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Stuprate, torturate, vendute, regalate, suicide: le donne yazide nelle mani dell’ISIS

“Un giorno ci hanno dato degli abiti che sembravano costumi da danza, ci hanno detto di lavarci e poi d’indossarli. Jilan si è uccisa in quel momento, nel bagno. Si è tagliata i polsi e poi si è impiccata. Era una ragazza molto bella. Penso sapesse che di lì a poco sarebbe stata presa da un uomo e per questo si è tolta la vita”.

Jilan, 19 anni, si è suicidata durante la prigionia a Mosul perché temeva di essere stuprata. Come lei, decine di altre donne e ragazze di etnia yazida hanno deciso o tentato di togliersi la vita per il timore di essere violentate, vendute, regalate o date in sposa a combattenti dello Stato islamico nel nord dell’Iraq.

La storia di Jilan, insieme a molte altre, è contenuta in un rapporto pubblicato da Amnesty International su rapimenti, torture, stupri e ulteriori forme di violenza sessuale contro le donne e le ragazze appartenenti alla minoranza yazida di cui si è reso responsabile lo Stato islamico nella regione di Sijnar, nell’Iraq nordoccidentale, nell’ambito della pulizia etnica scatenata ad agosto per eliminare ogni minoranza etnica e religiosa nella zona.

Centinaia di donne e ragazze yazide – si legge nel rapporto, basato su interviste con più di 40 ex sequestrate – hanno avuto la vita distrutta a causa dell’orrore della violenza sessuale e della schiavitù sessuale cui sono state sottoposte dallo Stato islamico durante la prigionia. Molte delle vittime di schiavitù sessuale erano ragazze di 14-15 anni o persino più giovani.

Wafa, 27 anni, ha raccontato ad Amnesty International che lei e sua sorella hanno tentato il suicidio la notte dopo che i loro rapitori le avevano minacciate di sottoporle a matrimonio forzato. Hanno cercato di strangolarsi con i veli ma due ragazze che dormivano nella stessa stanza si sono svegliate e le hanno fermate.

“Abbiamo legato i veli intorno al collo e abbiamo tirato da una parte e dall’altra con tutta la forza che avevano, poi sono svenuta. Nei giorni successivi non riuscivo più a parlare”.

La maggior parte degli autori di questi crimini sono uomini iracheni e siriani; molti sono combattenti dello Stato islamico, altri meri simpatizzanti. Parecchie ex prigioniere hanno dichiarato di essere state tenute in abitazioni familiari, dove hanno convissuto con le mogli e i figli dei loro rapitori.

Molte delle sopravvissute sono doppiamente colpite, poiché devono fare i conti con l’assenza di decine di loro familiari, ancora in ostaggio o già uccisi dallo Stato islamico.

Randa, 16 anni, proveniente da un villaggio nei pressi del monte Sinjar, è stata rapita insieme a decine e decine di parenti, compresa la madre in stato avanzato di gravidanza. Randa non sa se sia stata “venduta” o “regalata” a un uomo due volte più grande di lei, che poi l’ha stuprata. Ha raccontato la sua terribile esperienza ad Amnesty International:

“È così doloroso quello che hanno fatto a me e alla mia famiglia, hanno rovinato le nostre vite. Che accadrà alla mia famiglia? Non so neanche se li rivedrò ancora…”

Le conseguenze fisiche e psicologiche delle orrende violenze sessuali subita da queste donne sono catastrofiche. Molte di loro sono state torturate e trattate come oggetti. Anche coloro che sono riuscite a scappare rimangono profondamente traumatizzate.

Il trauma delle sopravvissute alla violenza sessuale è ulteriormente acuito dallo stigma che circonda l’esperienza dello stupro. Le sopravvissute avvertono che il loro “onore”, così come quello dei loro familiari, è stato rovinato e che la loro capacità di vivere nella comunità sarà messa a rischio. Molte sopravvissute alla violenza sessuale non ricevono ancora tutta l’assistenza e il sostegno di cui hanno disperatamente bisogno.

Amnesty International ha sollecitato il governo regionale kurdo, le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie che stanno fornendo cure mediche e altre forme di aiuto a raddoppiare gli sforzi, garantendo che tale assistenza arriverà rapidamente e senza bisogno di sollecitazioni a tutte le persone che ne hanno bisogno e che queste ultime siano informate che potranno accedervi.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.99) 27 dicembre 2014 17:41

     Quando è fi ita la seconda guerra mondiale la resistenza faceva sfilare le donne che avevano collaborato con i fascisti per le città.completamente rapate.Anche quella era una violenza sulle donne.
  • Di GeriSteve (---.---.---.32) 28 dicembre 2014 11:54

    Amnesty fa benissimo a denunciare questi orrori, ma se non ci si domanda chi ci sta dietro e perchè ciò avviene si rischia di esserne complici.

    La lobby delle armi è transnazionale, potentissima negli USA e nel mondo e pianifica la paura, le guerre fredde e quelle calde.
    Questi orrori e gli attentati terroristici contro l’occidente hanno uno scopo preciso: convincere anche la società civile che ci si deve armare per la guerra contro l’islamismo.

    Amnesty se lo domanda chi ha inventato, finanziato e armato l’ISIS?

    E se lo sa o lo sospetta, si rende conto che denunciare questi orrori senza denunciare anche coloro ai quali questi orrori giovano significa favorire il loro gioco?

    Ci vogliamo ricordare che Bin Laden era (e se è vivo lo è ancora, se è morto lo è sempre stato) un agente della CIA? Ci vogliamo ricordare che "al quaeda" era il "data base" con i nomi dei mujjaidin (combattenti islamici) che con i soldi della CIA Bin Laden arruolava per portare la guerra in Afganistan, in Iugoslavia e per il mondo? Vogliamo capire che quel data base e quell’organizzazione esistono ancora e stanno preparando la terza guerra mondiale? Che S.P. Huntington ha programmato lo scontro di civiltà e c’è chi (ben finanziato) lavora per attuarlo?

    GeriSteve

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