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Tasso di occupazione e disoccupazione: come creare un mini boom

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

sui dati relativi all’occupazione si sarà sempre destinati ad equivocare. Soprattutto perché non si vuol capire che più che il dato della disoccupazione, quello che dovrebbe davvero interessare è il tasso di occupazione.
L’errore comune che si commette è pensare ad un rapporto di vasi comunicanti tra disoccupati ed occupati, sicchè al diminuire degli uni, crescono gli altri. Le cose non stanno così, come a suo tempo provai a spiegare qui. C’è un elemento estremamente importante, inoltre, spesso dimenticato. La differenza che esiste tra il disoccupato vero e proprio e la persona priva di lavoro.

Il disoccupato vero e proprio è, ai sensi della recente riforma del lavoro (per chi ama il giuridichese, si tratta del d.lgs 150/2015), colui che risulti privo di lavoro e lo cerchi attivamente ed a questo scopo abbia ottenuto un ingresso nelle banche dati dei disoccupati, gestite dai servizi pubblici per il lavoro. La persona priva di lavoro è semplicemente chi non lavora e nemmeno cerca un’occupazione. Potrebbe essere uno studente, ma anche un cosiddetto “sfiduciato”.

Ora, il problema è che poiché il tasso di occupazione censito dall’Istat al settembre 2015 è pari al 56,5%, ciò vuol dire che risulta perfino più basso di due degli anni di più profonda crisi, il 2010 e il 2011, quando si attesto al 56,9%. In ogni caso, si resta lontani dai periodi migliori del decennio, anni 2007 e 2008, quando si tocco il “picco” del 58,7%, comunque lontanissimo dagli obiettivi previsti dal Trattato di Lisbona. Insomma, non è che i progressi del mercato del lavoro appaiano tali da far urlare alla ripresa, anche se un dato è abbastanza chiaro, ormai: la riduzione delle ore di cassa integrazione, simmetrico alla riduzione delle stesse procedure di cassa integrazione.

Il balletto dei numeri, caro Titolare, vedrai che nei prossimi mesi sarà destinato a divenire più frenetico quando entrerà a regime una novità imposta proprio dalla riforma del mercato del lavoro, il citato d.lgs 150/2015. Esso, infatti, abolisce la “conservazione dello stato di disoccupazione”, cioè della finzione giuridica di continuare a considerare disoccupati coloro che lavoravano percependo, tuttavia redditi di lavoro dipendente o autonomo inferiori alle soglie minime per la tassazione a fini Irpef.

Progressivamente, dunque, il numero dei dati “amministrativi” dei disoccupati diminuirà, perché formalmente queste persone sotto occupate saranno considerate, appunto, occupate e non più disoccupate.
Ai fini delle rilevazioni campionarie condotte dall’Istat non dovrebbe cambiare nulla, poiché si tratta di domande volte a chiedere ad una persona se in un certo periodo lavora o ha lavorato o meno, prescindendo dallo status formale di disoccupato ai fini amministrativi. Ma i dati amministrativi non potranno non tenere conto di una progressiva riduzione dello stock di persone in possesso dello status di disoccupati.

È, dunque, largamente prevedibile che in futuro vi saranno notizie di giubilo per la riduzione del numero dei disoccupati e di incremento del numero degli occupati, mentre sarà soltanto un aggiustamento amministrativo.

(Foto: Vincenzo De Geronimo/Flickr)

 
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