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Tempi nuovi, politica di sempre: avanti col debito e con un altro porcellum

Mentre il debito pubblico tocca un nuovo record, le forze politiche sembrano in procinto d'accordarsi su una nuova legge elettorale.

Dalle Piramidi a Versailles ogni classe dirigente innalza i propri monumenti. La nostra si è garantita la sua fetta d’immortalità costruendo un debito pubblico che ha toccato in questi giorni un nuovo record: 1935 miliardi, 32.270 Euro per ogni italiano che, solo per pagare gli interessi su questa cifra, deve scucire ai tassi attuali 1.154 euro l’anno.

Un monumento che continuando a crescere al presente ritmo di 50,4 milioni l’ora raggiungerà i 2.000 miliardi nel pomeriggio del 28 aprile e che non si sarebbe potuto realizzare senza la rapacità, l’incoscienza, la miopia e la codardia dei politici dell’ultimo trentennio; di tutti, certo con diversi gradi di responsabilità, o quasi.

Nel 1968 il debito pubblico valeva solo il 44% del Pil. Nel 1980, dopo un decennio caratterizzato dalla grave (allora così sembrava) crisi del 1973 era cresciuto, ma non superava ancora il 55% del Pil. Fu durante gli anni ‘80, con i governi del pentapartito, che le finanze pubbliche furono definitivamente affondate e nel 1995 il nostro debito raggiunse un picco del 121% rispetto al Pil.

Colpa di Craxi & Co.? Assolutamente sì (il record fu raggiunto durante il governo Amato, ma, esattamente come sta accadendo a Monti, questi aveva ereditato un treno in corsa verso il disastro finanziario). Non si sarebbe arrivati a quel punto, però, se l’opposizione di allora si fosse curata della cosa. Non fu così. Non solo il PCI non cercò mai, dico mai, di porre il problema dell’esplosione del debito pubblico al centro del dibattito politico, ma, se arrivava a fare pressioni sui governi, queste erano per spendere: magari meglio, ma certo non di meno. Si arrivò, guardando alla nostra classe politica di allora, a parlare di “partito unico della spesa”.

Solo quando la Prima Repubblica crollò, dopo che il paese aveva seriamente rischiato la bancarotta, il debito pubblico iniziò ad essere oggetto di attenzioni (prima, e sembra una barzelletta, i telegiornali scandivano la nostra discesa verso l’abisso titolando, ad ogni aumento degli interessi da pagare: “Migliorano i rendimenti dei Bot”).

Eravamo già condannati alla morte finanziaria, quando, grazie a Romano Prodi e al miracoloso aggancio all’euro ottenemmo una sospensione della pena; con i tassi bassissimi che l’adozione delle moneta unica ci consentì di avere per un decennio, sarebbe bastato un minimo di rigore in più per far diminuire il nostro debito in modo significativo. Un’occasione sprecata; i politicanti della Seconda Repubblica, che hanno tutti i difetti e nessuno dei pur pochi pregi dei loro colleghi della Prima, n’approfittarono per non fare assolutamente nulla; anzi, per aumentare ulteriormente, in termini assoluti, la spesa. Non solo; populisti della peggior specie arrivarono a svillaneggiare chi, sempre il povero San Romano Prodi, cercò di mettere qualche rattoppo al bilancio: fu lui, prima di Monti e Fornero, anche per molti della sinistra, il “massacratore sociale” e “affamatore di pensionati”.

Anche un semi-deficiente avrebbe dovuto capire che il macigno del debito pubblico, se pure appariva stabile in quegli anni, sarebbe ineluttabilmente caduto sulla testa del Paese, non appena l’allora favorevolissima congiuntura internazionale avesse subito un rallentamento. Quel “semi”, però, applicato a tanti dei figurini che abbiamo visto in questi anni nelle bettole televisive, dibattere di mutandine ed appartamenti a Montecarlo, non pare del tutto giustificato.

Si sono dimostrati assai poco intelligenti, se volete definirli in modo più gentile, troppi dei politici della Seconda Repubblica. E sicuramente codardi. Codardi nel non dire ai cittadini quale fosse il pericolo che incombeva su di loro; codardi per non aver saputo sfidare l’impopolarità di misure che andavano prese già decenni fa. Codardi per il modo indegno in cui hanno abbandonato il timone per ficcarsi sotto coperta, cercando di far dimenticare le proprie responsabilità, quando la tempesta che montava da anni è finalmente scoppiata.

Adesso, tanto ottusi da pensare che sia già tornato il sereno, stanno riemergendo dai loro nascondigli. Le loro ricette? Quelle di sempre, proteste contro i sacrifici e promesse di miracolosi interventi senza specificare, però, come si procurerebbero le risorse necessarie a realizzarli. Pie illusioni che purtroppo (anche noi cittadini abbiamo le nostre responsabilità; eccome) molti italiani non aspettano altro che di far proprie.

Nel frattempo pare che Alfano, Bersani e Casini si stiano accordando per una nuova e quanto mai necessaria legge elettorale. Vedremo poi con che cosa se ne usciranno, anche se il fatto che Ignazio “Quaddro Gaggia” La Russa sia uno dei “saggi per le riforme” fa, di suo, sperare pochissimo e malissimo.

Per certo nessuna legge che limiti la possibilità di scelta dei cittadini a pochi nomi, e per di più indicati dalle segreterie dei partiti, può essere considerata altro che cosmetica; leverebbe forse dal parlamento alcuni tra i peggiori che vi siedono, ma per certo non porterebbe al cambiamento di cui l’Italia ha più bisogno: quello, reso possibile solo dall’introduzione di primarie in ogni collegio, del suo indegno personale politico.

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