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Spagna: è iniziato l’anno del cambiamento

Questo 2015 è un anno chiave per il futuro della Spagna. Gli appuntamenti elettorali si susseguono l’uno all’altro. Non ci sarà mai sosta: il 22 marzo si vota in Andalusia, il 24 maggio si terranno le comunali e le regionali (in 13 regioni su 17), il 27 settembre si vota in Catalogna e, infine, a novembre presumibilmente (ma Rajoy potrebbe cercare di guadagnare qualche mese e convocare le elezioni a gennaio) ci saranno le politiche generali. Il panorama, molto incerto fino a poche settimane fa, sta poco a poco prendendo forma. Vediamo più nel dettaglio che cosa è successo negli ultimi mesi.

Da Madrid a New York
La corsa di Podemos, il cui obiettivo dichiarato è la vittoria alle politiche generali, è iniziata il 31 gennaio con una grande manifestazione – la Marcha por el cambio – nel centro di Madrid. Tra le 158 mila (secondo “El País”) e le 300 mila (secondo gli organizzatori) persone hanno riempito la Plaza de Cibeles fino alla Puerta del Sol, dove hanno preso la parola Luis Alegre, Carolina Bescansa, Juan Carlos Monedero, Iñigo Errejón e Pablo Iglesias. La scelta della piazza non è stata casuale: nel maggio del 2011 migliaia di persone avevano occupato la Puerta del Sol e lì era nato il movimento del 15 M, ribattezzato internazionalmente come movimento degli indignados. Senza gli indignados non ci sarebbe mai stato Podemos. Iniziare quello che i dirigenti di Podemos definiscono “l’anno del cambiamento” proprio dalla Puerta del Sol è stata una scelta simbolica non casuale.

Il nuovo partito guidato da Pablo Iglesias ha grandi ambizioni e sa che deve guardarsi attorno, uscire dai confini spagnoli. Per vincere in casa, ma soprattutto per non avere le spalle al muro nel caso di una vittoria a novembre. Il legame stabilito con Syriza è solido, quanto l’amicizia tra Tsipras e Iglesias, e i rapporti con i governi progressisti latinoamericani – anche se non vengono continuamente sbandierati per non dare altro materiale alle costanti accuse di bolivarismo lanciate dai mass media e dal governo di Rajoy – sembrano forti.

In Europa, Iglesias e gli altri quattro deputati di Podemos stanno lavorando bene, non solo in Parlamento, ma anche nei corridoi, stringendo rapporti con la sinistra del vecchio Continente e anche con altri attori politici, sociali e economici. Bruxelles come trampolino per tornare in Spagna e vincere le elezioni? Così sembra: Teresa Rodríguez, candidata di Podemos alle elezioni regionali andaluse, si è dimessa pochi giorni fa; Pablo Echenique – che sarà sicuramente il candidato alle regionali di maggio in Aragona – farà lo stesso a breve e probabilmente dopo l’estate sarà il turno di Iglesias.

Ma non c’è solo l’Europa. A metà febbraio Iglesias è stato a New York, dove ha incontrato Joseph Stiglitz e Mark Weisbrot, molto critici con le politiche del FMI e con l’austerity applicata a Bruxelles e a Berlino: i due economisti hanno dichiarato di apprezzare le proposte di Podemos e hanno dato il loro imprimatur al programma economico elaborato da due apprezzati economisti della sinistra spagnola, Vicenç Navarro e Juan Torres López. Un bel colpo per Iglesias e per Podemos, dopo i complimenti ricevuti da Thomas Piketty e Guy Standing a dicembre. Ma nella due giorni newyorchese, Iglesias è andato oltre, incontrando anche il presidente del Comitato che si occupa dei processi di ristrutturazione del debito sovrano – creato dall’ONU lo scorso settembre – e diplomatici di vari paesi (Brasile, Mercosur, Palestina), oltre all’ambasciatore spagnolo presso l’ONU. Iglesias ragiona già da statista?

Podemos di sinistra e Podemos di destra
Ma qual è la situazione all’interno? Innanzitutto Podemos si conferma come prima forza: secondo il sondaggio d’opinione realizzato da Metroscopia a inizio febbraio, Podemos otterrebbe il 27,7%, sbaragliando il PP (20,9%) e il PSOE (18,3%). IU (6,5%) verrebbe praticamente divorata, nonostante gli sforzi del suo giovane leader Alberto Garzón, mentre UPyD (4,5%) farebbe la stessa fine a causa dell’irruzione a livello statale di Ciudadanos (dato al 12,2%), il partito nato in Catalogna nel 2006 e guidato dal giovane e telegenico Albert Rivera che si sta proponendo ora sullo scenario statale.

Ciutadans/Ciudadanos ha subito una rapida deriva che lo ha portato da una posizione di centro sinistra critica con il nazionalismo catalano a una posizione di destra liberal e apparentemente progress, basata sul discorso del “né destra né sinistra” e della lotta alla corruzione e su un programma neoliberista infiorettato di belle parole, preparato dagli economisti Manuel Conthe e Luis Garicano. Ciudadanos lo si è definito, non del tutto a torto, un Podemos di destra. La necessità di creare un Podemos di destra era già stata fatta a gran voce nel giugno scorso da Josep Oliu, direttore dell’importante Banco Sabadell, e, prima delle elezioni europee, sulle pagine de “El Mundo” da Pedro J. Ramírez.

Che sia Ciudadanos un’operazione eterodiretta da settori dell’establishment conservatore spagnolo in funzione anti-Podemos? Difficile dirlo. Sicuramente la sua nascita fa comodo a molti.

Un dato certo è che è arrivato il momento dei giovani in politica: Iglesias (36 anni), Rivera (35 anni), Garzón (29 anni). Anche il PSOE ha cercato di rinnovarsi, in mezzo a mille difficoltà e tentennamenti, con il nuovo segretario Pedro Sánchez (43 anni), che sta tentando di evitare la pasokizzazione del partito di Felipe González e Alfonso Guerra. Sánchez deve però guardarsi anche le spalle dentro il suo stesso partito, dove sono in molti che gli vogliono fare le scarpe, tra l’intraprendente baronessa andalusa Susana Díaz (40 anni) e la vecchia guardia dei Rodríguez Zapatero e dei Bono che storce il naso. L’unico a non cambiare, per ora, è il PP con un Rajoy prossimo ai 60 anni, affiancato da una dirigenza ultracinquantenne, che punta tutto sulla sbandierata crescita economica (+1,4% nel 2014; +2,3% previsto per il 2015) e sulla poderosa rete clientelare creata nell’ultimo ventennio. Basterà per non perdere le elezioni e le roccaforti di Madrid e Valencia? Così non pare se Rajoy si è spinto fino a lanciare proposte (“creeremo tre milioni di posti di lavoro”) che a un italiano non possono non ricordare il Berlusconi dei tempi d’oro.

Una crescita quella spagnola, detto en passant, che è molto limitata e, soprattutto, ambigua. Un dato su tutti: lo stesso FMI ha dichiarato recentemente che, per quanto l’economia cresca, il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 20% prima del 2020. Può un paese di 47 milioni di abitanti resistere per oltre un decennio con oltre il 20% di disoccupati, mentre tutti gli ammortizzatori sociali vengono eliminati nel rispetto del mantra neoliberista?

Due realtà chiave: Andalucía e Madrid
La prima prova del fuoco sarà quella delle regionali andaluse. La mossa è stata intelligente da parte dell’attuale governatrice, la socialista Susana Díaz: convocare le elezioni prima delle municipali per tentare di mantenere il controllo della regione – feudo socialista dalla fine del franchismo –, battendo il PP e tagliando le gambe a un Podemos non ancora pronto. I recenti sondaggi le danno ragione: per quanto perde consensi, il PSOE rimane il primo partito (35,9%), seguito dal PP (29,1%), Podemos (14,9%) e Izquierda Unida (8,4%). Sarà tutto da vedere, anche perché Podemos ripete che aspira alla vittoria: la gaditana Teresa Rodríguez, proveniente da Izquierda Anticapitalista e esponente della lista alternativa a quella di Iglesias nell’Asamblea Ciudadana di ottobre, si è dimessa da Bruxelles e si giocherà il tutto per tutto, appoggiata in questo dalla dirigenza del partito al completo, Iglesias in testa, che chiuderà la campagna elettorale di Podemos a Siviglia.

L’annuncio delle elezioni anticipate in Andalusia ha preso il nuovo partito in contropiede. Si è posticipato a dopo il 22 marzo il processo di costituzione della segreteria regionale e si è puntato tutto sul programma e sull’agit-prop. Il programma, nel quale si sono accolte proposte dei cittadini e che i simpatizzanti del partito potranno votare fino al 2 marzo, ha tra i suoi pilastri, oltre a un programma sociale avanzato, la trasparenza in politica, la riduzione dello stipendio dei deputati (lo si vorrebbe di 1.930 euro, tre volte il salario minimo) e una misura che permetterebbe ai cittadini, nel caso in cui raccolgano firme pari al 20% del censo elettorale, di proporre una votazione nel Parlamento regionale per la revoca del mandato di un deputato. Anche sull’agit-prop Podemos si sta dimostrando innovatore: si è deciso di non accettare nessun finanziamento, ma di chiedere dei prestiti ai cittadini che verranno restituiti a novembre. Al momento sono oltre 100 mila gli euro raccolti che permetterebbero meeting in 29 comuni maggiori di 50 mila abitanti.

L’altra cartina tornasole della reale forza di Podemos, ma anche del cammino che può prendere la politica spagnola è Madrid. A maggio si voterà sia alle comunali sia alle regionali. Feudo del PP dal 1995, governata da figure quali Esperanza Aguirre e Alberto Ruiz-Gallardón e ora Ana Botella – la moglie di José María Aznar – e Ignacio González, politicamente Madrid sta vivendo un momento di grande confusione. La sicurezza è un’utopia. Tutto è in grande movimento negli ultimi mesi. Il PP non ha ancora annunciato i suoi candidati (tornerà la pasionaria Esperanza Aguirre?) e teme l’intrusione di Ciudadanos, mentre i socialisti hanno cambiato le carte in tavola, espellendo da un giorno all’altro il segretario regionale Tomás Gómez e pregando il filosofo Ángel Gabilondo, ex ministro dell’Istruzione nell’ultimo governo Zapatero, di candidarsi alle regionali (alle comunali è confermato l’infuocato Antonio Miguel Carmona). La giocata è riuscita e pare aver rafforzato Pedro Sánchez, che ne è stato l’artefice. La speranza sarebbe quella di riproporre a oltre trent’anni di distanza e con tutte le differenze del caso l’operazione Tierno Galván, il “professore” che fu sindaco socialista della Madrid della “movida”. Ma Gabilondo non è Tierno. E il PSOE del 2015 non è quello dei primi anni Ottanta.

Ma nemmeno a sinistra c’è la chiarezza che ci si aspettava. Izquierda Unida è in subbuglio. Tania Sánchez, compagna di Pablo Iglesias e altra giovane della politica spagnola (35 anni), aveva vinto le primarie del partito ed era stata designata a novembre candidata di IU per le regionali. Come Mauricio Valiente, candidato al comune della capitale, la Sánchez era vicina alla linea rinnovatrice di Alberto Garzón e favorevole a una confluenza con Podemos e con altre forze di sinistra. Le resistenze all’interno della federazione madrilena di IU, appoggiata in questo dal segretario federale Cayo Lara, hanno portato a inizio febbraio alle dimissioni della Sánchez, che il 21 febbraio ha fondato un nuovo partito, Convocatoria por Madrid, che riunisce il settore vicino alla Sánchez uscito da IU, Equo, Por un Mundo + Justo e Gana Madrid, una piattaforma formata da ex socialisti.

Capire che ruolo possa avere Convocatoria por Madrid è complicato: la volontà sarebbe quella di arrivare a una confluenza con Podemos, ma la cosa non è scontata perché il partito guidato da Iglesias ha dichiarato che correrà da solo alle regionali. C’è una possibilità, secondo gli statuti: che il 10% dei simpatizzanti di Podemos richiedano che il partito si presenti in una confluenza con altre forze politiche. La cosa è comunque complicata perché Podemos non ha ancora scelto il suo candidato alle regionali: pare che non sarà Luis Alegre, uomo di fiducia di Iglesias, recentemente eletto segretario regionale, vincendo di un soffio su Miguel Urbán, fondatore di Podemos e dell’ala più vicina ai circoli: Urbán sostituirà da marzo Teresa Rodríguez a Bruxelles, in quanto secondo dei non eletti (la prima dei non eletti Tania González sostituì già a luglio Jiménez Villarejo). Inoltre, nel recente Consejo Ciudadano, il maggior organo del partito, del 21 febbraio si è deciso di limitare il più possibile la formazione di patti con altre forze in vista delle prossime elezioni comunali. No a “partiti strumentali” (a parte qualche caso limitato), sì a “raggruppamenti di cittadini”. È un messaggio anche per le regionali? Ancora non lo si può dire.

Vale la pena ricordare che Podemos aveva deciso fin da ottobre di non presentarsi con il proprio nome alle municipali di maggio, ma solo alle regionali. Alle municipali si è deciso di appoggiare solo alcune particolari candidature, come Guanyem Barcelona (ribattezzata Barcelona en Comú: la candidatura guidata da Ada Colau, leader della Plataforma de Afectados por la Hipoteca, è appoggiata anche da ICV-EUiA, Equo e Procés Costituent) e Ganemos Madrid (appoggiata anche da Equo, ma non da IU), che avevano una loro ragion d’essere e una loro forza. Sono poi nate poco a poco esperienze simili (Guanyem Valencia, Ganemos Toledo, Marea Atlántica a La Coruña, ecc.), che la dirigenza di Podemos non ha visto proprio di buon occhio. Il rischio di annacquare il messaggio di Podemos e di promuovere “biciclette” o alleanze elettorali con poco senso è reale, dunque meglio non far nulla piuttosto che far le cose a mezzo o malamente. Questa l’idea di Iglesias e compagnia. E questo spiega la scelta del recente Consejo Ciudadano.

Il panorama a Madrid è dunque molto complesso. Un sondaggio del 20 febbraio dà Podemos (con il 24,6% dei voti) come secondo partito alle regionali, superato solo dal PP (28%, mentre nel 2011 ottenne il 51,7%) e davanti al PSOE (17%), Ciudadanos (15,8%), IU (5,5%) e UPyD (5%).

Quello che è certo è che le prossime municipali, abbinate alle regionali, cambieranno senza ombra di dubbio il panorama politico spagnolo. Il bipartitismo che ha governato il paese iberico ha i giorni contati: la rappresentanza sarà molto più frammentata. Ma i cambiamenti saranno solo questi? In molti ricordano ultimamente che fu proprio la vittoria dei partiti repubblicani alle municipali del 14 aprile del 1931 a permettere l’instaurazione di un nuovo regime, la Seconda Repubblica…

Podemos: un partito ormai strutturato
Al di là dei difficili incastri in alcune realtà locali, è necessario sottolineare come negli ultimi due mesi Podemos abbia proceduto speditamente alla costruzione delle strutture di partito a livello regionale e locale, dopo la prima strutturazione a livello nazionale avvenuta in autunno. Tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio sono state elette le segreterie comunali nelle grandi città (“consejos municipales”), mentre nella prima metà di febbraio è stato il turno delle segreterie di 16 delle 17 regioni spagnole (“consejos autonómicos”). Solo in Andalusia, come si è detto, non si sono tenute le elezioni per l’anticipo elettorale.

Nella maggior parte dei casi sono state le liste “Claro que Podemos”, appoggiate dalla dirigenza del partito (il nucleo duro formato da Iglesias, Errejón, Monedero e Bescansa), a risultare elette, tranne in Aragona, dove Pablo Echenique, l’eurodeputato che ad ottobre con Teresa Rodríguez aveva guidato la candidatura opposta a quella di Iglesias, è risultato il più votato e nelle Asturie, dove la lista “Somos Asturias” di Daniel Ripa, che cerca di mantenere unite le diverse anime del partito, ha stravinto. Nel caso di Madrid, quella di Luis Alegre su Miguel Urbán è stata una vittoria di misura, tanto che ben 16 candidati della lista uscita perdente faranno parte della direzione regionale (composta da 34 membri). In Catalogna ha vinto con quasi l’80% la lista guidata da Gemma Ubasart, già eletta in autunno segretaria di plurinazionalità del partito, e molto vicina a Iglesias. Insomma, il partito ormai è completamente strutturato. Ci sono divergenze interne tra il settore di Iglesias e il settore che fa capo a Rodríguez, Echenique e Urbán (proveniente soprattutto da Izqueirda Anticapitalista e più vicino ai circoli di base), ma tali divergenze sono molto meno nette di quel che i mass media vogliono far credere e si mantengono all’interno di una dialettica fluida e costruttiva.

Mass media e politica
I mass media sono un elemento chiave, in un certo qual senso, in tutto quello che sta succedendo. Alla speranza, che è il motto di Podemos come lo è stato per Syriza, si oppone la strategia della paura: durissima è la campagna di stampa contro il partito guidato da Iglesias. Non solo però da parte dei mezzi di informazione di destra (“ABC”, “El Mundo”, “La Razón”) e dal PP, ma anche dallo stesso PSOE e dal filosocialista “El País” che ha toccato il fondo con i casi Errejón e Monedero, professori universitari di cui sono stati spulciati i curriculum vitae alla ricerca di qualche imprecisione per poter screditare Podemos. I tentativi di trovare degli scoop sono incessanti e spesso patetici: la settimana scorsa TVE, la televisione pubblica spagnola, ha mandato in onda un evidente fake – scaricato da internet – di Teresa Rodríguez nuda, mentre Enrique Riobóo, propietario di Canal 33, la rete televisiva dove negli ultimi anni è andata in onda “La Tuerka”, il programma di dibattito politico condotto da Iglesias, ha da poco pubblicato “La cara oculta de Pablo Iglesias”, un libro dove sostiene che nel 2013 Iglesias e Monedero hanno cercato di comprargli Canal 33 con dei soldi provenienti dal Venezuela.

Che la cosa sia vera o meno, quel che dimostra è il tentativo di screditare Podemos in ogni modo e soprattutto utilizzando l’accusa di essere degli agenti chavisti in Spagna, tanto da arrivare alla creazione di un fantomatico Movimento Spagnolo di Venezuelani Antipodemos (MEVA), un supposto movimento formato da antichiavisti residenti in Spagna che ha convocato una manifestazione per domenica 1 marzo e a cui il filogovernativo “La Razón” ha dedicato addirittura la prima pagina dello scorso 14 febbraio. Ma il caso più evidente, e che occupa da oltre un mese le pagine dei giornali, è quello di Juan Carlos Monedero.

Il numero tre di Podemos, che da inizio febbraio ha adottato un profilo basso, ha incassato nel 2013 425 mila euro per delle consulenze in Venezuela e altri paesi dell’America Latina: in un primo momento ne ha dichiarati solo una parte, poi ha concordato il versamento di 200 mila euro per evitare di essere sanzionato. Il ministro del Tesoro Montoro, usando politicamente i dati fiscali in suo possesso, ha lasciato filtrare la notizia, scatenando una campagna di stampa inaudita. Insomma, come spiegava senza peli sulla lingua Gregorio Morán sulle pagine de “La Vanguardia”: PP e PSOE “están acojonados” (“se la stanno facendo sotto”).

Né di destra né di sinistra, però… di sinistra
Si sente ripetere spesso, soprattutto a sinistra, che Podemos è come i Cinque Stelle e che non è un partito di sinistra. È davvero così? Nel “controdibattito” organizzato da Podemos mercoledì scorso al Círculo de Bellas Artes di Madrid, a pochi metri dal Parlamento spagnolo, dove si stava tenendo il “Debate de la Nación” e al quale Podemos, non avendo ancora deputati, non poteva partecipare, Pablo Iglesias ha anticipato alcuni punti del futuro programma di Podemos che si aggiungono al documento economico stilato da Navarro e López: lotta alla corruzione con un piano su quattro fronti (politico, economico, sociale e giudiziario); fine del sistema di crescita basato sul mattone e reindustrializzazione del paese; ristrutturazione del debito; piano di salvataggio per i cittadini da applicare dal primo giorno di governo; tassa sulle grandi fortune sullo stile di quella applicata in Francia (che porterebbe secondo Iglesias 92 miliardi di euro nelle casse dello Stato). Non sono proposte di sinistra?

Nelle loro dichiarazioni i dirigenti di Podemos sono ancora più espliciti. Nel recente tour newyorchese, in una conferenza data in un centro universitario di Manhattan, Iglesias ha sottolineato ancora una volta: “Sono di sinistra, certo, ma la nozione di sinistra e destra non aiuta a creare qualcosa di nuovo”. Mentre in un’intervista dello scorso mese di settembre spiegava che “Ci accusano falsamente di non essere né di sinistra né di destra. No, questo non è vero. Non abbiamo detto questo. Quello che abbiamo detto è come pensiamo che si possa vincere per cambiare davvero questo paese. Dobbiamo rispettare il popolo spagnolo che abbiamo e questo popolo spagnolo non è stato costruito come collettività a partire dai valori della sinistra”.

Iglesias, però, non è il solo ad essere così esplicito. Lo sono stati spesso anche Errejón e Monedero e, tra gli altri, anche due dei neo eletti segretari regionali. La catalana Gemma Ubasart ha chiarito che “Ho avuto una militanza di sinistra e non lo nascondo. Quello che diciamo è che la metafora destra-sinistra non riesce a spiegare la compessità attuale e stiamo cercando altre metafore”. Mentre il galiziano Breogán Riobóo ha aggiunto: “Vogliamo che sparisca l’asse sinistra-destra o nazionalismo-centralismo. C’è una maggioranza sociale che vede come si sta smantellando la sanità pubblica e la scuola e che non arriva a fine mese e vede come i suoi figli devono emigrare perché non trovano lavoro nella propria terra. È a loro che dobbiamo parlare.” Non è essere di sinistra dire e proporre questo?

Credo che Podemos rappresenti bene il tentativo di rinnovare la sinistra europea, prendendo spunto dalle esperienze degli ultimi due decenni in America Latina. Una sinistra pragmatica che sa andare al di là di alcuni tabù che non permetterebbero, nella maggior parte dei casi, di arrivare al governo. Una sinistra pragmatica come ha dimostrato essere Syriza che ha stretto un accordo di governo con i nazionalisti di destra di ANEL e che sta cercando di cambiare la politica europea, mentre in Italia rimaniamo agganciati al “nemico” Berlusconi e alle solite beghe fini a se stesse, frutto di personalismi e di poca capacità per reinventare una politica di sinistra. Proprio noi italiani che abbiamo avuto la fortuna di avere il genio di Gramsci, che tanto ispira Alexis Tsipras e Pablo Iglesias che non smettono mai di citarlo. Ripensiamo Gramsci, dunque, e impariamo dalle nuove sinistre europee con umiltà e determinazione.

Steven Forti, ricercatore presso l’Instituto de Historia Contemporanea dell’Universidade Nova de Lisboa e presso il CEFID dell’Universitat Autònoma de Barcelona

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.235) 5 marzo 2015 15:53

    Una piccola semplificazione.

    Podemos: non è certamente di estrema sinistra, semmai socialdemocratico.
    Di ottimo ha che la maggior parte dei suoi rappresentanti è insegnante universitario, di conseguenza meno ignorante degli altri politici spagnoli.
    PSOE: l’unica novità e il segretario. Bellissimo. L’idea è forse di ripetere il successo del grande Alfonso Suarez (detto "el Guapera")? Per il resto, il nulla.
    PP: in meno di un anno è riuscito a proporre l’abolizione totale dell’aborto (finita in niente), la Ley Mordaza (una serie di norme per limitare la libertà di parola e manifestazioni di dissenso) ed una legge che obbliga i bambini iscritti all’ora di religione (anche se solo per motivi culturali, come i miei figli) a pregare in classe.
    In Spagna va a messa almeno a Pasqua o Natale meno del 20% delle persone, figuriamoci quanti ci vanno tutte le domeniche...ma allora, chi è tutta ’sta gente che vota PP?
    Fino ad un anno fa davamo per scontata la vittoria del PSOE alle prossime elezioni (il nulla è meno pericoloso dll’Opus Dei) ma Podemos rischia di scombinare tutto ed appiopparci altri 4 anni di preti e proibizioni.

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