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Strategie economiche diverse per uscire dalla crisi

Il decreto legge del Consiglio dei Ministri del 4 dicembre 2011 è stato approvato in via definitiva dal Parlamento il 22 dicembre 2011 ed è diventato legge. Il provvedimento - rispetto al decreto legge in vigore dal 6 dicembre 2011 - è stato approvato con modifiche che sono entrate in vigore a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. E’ possibile quindi analizzarne il senso politico. 

Invece di puntare decisamente contro la speculazione, il macigno che ci minaccia, stiamo cercando di evitarne l'urto con successive correzioni di percorso che ci stanno rendendo sempre più poveri e vulnerabili. Proviamo a ricostruire in termini basilari quello che è successo: dall'inizio degli anni '90 il PIL degli Stati Uniti ha cominciato a non essere più sufficiente per sostenere il tenore di vita della popolazione.

Questo fatto è stato nascosto per tutto il decennio grazie alle operazioni di “finanza creativa”, per poi esplodere nell'autunno del 2006. A quel punto i grandi gruppi assicurativi che gestiscono le pensioni degli americani non hanno avuto più denaro sufficiente per pagare i mensili e hanno cominciato a vendere quote di titoli del loro portafogli per procurarsi liquidità.

Naturalmente lo hanno fatto in maniera astuta, sapendo benissimo che questa mossa avrebbe dato il via a una spirale ribassista: hanno cominciato vendendo gli asset esteri, in modo da danneggiare il meno possibile le industrie nazionali, che sono quelle che pagano loro i contributi in conto dei lavoratori e scaricare fuori, ossia sull'Europa, i costi dell'operazione.

Questo avrebbe dato loro un doppio vantaggio: da una parte liquidità immediata e dall'altra la possibilità di riacquistare a breve lo stock intanto sceso di prezzo. È questo il motivo che ha portato alla vendita di titoli di paesi indebitati come la Grecia: non - come vuole una superficiale analisi - il timore di un loro possibile fallimento, ma anzi l'esatto contrario, la certezza che quei paesi sarebbero rimasti solvibili (magari a spese della BCE, da cui i continui solleciti da Obama a fare presto qualcosa) ed i titoli sarebbero stati rinnovati alla scadenza ad un tasso d'interesse molto più alto, consentendo così un bel guadagno nell'operazione.

Esattamente quello che avviene con i titoli italiani: essi vengono messi sotto pressione non perché ci si crede inaffidabili (in quel caso le aste andrebbero semplicemente deserte), ma proprio perché ci si ritiene ancora in grado di pagare gli interessi da strozzini che ci vengono chiesti. Certo, per farlo dobbiamo impoverirci, ma questo non è un problema della finanza internazionale.

Inoltre cercare di difendersi attraverso il pareggio di bilancio equivale a compiere l’errore di non lasciar crollare liberamente i titoli sul secondo mercato (stimolando nel contempo le banche europee ad acquistarli a prezzo di favore) e l’errore di non garantire l'acquisto sul mercato primario delle prossime emissioni della Grecia ad un tasso ragionevole, diciamo con uno spread di 100-150 punti. Questa semplice mossa avrebbe da un lato salvato la Grecia e dall'altro finito di disastrare i fondi pensione americani ed insieme con loro il branco di iene degli speculatori, che immediatamente si sono accodati al movimento ribassista.

Questa contromossa ovviamente avrebbe avuto un costo, da affrontarsi nella maniera più semplice e antica del mondo: stampando moneta. C’è da valutare se l'operazione avrebbe comportato una spaventosa inflazione, simile a quella degli anni '20 tanto paventata dalla signora Merkel.

No!, l'euro -come le altre valute dopo il 1971- ha alle spalle un istituto che lo emette ma che non ne garantisce in alcuna forma il valore intrinseco. In altri termini il suo valore è puramente convenzionale, legato in via teorica alla somma delle attività economiche dei cittadini europei e però del tutto svincolato dalla massa circolante.

Dal 2007 la FED ha stampato -ufficialmente- una quantità strabiliante di dollari. Il dollaro è crollato? In America è esplosa un'inflazione a due cifre? No!, e questo per un fatto semplicissimo: nessuno conosce realmente la massa circolante di dollari nel mondo e non è questa che ne determina il valore.

Poiché l'euro è nella stessa condizione, l'impatto inflazionistico sarebbe stato del tutto trascurabile. Ma se la speculazione continuasse, come continua, ad attaccare altri debiti sovrani? La risposta dovrebbe essere la stessa, soltanto su una scala ancora più vasta. E l'ulteriore emissione di euro, fino ad aumentare la massa circolante del venti, trenta per cento quali conseguenze avrebbe?

Diverse, e tutte positive. Anzitutto si deprezzerebbe l'euro nei confronti del dollaro, arrivando magari fino ad un cambio inferiore alla parità, che sarebbe la misura aurea per un'economia esportatrice come quella europea. Poi si sosterrebbero in maniera potente i consumi di prodotti interni, scoraggiando l'acquisto di quelli di provenienza extracomunitaria.

E per azzerare gli effetti inflazionistici interni basterebbe abbattere proporzionalmente l'IVA, fino ad azzerarla del tutto sui beni primari se necessario, realizzando così la condizione ideale: una moneta debole sull'estero e forte all'interno.

A questo punto, avendo sostenuto lo sviluppo con una forte immissione di liquidità, si potrebbe allora sì tranquillamente compensare il minor gettito causato dall'abbattimento dell'IVA con una attenta politica di rigore, a cominciare dai risparmi fortissimi ricavabili da una ristrutturazione e razionalizzazione della spesa pubblica.

In condizione di forte espansione della domanda e dei consumi sarebbero possibili anche manovre molto più incisive sul welfare, senza trascinare nella miseria le popolazioni. Infine, in casi estremi, si potrebbe ricorrere a una sottoscrizione forzosa di titoli del debito pubblico, manovra questa che invece di depredare i risparmi si limiterebbe ad un loro momentaneo immobilizzo, con il vantaggio ulteriore di evitare aste in momenti di difficoltà.

La manovra deflattiva cui ci costringe l’attuale Governo va invece nella direzione del tutto opposta: nel tentativo funesto di evitare il macigno della crisi, la politica economica (ispirata dalla Germania) è tutta concentrata sullo sforzo di mantenere alto il valore dell'Euro sull'estero, senza preoccuparsi delle conseguenze recessive che essa provoca all'interno.

È una reazione d'istinto, priva di ogni razionalità. È proprio quello che farebbe chiunque, ahimè. Ostinandosi su una strada errata, come bastano pochi numeri a dimostrare: all'atto della sua introduzione l'euro valeva poco meno di un dollaro e circa duemila lire. Dopo dieci anni esso vale circa un dollaro e trentacinque (ma si è avvicinato anche a un tasso di cambio prossimo al dollaro e mezzo) e solo forse ottocento delle vecchie lire.

Le autorità monetarie europee hanno insomma realizzato il capolavoro di far apprezzare del quaranta per cento la moneta sull'estero e di lasciarla svalutare del sessanta per cento sul mercato interno, con il bel risultato di impoverire i popoli europei e favorire le esportazioni di Usa e Cina che prezzano le loro merci in dollari!

Fino al punto di dover subire anche la beffa dei due compari, che adesso si offrono di sostenere (ad equo interesse naturalmente) i nostri debiti sovrani con i nostri soldi accumulati grazie ai vantaggi del cambio.

Ma verrebbe da chiedersi, passi la tendenza dell'uomo della strada, ma che dire dei grandi tecnici cui abbiamo affidato le nostre sorti? Perché anche loro si comportano come il signor Chiunque? E perché allora non si fa? Per un motivo ahimè semplicissimo: perché farlo equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra agli Stati Uniti ed alla Cina. Significherebbe rispondere alle loro sberle con dei calci.

E questo né la Merkel, né Sarkozy e tantomeno Monti si sentono di rischiarlo. Accordarsi sul fatto che i singoli stati raggiungano individualmente il pareggio di bilancio equivale a far tracollare singolarmente ognuno di questi Stati. Se poi dietro l'operazione si celi, come molti credono, il retro-pensiero che in caso di tracollo dell'euro comunque la Germania se la caverebbe, forse sarebbe bene che qualcuno informasse la Merkel, che nemmeno la Germania si sottrarrebbe al tracollo.

Il Presidente del Consiglio Mario Monti perciò appartiene alla più convenzionale delle posizioni di teorie economiche (facendo un paragone con la fisica è come se aderisse alle posizioni pre-relatività di Einstein e pre-principio di indeterminazione di Heisenberg!) e governa da rigorista, mostrandosi sostenitore della metafora della cicala e della formica piuttosto che della metafora keynesiana del potere dei debitori! 

Però laddove la metafora della cicala e della formica (di stampo germanico e protestante) finisce per annientare i debitori e quindi risulta unicamente punitiva, invece la metafora keynesiana della forza dei debitori si rivela riconciliativa e recupera alla possibile crescita i debitori (sottraendoli dall'eventuale annientamento)! 

Infine è in programma in Italia -a scopo divulgativo- il corso di formazione in Modern Money Theory (MMT), con la partecipazione di William Black, Michael Hudson, Stephanie Kelton, Marshall Auerback ed Alain Parguez, economisti di statura mondiale, seguaci di Keynes e forniti di solido curriculum.

 La Modern Money Theory (MMT) è oggi probabilmente l'unico strumento esistente di scienza economica e sociale, che sia in grado di interferire efficacemente con il processo di "finanziarizzazione dell'economia" (che è il passaggio dal capitalismo produttivista -quello che investe il denaro per la produzione di merci traendone profitto- al capitalismo dei mercati finanziari -quello che lucra denaro per mezzo del denaro-) e di contrastare la preminenza del sistema bancario, che sta sovrastando la politica e la democrazia.

L'aspetto principale della MMT è mettere al centro la capacità dello Stato sovrano di creare ricchezza emettendo moneta (in abbinamento alla scelta di spendere finalmente per i cittadini e non per banche ed elitè finanziarie!). Al contrario, l'euro, che non è moneta sovrana di nessuno dei paesi dell'Eurozona, costringe gli Stati ad indebitarsi come un comune cittadino con le banche. Sarebbe importante rendere tutti i cittadini consapevoli di questo aspetto, perché è in tale ambito che si gioca il futuro dei cittadini. 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.104) 12 gennaio 2012 20:46

    Per uscire dalla crisi occorre anche puntare su strategie di “investimento socialmente responsabile” e di “investimento economicamente mirato”. Rimarchevole è quanto avviato nel 2003 dalle Nazioni Unite. Inserita nel quadro del suo Programma per l’Ambiente, si chiama “Iniziativa Finanza” (acronimo inglese Unep-Fi). E’ rivolta primariamente ai fondi pensione privati, ma anche alle compagnie di assicurazione e ai fondi comuni. Il suo scopo risiede nel promuovere l’integrazione di temi ambientali, sociali e altri connessi al governo delle imprese nelle politiche d’investimento dei grandi investitori, ivi incluse la ripartizione (o allocazione) degli attivi, la costruzione del portafoglio e la scelta delle imprese di cui acquistare azioni e obbligazioni. Materie di pertinenza quotidiana nella gestione finanziaria di un fondo pensione. L’idea di pratiche d’investimento più responsabili, in nome di una “finanza sostenibile” (da intendersi come finanza attenta ai problemi della sostenibilità ambientale, economica e sociale) è stata lanciata a Parigi dalla Unep-Fi nel 2004 in un incontro dei maggiori fondi pensione europei. L’anno dopo, su commessa di questo ente, vide la luce un ampio rapporto che esaminava se e come le giurisdizioni nazionali dei maggiori mercati di capitale permettono agli investitori istituzionali, oppure glielo impediscono, di tenere in considerazione temi del genere sopra citato nelle loro decisioni d’investimento e “pratiche proprietarie”. Lo stesso anno 2005 vide i rappresentanti di venti dei maggiori investitori del mondo porre mano allo sviluppo dei Principi dell’Investimento Responsabile, presentati poi a Boston nel gennaio 2006. Tra il 2006 e il 2007 sono stati oltre 200 gli investitori o gruppi di investitori, gestori d’un portafoglio del valore complessivo di 10 trilioni di dollari (!), che ha deciso di adottare quanto meno sul piano formale i suddetti Principi (1- incorporare temi ambientali, sociali e altri connessi al governo delle imprese nell’analisi degli investimenti e dei processi di decisione; 2- operare da proprietari attivi e incorporare tali temi nelle politiche e nelle pratiche che adottano in quanto proprietari; 3- richiedere alle società nelle quali i fondi compiono investimenti rendiconti appropriati relativi a tali temi; 4- promuovere entro l’industria dell’investimento l’accettazione e l’attuazione dei Principi; seguono altri due principi di minor portata, relativi alla collaborazione tra gli enti aderenti e alla rendicontazione delle attività svolte; per approfondire www.unpri.org). Forza Monti non fare le cose che potrebbe fare Chiunque, persegui piuttosto quanto scritto nelle conclusioni del rapporto UNEP Finance Initiative (The Working Capital Report, Ginevra 2007, pagina 43): “Inserire la finanza sostenibile e l’investimento responsabile nel mondo dei fondi, dell’attività bancaria e delle assicurazioni è un lavoro in corso. Gli attori più antiveggenti dei mercati di capitale si stanno impegnando seriamente per far emergere e integrare temi ambientali, sociali e di governance nel funzionamento dei nostri mercati globali.”. Ecco, per la crescita e lo sviluppo c’è a disposizione una massa ingente di denaro, datti da fare politicamente e così farai qualcosa di diverso dal mettere le mani nelle tasche dei cittadini! Claudia Del Vento

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