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Terremoto: il ritorno degli untori

Fra le pagine dei «Promessi sposi», ci sono quelle che parlano dell’anziano devoto, il quale in una chiesa, prima di sedersi, pulì con un panno la panca; e subito fu travolto dall’accusa di avere «unto» il sedile, ossia di averlo cosparso di una sostanza atta a diffondere il contagio della peste.

Oggi sappiamo che la peste si diffondeva a causa delle cattive condizioni igieniche e ad opera dei topi, e che gli untori altro non erano che una proiezione delle paure della popolazione dinanzi al flagello.
 
E’ accaduto sovente nella storia dell’uomo che egli abbia fatto ricorso a questo tipo di espediente per controllare in qualche modo le proprie paure.
 
Ad esempio gli ebrei, in occasione dello Yom Kippur, ricorrevano al rito del «capro espiatorio», cui venivano, per così dire, trasmessi tutti i peccati di Israele e che poi veniva fatto precipitare da una rupe.
 
Ed ancora le popolazioni americane pre-colombiane ricorrevano a sacrifici umani di un grande numero di esseri umani unicamente per la paura che il sole tramontasse e decidesse di non risorgere più.
 
In tutti questi casi l’uomo trovava sì conforto dinanzi alle proprie paure, ma, ed è questo il vero problema, rinunziava a far passi avanti nell’affrontarne le vere cause.
 
Dinanzi al terremoto che ha colpito l’Abruzzo, pur a distanza di secoli dalla nascita dell’Illuminismo, l’uomo continua a cercare untori.
 
Innanzitutto i romeni: Daria Bignardi, nella più recente puntata del suo programma televisivo «L’era glaciale», ha informato l’interlocutore Erri De Luca che erano stati arrestati quattro rumeni accusati di sciacallaggio; evitando di dire che erano stati poi prontamente assolti dall’accusa perché pare non avessero fatto alcunché di male.
 
Poi è passata a parlare dei calcestruzzi fatti con la sabbia di mare; ed a nulla sono valse le parole di Erri De Luca, esperto del settore in quanto ex muratore, che diceva alla presentatrice che non vi è nulla di sbagliato null’utilizzare sabbia di mare nella confezione dei calcestruzzi, purché ben lavata dal sale.

 
Ancora, altri reportage dalle zone terremotate hanno ampiamente sottolineato che è successo che edifici contigui avevano reagito al sisma in maniera fortemente discorde, l’uno resistendo e l’altro no.
 
Eppure è un evento del tutto comprensibile se si hanno conoscenze sul comportamento delle strutture in zona sismica: se due strutture costruite adoperando la medesima tecnica e propinque si comportano in maniera così diversa, questo vuol dire che esse avevano frequenze di oscillazione proprie diverse e che quella che è crollata, ha avuto la sfortuna di avere la sua frequenza di oscillazione simile alla frequenza del sisma ed è entrata in risonanza.
 
Lasciando stare gli untori e cercando di meglio capire come in effetti stanno le cose, è innanzitutto da tenere presente che le attuali norme sulle nuove costruzioni in zona sismica sono assolutamente ottime e, se non riescono a dare garanzia sull’assenza di danni alle strutture interessate dal sisma (cosa impossibile), riescono ad assicurare l’incolumità dei loro abitanti.
 
Diverso è il caso di costruzioni già esistenti e non realizzate con criteri anti sismici: in questo caso non esistono regole generali e non è detto che sia sempre possibile intervenire per riportale in sicurezza.
 
Dinanzi a nuove costruzioni messe in crisi dal sisma, occorre poi valutare caso per caso e senza cedere alle lusinghe di un processo sommario, che sa di lotta agli untori.
 
Le Procure potranno certamente esaminare approfonditamente i singoli casi, che destano sospetti, ed eventualmente individuare responsabilità penali, le quali possono essere solamente del tutto personali.
 
Invece, l’«esame di coscienza collettivo», giustamente chiesto dal Presidente della Repubblica, è necessario per affrontare un eventuale «andazzo» di mancato rigore generalizzato nel rispetto della normativa anti sismica.
 
Perché i terremoti, nel nostro Paese, hanno tempi di ritorno che possono essere di secoli e, di essi, non sempre rimane memoria storica nell’immaginario collettivo.
 
Insomma, dopo generazioni senza eventi sismici significativi, si finisce per costruire secondo standard non adeguati, sino al primo evento catastrofico; ed allora, come si suol dire, resta solo da chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi.

Foto: site.it

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