluse dalla consultazione. Dunque la situazione attualmente è questa: la UE vuole fortemente l’Ucraina; l’Ucraina vuole fortemente la UE. Ergo, la UE dovrà pagare i conti dell’Ucraina.

    Tra sanzioni, contro sanzioni, crisi indotte dalle sanzioni, l’interscambio Russia-UE è diminuito e, poiché non si vede una soluzione a breve termine dello scontro militare tra Kiev e indipendentisti, è probabilmente destinato ad aggravarsi.
    Per la UE già in difficoltà questo è un costo ulteriore da mettere tra le passività derivanti dalla crisi ucraina.

    Dopo il golpe di Kiev si è tornati a risentire echi di guerra in Europa. Si fanno esercitazioni, ci si chiama a raccolta ognuno nel suo campo, si ragiona sull’incremento delle spese militari. Qualcuno parla del ritorno alla guerra fredda e qualcun altro buttà lì come possibilità che Europa e Russia possano un giorno confrontarsi armi in pugno. Questa non è solo una passività economico finanziaria, è peggio.

    Allargare ulteriormente la UE, mantenendo inalterate le attuali strutture comunitarie, comporta l’evidente ulteriore scadimento della capacità di governo delle medesime.

    Allo stato attuale l’associazione di nuovi paesi membri equivale ad indebolire l’Unione, non a rafforzarla. Il percorso per una eventuale rifondazione dell’Unione Europea in senso federalista è già oggi assai difficile per la ovvia difficoltà ad ottenere l’unanimità di 28 paesi diversi su materie delicate come la cessione di sovranità nazionale in materia di politica estera e difesa. Maggiore è il numero dei paesi membri maggiore diventa la difficoltà di perseguire questo scopo.

    Dopo avere elencato le passività ho riflettuto a lungo su cosa mettere alle poste attive. Ne ho trovata una sola: manodopera a basso costo da immettere nel mercato del lavoro comunitario, ma non so se questa sia effettivamente una posta attiva.

    In conclusione, il fortissimo interesse manifestato dall’Unione Europea nei riguardi dell’Ucraina ha un costo non lieve per i cittadini europei e per il futuro della stessa Unione.
    In realtà è improprio intestare questo interesse all’intera Unione: ai cittadini europei, ad esempio, dell’Ucraina credo interessi assai poco, ma nessuno ha chiesto il loro parere. Un certo numero di decisori piazzati ai vertici dell’Unione ha deciso anche per loro e a prescindere dal loro parere che l’Ucraina valga qualsiasi sacrificio.

    Ecco, questa la si potrebbe definire una posta attiva: aver reso platealmente evidente ai cittadini europei che le istituzioni comunitarie se ne impippano del loro parere ma tengono invece in grandissimo conto l’opinione del dipartimento di stato USA, quello che ha organizzato il golpe di Kiev.

    E’ una scoperta utile perché aiuta i cittadini europei a prendere una decisione: buttare a mare questa UE o provare a cambiarla?

    Il nuovo presidente della commissione, Juncker, sembra essere consapevole di questa situazione. Tanto che una delle sue prime dichiarazioni è stata che nei prossimi cinque anni non vi saranno ulteriori allargamenti della UE.
    La risposta non si è fatta attendere: una campagna stampa contro di lui basata sul fatto arcinoto che Juncker è stato capo del governo del Lussemburgo e che il Lussemburgo ha una disciplina fiscale opaca e favorevole all’elusione fiscale delle grandi aziende. Su una non-notizia insomma.

    Sulle prime pagine dei giornali (fatto più unico che raro) è comparsa la notizia "cane morde uomo", il che testimonia che chi l’ha lanciata ha il potere di mandare sulle prime pagine qualsiasi notizia, o non-notizia.

    La partita è appena iniziata, e di certo trascende di molto l’Ucraina: riguarda piuttosto il futuro dell’Unione Europea come entità sovrana e indipendente.

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