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The Wrestler: Storia di una lotta

Darren Aronofsky è un regista relativamente giovane. Il suo primo capolavoro fu Pi (Greco, il teorema del delirio) totalemente in bianco e nero con una trama delirante sull’uso della matematica come metodo di interpretazione del mondo. Il secondo fu l’osannato Requiem for A Dream supportato anche dal sodalizio artistico con Clint Mansell, compositore di immenso talento che lo accompagnerà in tutta la sua carriera futura. Le visioni successive espresse in The Fountain fecero urlare allo scandalo, un fiume di critiche sommerse il regista che forse peccò di eccessivo lavoro mentale sulla sceneggiatura.

In The Wrestler l’impronta di Aronofsky si fa un po’ meno imponente lasciando spazio alle performance degli attori e alla trama per la prima volta, di una semplicità disarmante.
 

Mickey Rourke interpreta Randy "The Ram" Robinson, wrestler famosissimo negli anni ottanta che sbarca il lunario partecipando a lotte concordate nel circuito indipendente. Pochi spettatori, paga da fame, gloria infinita. Memore del suo successo e costantemente supportato da fan entusiasti, Randy continua a sfoggiare prese, salti dalle corde e scenografie spettacolari, tutto per sentire ancora il gusto di una fama che non smette di sfamarlo. Gli sprazzi di vita privata che lo circondano hanno tutto lo squallore dei sobborghi americani: la figlia Stephanie (Evan Rachel Wood) sempre ignorata, la vita in una roulotte precaria che a stento riesce a pagare, la spogliarellista- confidente Cassidy (Marisa Tomei) anche lei vittima dell’invecchiamento e del passare degli anni, costretta a sprofondare ogni notte nello stesso mondo per sfamare il figlio.
 
Inesorabili e inevitabili, il tempo e la vita si abbattono sul protagonista che dopo un grave problema di salute è costretto a lasciare il ring e il suo pubblico smozzicato per ritrovarsi dietro un banco di un supermercato con tanto di retina in testa, esposto al giudizio delle masse paganti, questa volta senza maschere o pantaloni in spandex. Il tutto viene affrontato con una dolcezza infinita e senza ascoltare l’orgoglio, con la volontà di ritrovare il rapporto con la figlia che lo detesta, complice in quella solitudine di cui il padre è sempre stato schiavo. Si imporrà presto la scelta ardua fra un’esistenza che comprende gli affetti, gli occhiali da vista e un amore e la gloria che sa regalare il pubblico, l’acclamazione e un continuo ripetersi degli anni ottanta.

 

La macchina da presa non prende mai il sopravvento sulla storia, viene condotta con la punta delle dita, sempre alle spalle o di fianco agli attori, come se volesse semplicemente accompagnarli e lasciare allo spettatore tutta la responsabilità della partecipazione. Il lavoro di Rourke sui dialoghi in fase di sceneggiatura rende la pellicola perfettamente adatta alla sua condizione attuale, sempre ricordato ma poco assunto dalle major a causa delle scelte poco felici che hanno caratterizzato la sua vita. Un film che si è cucito addosso con maestria e impegno questo The Wrestler, che lo riporta giustamente sulla cresta dell’onda, forse l’interpretazione più intensa in poco più di un’ora, di tutta la sua carriera.
 
Ci voleva un Aronofsky, uno di quelli tosti però, che ha deciso per l’approccio duro con l’attore: “Ora fai come dico io, nessuno ti assume più da anni, ti sei sputtanato la carriera, con me righi dritto e fai solo ciò che io decido di fare”.
 
A quanto pare ha funzionato più che bene la strategia del regista con gli attributi, osannato a Venezia, apprezzato ai Golden Globe e in dirittura d’arrivo per gli Oscar (non si era mai vista una strada così spianata davanti ad un film da festival) The Wrestler mostra la verità e l’ingiustizia della vita, la fragilità e la difficoltà nel lottare contro se stessi.
 
Non esiste antagonista peggiore del riflesso nello specchio.

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