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Obama, il partito on-line e le prove dell’ eroe

Il neo-eletto presidente americano Barack Obama in questi giorni deve fronteggiare una serie di sfide immediate cercando contemporaneamente di gettare le basi per un cambiamento più duraturo, promesso a gran voce durante le elezioni.

Il neo-eletto presidente americano Barack Obama in questi giorni deve fronteggiare una serie di sfide immediate cercando contemporaneamente di gettare le basi per un cambiamento più duraturo, promesso a gran voce durante le elezioni. Tutto questo deve farlo avendo sul collo il fiato dei media globali, che spulciano ogni sua mossa alla ricerca di scoop e scandali sul personaggio del momento, e di una parte dell’ amministrazione, anche democratica, che tenta di bloccare dall’ interno la sua ascesa, per motivi ideali o di potere.

In questi ultimi giorni i fronti aperti per il presidente si sono moltiplicati. Dopo le indiscrezioni su possibili cambiamenti di strategia nel difficile teatro Afghano-Pakistano e la notizia del tentativo dei repubblicani di cambiare rotta anche simbolicamente eleggendo un afro-americano alla presidenza del partito, due nuove sfide si preparano per Obama ed il suo staff.

La prima arriva dal vertice del 4 Febbraio a Mosca dell’ Organizzazione del Trattato Collettivo di Sicurezza (CSTO). I membri dell’organizzazione (Russia, Bielorussia e i cinque paesi dell’Asia Centrale, Armenia, Kazakhstan, Kirghisistan, e Tajikistan.) hanno deciso la costituzione di un forza collettiva di pronto intervento per contrastare il traffico di droga ed il terrorismo e prevenire potenziali aggressioni militari.

 

Alla sfida Russa si accompagna la sfida interna al partito democratico. I «Blue Dogs»[1] hanno portato alla luce le divisioni interne al partito in modo plateale quando undici di loro hanno votato con i repubblicani contro il pacchetto di stimoli da 825 miliardi di dollari, lamentando la carenza di tagli fiscali. Mentre i democratici più liberal presentavano il discusso emendamento protezionista e Tom Daschle, obbligato a rinunciare al ministero della Sanità per evasione fiscale, evidenziava l’inaffidabilità della vecchia classe dirigente.

 

Obama reagisce alla sfida esterna andando avanti con il suo piano di spostare l’asse della guerra dall’ Iraq al teatro Afghano-Pakistano e portando avanti il tentativo di dialogo con l’Iran, senza escludere l’uso della forza. Poi passa all’attacco sul fronte interno annunciando la creazione di Organizing for America, guidata da David Plouffe (già architetto della vittoria presidenziale).

La maggioranza parlamentare incerta spinge la Casa Bianca verso una soluzione radicale: sfruttare le elezioni del 2010 per il rinnovo del Congresso al fine di far eleggere deputati e senatori più obamiani che democratici.

La nuova organizzazione sarà un tentativo di sfruttare la lista di 13 milioni di indirizzi e-mail degli «Obama People» (attraverso un’ organizzazione a base volontaria coordinata tramite il web) e di scavalcare il partito per ottenere, attraverso la partecipazione popolare, uno spostamento dell’ asse di potere a favore del neo-eletto cantore del cambiamento.

In un qualche senso la strategia di Obama è analoga a quella di molti grandi presidenti (presidenza retorica) del passato che riuscirono a sfruttare la propria oratoria (attraverso il media del momento es. Franklin Delano Roosevelt e la radio, o Ronald Reagan e la TV) per raggiungere un rapporto più diretto con il “popolo” e piegare Washington al proprio volere.

Ma è anche profondamente diversa da ogni tentativo del passato per due essenziali ragioni.

La prima è tecnologica, il Web permette l’interattività, il coordinamento e la diffusione di frequenti messaggi a basso costo e privi di filtri giornalistici. L’insieme spinge alla partecipazione e la sostiene con un senso più intenso di comunità.

La seconda differenza è strategica: Obama punta non solo a scavalcare partiti e giornalisti, ma a cambiare radicalmente l’asse politico attraverso le elezioni congressuali del 2010, tentativo quindi molto più radicale dei suoi precedenti storici.

Riuscirà? È a caccia di cambiamento o potere? Vivrà?

Restiamo in attesa del prossimo episodio di “Il cavaliere ed il drago malvaggio”


[1] (cani blu) è la definizione nella quale a Capitol Hill si riconoscono i democratici moderati, eletti in Stati e distretti dove ciò che più conta è il rigore fiscale. Alla Camera dei Rappresentanti sono 51 - su 255 democratici a fronte di 178 repubblicani.

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.71) 6 febbraio 2009 11:44
    Damiano Mazzotti

    Obama cercherà di fare quello che ha fatto Gorbaciov... Cioè eliminare le vecchie nomenclature, spesso ereditarie e spesso corrotte... Anche perchè la occorrono i miliardi per farsi eleggere... Gli auguro gli vada meglio che a Gorbaciov... E che sfugga ai probabili attentati...

    • Di Ash Wallace (---.---.---.48) 6 febbraio 2009 11:51
      Ash Wallace

      Boh sugli attentati io sono parecchio preoccupato per gorbaciov non so mi sembrano due cose diverse.
      Gorbaciov riconobbe l’inevitabile e sfrutto la pessima situazione per imporre riforme, poi conquisto il "popolo"; Obama mi sembra francamente puntare su riforme meno incisive di quelle e più che la situazione mi sembra puntare sul favore e la partecipazione del "popolo" per far pressione sulle elita.

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