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The Temptation of a Death Mask.

I conflitti attuali hanno tutti, nella loro infinità diversità, un comune denominatore: il tentativo di definire un’ identità collettiva; ovvero un costrutto simbolico, strumentale e politico, in grado di orientare i gruppi sociali impegnati nella lotta per le risorse.

Carne di ragazzini ardente, sfrigola e svolazza nell’ aria... Temptation… Cantilene sacre da monaci in fiamme… Obsession (ovvero magici filtri CK)… Periferie delle metropoli in rivol…. Teenager americani in Afghanistan a combattere con i Taliban… 12 proiettili per un paio di Nike…” Turn Off.

"Vietato Toccare” Il mondo è un immenso shopping center, carico di paradisiache promesse, a cui pochi sono ammessi. La globalizzazione, i trasporti economici ed i media travolgono ogni barriera. In apparenza è tutto a portata di mano, tutto possibile; ma la realtà è ben diversa e il dominio di pochi su molti resta invariato.

Una nuova aristocrazia emerge; e, libera di sperimentare cose mai immaginate prima, sceglie cosa vuol essere ed avere.

Gran parte degli esseri umani sono alla fame e, a differenza di ogni altra epoca precedente, sono costretti ad annusare, in diretta, il paradiso mondano.

La deprivazione non è assoluta, ma relativa; a ciò che gli altri possiedono e a ciò che esiste. Fame, oggi, è solo in parte essere digiuni; ma, ancora più, sentire l’impellente e disperato desiderio di qualcosa che non si può avere. I desideri frustrati portano rabbia, l’esclusione genera violenza. Miliardi di affamati vagano senza certezze, senza scopo, rabbiosi, frustrati e famelici; disperatamente alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi. Carne desiderosa di cannoni, cervelli pronti al lavaggio. Fantasmi in cerca di un io positivo, di un nemico contro cui scagliarsi, di un avventura da vivere sotto i riflettori, di risposte certe e definitive, di un fiore di loto a cui abbandonarsi.

La morale tradizionale, le identità collettive, le piccole certezze crollano; la complessità sociale disorienta e sradica. I flussi economici e visuali pervadono ogni angolo. Lo Stato arranca. La legge scricchiola. La “Cultura” si ritrae in zoo metropolitani. Il nomadismo schizofrenico rimescola i corpi negli spazi ristretti e degradati delle periferie urbane. La conoscenza diffusa e lo sviluppo tecnologico promettono atomiche nei super market di quartiere e propagano la paranoia. La massa amorfa corre cieca verso l’agognato successo, la casa perfetta, i viaggi continui, la merce divina; e tutto travolge, compresa se stessa. Il “darwinismo sociale”, la frustrazione impotente, la sfiducia in se stessi, l’impossibilità di comprendere fenomeni sociali troppo distanti e complessi, l’ansia e l’inquietudine cronici, l’ottundimento dello spirito di iniziativa, l’anestesia emotiva, la paura di fallire, la mentalità da “sopravvissuto” si diffondono come virus. Il senso svanisce, il frammento incomprensibile e spaesante domina.

I conflitti attuali hanno tutti, nella loro infinità diversità, un comune denominatore: il tentativo di definire un’ identità collettiva. Un’ identità che offra risposte certe ed indubitabili; e liberi dalla difficoltà di scegliere in un mondo incomprensibile. Un’ identità che definisca un rassicurante e caldo noi da contrapporre a loro, ai nemici su cui scaricare ogni frustrazione e ogni colpa.

Le identità collettive sono un costrutto simbolico, strumentale e politico, in grado di orientare i gruppi sociali impegnati nella lotta per le risorse e di rispondere ai bisogni emotivi di persone disorientate e perse nella scintillante, e sanguinolenta, complessità sociale “post-moderna”. 

Al Qaeda è una moderna agenzia di comunicazione. La violenza islamista non ha uno scopo materiale immediato; è un puro atto pubblicitario. Mira a ridefinire l’identità di milioni di uomini e, così facendo, ottenere legittimazione e consenso; conquistare i cuori e quindi il potere. Il target ricercato sono le “masse” di giovani arabi, frustrati dalla miseria e dall’assenza di prospettive. Su questo magma di deprivazione relativa, di mancanza di senso, di desideri non raggiungibili; si staglia la possente figura incappucciata e feroce che, decapitando il nemico, crea un dogma comunitario, attraverso un rituale di violenza sacrale e di purificazione. La fede fondamentalista, più che un rifiuto del consumismo amorale e un ritorno alla vere fede, è una pubblicità visuale e feticista alternativa che, ad un paradiso terrestre fatto di merci-magiche irraggiungibili, sostituisce un paradiso fantastico colmo di merci-feticcio nella loro forma compiuta di prostitute pronte a soddisfare ogni desiderio e magicamente eternamente vergini. Al Qaeda offre una risposta semplificatoria ai bisogni umani più elementari: un immagine positiva ed eroica di sé ed un rassicurante “noi”. Il ragazzino escluso dal paradiso mondano, frustrato e devirilizzato, ritrova certezza assolute ed un identità monolitica che lo libera da difficili scelte e lo proietta verso un paradiso di lussuria ed eroica immortalità.

Il fondamentalismo islamico annuncia una nuovo era. Un’ era di video guerre.

Elite diverse combattono tramite spot per conquistare l’immaginario collettivo e controllare disorientati ragazzini da mandare al macero. Ragazzini perduti e stralunati da troppi desideri, annoiati e in disperata ricerca di qualcosa che abbia senso (oppure affamati e spogliati di ogni dignità umana), accorrono felici all’altare della certezza eroica e della fede armata. Ogni corpo frantumato un nuovo spot da far rimbalzare sugli schermi planetari e nuova miseria da sfruttare. I media offrono il palcoscenico. La tecnologia militare a buon mercato fornisce i mezzi per i moderni rituali sacrificali. La povertà e la frustrazione fanno da incubatrice. L’ ingiustizia sociale e la frustrazione alimentano la spaventosa macchina. L’ occhio globale amplifica ogni cosa rendendo tutto visibile, ogni desiderio e ogni disastro possibile. La mancanza di senso, lo spaesamento, l’insoddisfazione, la noia e la rabbia scatenano la danza; sobillati ad arte da aguzzini di ogni risma. La scarsità di risorse e la sovrappolazione annunciano la follia definitiva.

 
Ogni cambiamento epocale genera confusione e caos. Il mondo che fu è finito, ma non si decide a scomparire; il mondo che verrà non ha ancora forma. Mancano le stesse parole per comprendere il magmatico divenire.

Gli assetti globali non definiti fanno il resto; lasciando spazi di manovra ampi, promettendo imminenti guerre mondiali e giocando con la violenza terrorista; mentre gli stati falliti, terreno di coltura elettiva di ogni follia, annunciano la fine del monopolio statale sulla guerra. Gruppi privati e reticoli comunitari sono in grado di combattere alla pari con i governi ufficiali.

L’ Islamismo è la prima di una lunga serie di ideologie che cercheranno di sfruttare il malcontento diffuso tramite atti di terrore spettacolare dalla virulenza inaudita.

Un virus pubblicitario.

Le ragioni della guerra restano le stesse dall’ inizio della storia ad oggi: potere e risorse. Nuova è la straordinaria disponibilità di armi, di mezzi per fare propaganda e proseliti a costo zero; e, ancor più, di un sottostrato di propensione alla violenza diffuso e multiforme. 



La violenza è una risposta alla fame, alla paura e al pericolo. È un modo per sentirsi vivi e vincenti. Uno scudo rassicurante dietro cui nascondersi. Un modo per definirsi, in un mondo in cui bisogna essere qualcosa per emergere. Un urlo rabbioso per desideri continuamente frustrati ed alimentati. Una scelta definitiva, una direzione certa. Un io e un noi definiti dall’ inscindibile sangue.

I Media hanno reso visibile ciò che prima non lo era, ma senza renderlo comprensibile. Le persone sono alla disperata ricerca di un frame in cui inquadrare ciò che vedono e gli accade; qualcosa di certo e duraturo che possa aiutarli a capire e ridare senso all’ esistenza.

La rabbia è semplice; l’ odio dona un nemico, un colpevole per le proprie miserie.

Nel deserto affamato vedo il “grasso occidentale” felice che ruba il mio petrolio e aiuta il mio oppressore; e vedo, ancor più, il virile arabo incappucciato che lo scanna.

Nella cameretta del college a Boston, annoiato e apatico, vedo mio padre triste, falso e vuoto, a braccetto con la nuova amichetta consolatoria, post-ennesimo divorzio; e vedo la certezza medievale di un burqa e l’avventuroso Mujahidin che si staglia contro il tramonto: eroico come Rambo, sanguinolento come i miei amati horror, carico di un senso pieno e rassicurante.

Nel monastero tibetano scopro l’efficacia dell’immagine infuocata e violenta; e sacrifico me stesso ad una visone eroica, e a portata di mano, che mi colmi di una beatitudine che mi sfugge, troppo carico di desideri mondani per seguire l’ascetica via di mezzo.

Nella capanna africana vedo morire di Aids ogni cosa che ho amato e, attanagliato dalla fame, vedo il banchetto nelle case televisive americane, mentre mia sorella mi vuole convincere che quella simpatica gente non ci permette di produrre le medicine, che potevano curare i nostri avi, perché le hanno inventate prima loro; poi svanisce anche lei, presa dal padre della patria, e dai  francesi, perché terrorista per un volantino scritto. Allora decido di sognare, attraverso il deserto, quasi muoio; ma il paradiso è scuro, un buco sottoterra per vivere, tutti che mi odiano e mi sfruttano. Niente a che fare con le mie amate Soap. Attraverso le vetrine, osservo i bianchi sorridenti e penso agli arabi che si sono ribellati e pregano felici nella moschea – garage, forse dovremmo combattere per la nostra terra anche noi.

Nella cameretta a Los Angeles vedo Hollywood le feste, le star, il lusso, la lussuria; esco e per strada sparano, la polizia mi arresta perché sono nero e volevo vedere la villa di Angelina Jolie; torno a dormire evitando le siringhe di mia madre e sono incazzato nero e penso che dovremmo fare come le Pantere Nere, o meglio come quelli delle torri, però, quelli sono stronzi arabi di merda. Spaccio il crack all’angolo, mentre mia sorella si vende in rete per comprarsi la borsetta Gucci, ma uno stronzo sbirro investe il mio fratellino e allora mi incazzo e spacco tutto. Il quartiere si infiamma, ma arriva la Swatt e quasi quasi iniziamo a sparare e non ci fermiamo più.

2008: nessuna certezza, tanta rabbia, armi sotto al cuscino, poche risorse, popolazione in aumento; elite totalmente amorale ed egoista; instabilità politica ed economica; nessuna idea su chi siamo e dove andare; identità fragili ed incerte; desideri impossibili diffusi e continuamente alimentati. L’epoca che dovrebbe vederci impegnati nell’esplorazione dello spazio, e nell’unificazione graduale del pianeta, sembra non aver trovato ancora la lingua delle nuove idee ed uomini coraggiosi che sappiano accettare le sfide di un nuovo ciclo storico.

La risposta di molti: egoistica difesa dei propri interessi e testa sotto al cuscino.

Qualcuno si congratula con se stesso per parole suadenti: cooperazione, pacifismo, decrescita; e dimentica di essere un privilegiato irrealista fuori dal mondo.

Tanti sopravvivono, almeno per ora.

Nessuno vuole affrontare i veri nodi che stringono il cappio. Il sistema economico distruttivo, insostenibile ed ingiusto. L’assurdità di trattati che pretendono di stabilire chi possa usare una tecnologia e chi no in base ad un giudizio morale. Lo strapotere di una parte del mondo su un’ altra. Il sistema culturale allo sfacelo. Falsità imperante. Razzismo onnipresente. Giudizi morali e culturali dati per naturali ed obbligatori. Più di tutto, l’insensatezza della vita attuale della maggioranza degli uomini. L’assurdità sistemica.

Viviamo più che in qualsiasi altra epoca precedente, abbiamo più di quanto avessero i nostri avi ovunque siamo nati, possiamo fare cose prima impensabili; ma non siamo mai stati così infelici, spaventati e disorientati.

La guerra diffusa e polimorfa che ci aspetta nasce da ciò. Chi ha fame lo plachi con un tozzo di pane; chi è triste, frustrato, insicuro ed infelice vuole solo sfogare la propria cieca rabbia.

Dove non c’è senso, c’è morte.

Fantasmi lontanamente antropomorfi si trascinano per le strade del mondo in cerca di nulla, incapaci di capire se stessi e ciò che li circonda; stralunati e persi.

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